29 aprile 1945
PIAZZALE LORETO
Un giorno da dimenticare
appunti di Enzo Cicchino
Dopo aver caricato sul camion i cadaveri dei fascisti fucilati a Dongo, quelli di Mussolini e Claretta a Mezzegra, Walter Audisio giunge al presidio partigiano in via Fabio Filzi - presso lo stabilimento Pirelli - vicino Milano alle ore 22; qui chiede al comando il cambio della scorta. Ma per errore il suo gruppo viene preso per fascisti che hanno rubato le salme di Mussolini e degli uccisi a Dongo. Valerio corre il rischio di essere passato per le armi.
Solo dopo ore di discussioni e grazie ad una telefonata fatta da "Guido" Aldo Lampredi dal comando del CLN Walter Audisio puo' raggiungere piazzale Loreto. Sono le 3,40 del mattino, scarica i 18 cadaveri dinanzi alla pensilina del distributore Standard Oil, proprio dove l'8 agosto del 1944 erano stati fucilati quindici patrioti dalla Legione Muti e va a riferire presso il comando del CLN.
A Piazzale Loreto, sin dal mattino comincia ad affollarsi gente, fa ressa intorno ai corpi, per identificarli, per infliggere a ciascuno di essi la vendetta per le proprie colpe. Qualcuno ha l'idea di isolare il cadavere di Mussolini, ponendogli la testa sul petto di Claretta che sta appoggiata alle gambe del fratello Marcello. Alcuni si buttano sul cadavere del Duce, lo vogliono toccare, prenderlo a calci, sputargli addosso, riempirlo di bestemmie. E un uomo gli avvolge la mano attorno ad un gagliardetto, come reggesse uno scettro. Lo sberleffo continua. Gli rovesciano addosso un pacco di carote, una pagnotta di pane scuro, con sarcasmo gli urlano: Mangiala tu questa roba, adesso. Mussolini, la bocca semiaperta, mostra i denti.
L'impeto della folla e' tale che ad un tratto parte di essa viene gettata suo malgrado fra i cadaveri. Li calpesta. Vengono sparati colpi in aria, poi qualcuno si avvicina e scarica tutto il caricatore nel mucchio. Si teme il peggio, per fare spazio intervengono i pompieri, con gli idranti. Nonostante la gente urla, insiste a voler vedere uno per uno quei morti. Un uomo alto, grosso, scamiciato, le braccia nude e lorde di sangue, allora comincia ad alzarli, uno volta l'uno, una volta l'altro, chiedendo chi volessero vedere. Piu in alto, non si vede nulla! più in alto! gridano.
Qualcuno ha l'idea di chiedere ai pompieri di appendere i cadaveri alla pensilina. Almeno quelli piu' famosi. Vengono procurate delle corde. Sono le ore 11 e 20 del mattino. Il primo a cui viene fatto un nodo scorsoio attorno ai piedi per penzolare a due metri dal suolo è Mussolini, con la maglietta insanguinata ed uno stivale slabbrato. Nel vederlo si alza un urlo immenso dalla moltitudine.
Quando viene issata Claretta di nuovo grida e voci, imprecazioni! per la gonna che si arrovescia, scoprendo che è senza mutandine.
E' don Pollarolo, il cappellano dei partigiani, che tenta di fargliela chiudere, porgendo una spilla da balia, ma e' inefficace, allora i due lembi vengono subito legati con la corda e fissati attorno alle gambe, che ne escono dritte ed unite. Povera Claretta, le si apre anche il giubbetto nero, mostrando il petto lordo di sangue e terra. Il terzo ad essere appeso è Pavolini, nudo fino alla cintola.
Sembra per un attimo la folla appagarsi, quando, improvviso, un minaccioso -fate largo!- Affiora il muso di un autocarro che lento si fa strada nella folla, una macchina con la sirena accesa lo precede. Fermo vicino alla pensilina, dal ribaltabile, ne scendono alcuni partigiani, svelti, con un uomo pallido, sbarbato, in tuta: è Achille Starace, che quando vede appesi dinanzi a se i corpi dei tre, rabbrividisce, vacilla sulle gambe. Dopo terribili discussioni se debba essere fucilato al petto, o alle spalle, viene isolato, sospinto, con la faccia contro il muro. "Fate presto!" chiede, mentre ancora si indugia.
E' una assolata mattina di aprile quando i tralicci della pensilina risuonano dell'ultimo eco dei mitra. Spogliato il cadavere della camicia e della maglia, appendono anche Starace, accanto agli altri. Il corpo fresco, molle, cosi attaccato per i piedi, si allunga smisuratamente.
Segue l'appendimento di altri due: Zerbino ed un altro di cui la folla chiama il nome a gran voce - Teruzzi! Teruzzi! - e come hanno già fatto per Mussolini, Claretta, Pavolini e Starace, accanto ai suoi piedi, sulla fascia della tettoia, scrivono il nome - Teruzzi - con le zeta rovesciate. Con la sola differenza che quel cadavere non e' di Attilio Teruzzi, che se ne sta ben nascosto in un sicuro rifugio a Milano, ma forse e' quello di Marcello Petacci che aveva il pizzo come lui. E' da dire che in quei giorni a Milano furono fucilati almeno tre presunti Teruzzi e che avevano avuto la triste sorte di somigliarle.
Come sempre, il macabro non puo' fare a meno del grottesco, a un certo punto infatti, quei corpi ciondolanti sembrano cosi' sudici di polvere e di sangue, che si chiede ai pompieri - con un getto dell'idrante - di lavarli, cosicché i capelli con la brillantina di Pavolini e di Starace diventano particolarmente lucidi e brillanti.
Nella moltitudine si fa ancora largo una donna, stravolta, con una pistola in mano, grida che Mussolini le ha ucciso cinque figli, perciò gli spara cinque colpi nel corpo, che per il vento e' ancora ciondolante.
Tra i capi partigiani Emilio Sereni condivide il crudo spettacolo: "La storia è fatta così. Alcuni devono non solo morire, ma MORIRE VERGOGNOSAMENTE!" afferma. Ma Sandro Pertini dissente: "L'insurrezione è disonorata!" e Ferruccio Parri senza mezzi termini concorda che quella esibizione di macelleria messicana nuocerà al movimento partigiano per i prossimi anni!
Verso mezzogiorno larcivescovo di Milano chiede al Comitato di Liberazione di metter fine a quel disumano spettacolo. Sono le ore 13.45 quando i cadaveri vengo disappesi e la piazza comincia a vuotarsi, lentamente.Le salme, per ordine del comando Militare Americano, verso le ore 14 con apposito camion affidato ad un ufficiale della Croce Rossa e ad un esponente del CLN vengono trasportate all'obitorio municipale milanese di Via Ronzo n. 1 (ove giungono verso le ore 15) e consegnate all'impiegato municipale Carlo Noé che le fa scaricare in un salone sotterraneo dell'obitorio (essendo le camere mortuarie già occupate da altri cadaveri di persone fucilate o decedute, in quei giorni, di morte naturale).
Il giorno dopo, il 30 aprile alle ore 7.30 comincia l'autopsia sul corpo di Benito Mussolini.
Allinterno della sala autoptica si leva un confuso vociare ed rumore di passi. Lo spazio e' gremito di medici, di ufficiali americani, di fotografi, alcuni arrampicati sugli alti davanzali delle finestre.
Sul tavolo di marmo giace disteso il cadavere nudo. Attorno, alcuni medici con i loro ferri; altri medici parlottano con gli ufficiali americani. Un medico militare americano e' intento a ricucire una larga ferita longitudinale rossastra molto simile ad una scriminatura aperta sul cranio liscio. Il taglio è stato fatto per estrarne parte del cervelletto da spedire negli Stati Uniti per esami piu approfonditi. Il chirurgo, prima di ricucire la ferita, l'ha riempita con stracci e segatura, tant'e' che ha assunto una forma bitorzoluta.
Sul torace e' visibile una lunga cicatrice rossastra. I periti settori, servendosi di pinze, lenti da ingrandimento, lampadine tascabili, hanno esplorato lintestino per accertare se Mussolini e' stato affetto da malattie. Dalla autopsia risulta che non ha sofferto di nessuna grave in particolare. Nè di ulcera, o di cancro, o di lue.
Fra o presenti c'è anche un uomo di mezza eta e di bassa statura. In una mano ha un metro di metallo arrotolato. Dopo che il cadavere è stato debitamente ricucito ne ha ricomposto il corpo. Gli allinea le braccia lungo i fianchi, gli dispone la testa in equilibrio, comincia a prenderne le misure. Verifica accuratamente la lunghezza delle braccia, delle gambe dallinguine in giu, del torace, delle spalle e ne annota i valori su un taccuino. Spiega di essere un antropologo, che si propone di ricostruire la personalita del Duce attraverso i suoi dati antropometrici. Ma nelle misurazioni non trova nulla di anormale. Anche l'esame dei suoi organi genitali sono nellordinario. L'antropologo poi rivolta la salma anche sulla schiena ma nessuno gli bada.
Le misure antropometriche sono: peso 72 chilogrammi, altezza metri 1,66, arto superiore 73, perimetro toracico 93, apertura braccia 172, circonferenza del collo 40, collo molto basso, circonferenza braccio superiore al terzo medio 27, circonferenza coscia terzo medio 48, circonferenza gambe 35, lunghezza piede 25, lunghezza mani 18.
Ultimate le formalita di legge, il corpo di Mussolini viene deposto in una delle casse comuni e adagiato su di un letto di trucioli. Nella bara, sul suo grembo, vengono posti gli stivali, i pantaloni e la biancheria intrisa di sangue. Sulla cassa un cartellino con il nome ed un numero, il 167.
Al calar della notte del 30 aprile, le salme di Benito Mussolini, Clarice Petacci, Achille Starace e gli altri, vengono trasportate, per ordine del C.L.N., al cimitero Maggiore, ove, alla presenza dell'allora ispettore cimiteriale Vittorino Vertova, del responsabile dell'Obitorio Carlo Noè, un cappellano militare e un frate cappuccino in servizio al cimitero, vengono subito inumate nel campo n. 16. La salma di Mussolini viene tumulata nella fossa n. 7 . E neppure la salma, la sua tumulazione e la sua fossa avranno vita tranquilla, quel corpo sara' disseppellito molte volte, rubato, trafugato e nascosto per anni, poi restituito finalmente alla famiglia nel 1957 .