Lettera di Giorgio Amendola
a Leone Cattani

sulle vicende di via Rasella


Caro Leone,
ho letto con molto ritardo l'intervista che hai concesso alla rivista 'Capitolium' per il numero speciale su 'Roma città aperta'. In quel fascicolo è compresa anche una mia intervista.
La morte di Togliatti non mi ha permesso di scriverti subito dopo aver letto l'intervista. Lo faccio ora, sebbene sia passato molto tempo, ma non desidero lasciar passare senza una rettifica quanto tu hai scritto sulla riunione della Giunta militare che si tenne dopo l'attentato di Via Rasella. Del resto tu precisi che le informazioni da te ora riportate le avevi ricevute da Brosio, che rappresentava il PLI nella Giunta. È la tua, quindi, una testimonianza indiretta. Ora è ben noto che memorie, ricordi, testimonianze sono tra le fonti storiche piú ingannevoli. Uno stesso fatto è ricordato in modo diverso dalle persone che vi hanno partecipato. Ciò rende difficile la storia della Resistenza, perché ancora affidata in grande parte ai ricordi dei protagonisti, per la scarsezza di dati obiettivi, documenti, ecc. Di quella riunione della Giunta militare manca, ad esempio, un verbale autentico. Non voglio quindi pretendere che i miei ricordi facciano testo. Ti prego soltanto di tenerne conto, come di una 'fonte' che non può essere trascurata accanto alle altre, alle informazioni che ti diede Brosio, o, meglio, al ricordo che ora hai di quelle informazioni.
Data della riunione. - Il giorno in cui ebbe luogo la riunione della Giunta non fu 'immediatamente' dopo l'attentato, ma piú tardi, nel pomeriggio del 26 marzo, del giorno in cui si ebbe la notizia della strage compiuta dalle SS. Il comunicato tedesco, che annuncia la rappresaglia porta la data del 25, ma fu pubblicato sul 'Messaggero' del 26. La riunione ebbe luogo nel pomeriggio del giorno nel quale il 'Messaggero' pubblicò l'annuncio. Questo dato può essere facilmente controllato.
Luogo della riunione. -La riunione si tenne vicino a Piazza Mazzini, nella casa dell'avv. Chiri (?)
Partecipanti. - Parteciparono alla riunione:


Spataro,
per la D.C

Brosio,
per il P.L.I.

Pertini,
per il P.S.I.

Bauer,
per il P.d'A.

Amendola,
per il P.C.I.

Doveva esserci, ma non ne sono sicuro, anche Cevolotto per la Democrazia del Lavoro.
La discussione. - Fu proposto da Spataro un comunicato che richiamava le formazioni partigiane aderenti al Corpo Volontari della Libertà a comunicare preventivamente alla Giunta le azioni progettate, onde riceverne l'approvazione.
Io mi dichiarai subito contrario a questa proposta e per due motivi:


1. -
il comunicato avrebbe significato deplorazione di un'azione di guerra compiuta dai G.A.P., in attuazione di una direttiva lanciata dalla Giunta di 'attaccare il nemico ovunque si trovasse e con ogni mezzo'. Annunciai anche che se la Giunta non intendeva essa assumersi la responsabilità dell'attentato di Via Rasella di fronte al nemico e alla cittadinanza, questa responsabilità sarebbe stata assunta pubblicamente dal comando delle Brigate Garibaldi, dal quale dipendeva la formazione GAP che aveva eseguito l'azione.

2. -
Fino a quel momento ogni formazione partigiana aveva mantenuto piena autonomia di iniziativa operativa. Ciò era necessario per ragioni di sicurezza cospirativa, e per avere possibilità d'intervenire con prontezza contro il nemico. Le occasioni d'intervento andavano colte immediatamente. La richiesta avanzata da Spataro che ogni azione progettata fosse preventivamente comunicata alla Giunta significava praticamente arrestare ogni attività armata contro il nemico, proprio quando la strage delle Ardeatine imponeva uno sviluppo e non un arresto dell'azione partigiana, per rispondere al nemico colpo su colpo.

La Giunta militare del C.L.N. era, in realtà, un comitato organizzativo di coordinamento e non un Comando operativo unico. Il P.C.I. non avrebbe mai accettato che prevalesse una posizione praticamente attesista. La direttiva data dal CLN era di colpire il nemico ovunque si trovasse. Se non si rispettava questa linea di azione, venivano meno le basi dell'accordo costituito tra i partiti antifascisti, ed il PCI sarebbe stato costretto a rivedere le ragioni della partecipazione del CLN. Questa la linea del mio intervento.
Fui appoggiato da Pertini e da Bauer che respinsero la proposta di Spataro. Brosio pronunciò parole molto responsabili ed equilibrate. Brosio era stato incaricato dalla Giunta di tenere i collegamenti col Comando militare, praticamente con il colonnello Montezemolo, fino al momento del suo arresto. (Anche io ebbi contatti personali con Montezemolo che incontrai a Palazzo Taverna nei locali dell'Associazione per il Mezzogiorno. Col Montezemolo concordammo alcune misure pratiche per i due attentati del 26 dicembre alle linee ferroviarie per Cassino e per Formia). Ora Brosio disse che non avendo dirette responsabilità di comando - non avendo il P.L.I. formazioni partigiane di partito, ma sostenendo principalmente le formazioni 'autonome' collegate col 'comando militare' - egli non si sentiva di rendere piú pesanti le responsabilità di chi aveva, invece, funzioni di comando operativo, responsabilità già in quelle condizioni molto gravose.
Perciò la riunione si concluse senza decisioni, ciò che avveniva spesso perché - come tu ricorderai - le regole di base del C.L.N. erano la 'pariteticità' e la 'unanimità'. Spataro non insistette per l'approvazione del comunicato proposto, io non insistetti nella richiesta di un comunicato nel quale la Giunta si assumesse la responsabilità politica dell'attentato di Via Rasella. "l'Unità" clandestina pubblicò, poi, il comunicato del comando dei GAP.
In quel momento il C.L.N. era in crisi per le dimissioni di Bonomi, ed il PCI non voleva aggravare la crisi, ma lavorava per risolverla positivamente. (Dopo pochi giorni la notizia dell'arrivo di Togliatti a Napoli e della sua iniziativa avrebbe permesso, dopo infuocate polemiche, di superare la crisi anche a Roma). Io non avrei, mai, nemmeno per un istante potuto dare la mia approvazione ad un comunicato di deplorazione, anche perché ero direttamente e personalmente impegnato nell'azione di Via Rasella. Non posso, quindi, essermi mai potuto dichiarare favorevole alla pubblicazione di un comunicato che sarebbe stato, praticamente, di deplorazione dell'attentato.
La piú grossa responsabilità morale che abbiamo dovuto assumere nella guerra partigiana è quella dei sacrifici che si provocano, non soltanto i compagni di lotta che si inviano incontro alla morte - essi hanno scelto liberamente quella strada - ma gli ignari che possono essere colpiti dalle rappresaglie. Se non si supera questo tremendo problema non si può condurre la lotta partigiana. Noi del C.L.N., tutti, anche se nella pratica con maggiore o minore convinzione, sapemmo superare questo problema, e prenderci le necessarie responsabilità. Soltanto dei pavidi o degli ipocriti potevano fare finta di non comprendere le conseguenze che derivavano dalla posizione assunta. Affrontammo il rischio nell'unico modo possibile: non farci arrestare dal ricatto delle rappresaglie e, in ogni caso, rispondere al nemico colpo su colpo e continuare la lotta.
L'annuncio della strage delle Ardeatine fu dato il 26 marzo (o 25 che fosse) a esecuzione compiuta, senza che nessun appello fosse stato lanciato ai responsabili dell'attentato perché si presentassero al comando tedesco o alla polizia fascista. Ma io non mi sono mai trincerato dietro questo dato di fatto, di fronte alla campagna condotta contro di noi da parte fascista con tutti i mezzi e anche in sede giudiziaria. Ho invece piú volte dichiarato che, anche se l'appello fosse stato lanciato dal comando germanico, noi responsabili del comando GAP, e gli eroici combattenti che avevano attuato l'ardita operazione di guerra, non avevamo in alcun caso il diritto di presentarci, di consegnare, cioè, al nemico un comando partigiano ed un reparto d'assalto. A parte ogni motivazione personale, non avevamo il diritto di decapitare il movimento partigiano e di mettere in pericolo la sicurezza del movimento clandestino.
Dell'attentato di Via Rasella mi sono assunto - in diverse sedi - piena e personale responsabilità, non solo come comandante delle Brigate Garibaldi per Roma e per l'Italia centrale, e come tale membro della Giunta militare del C.L.N., ma perché fui io personalmente che, andando piú volte in Piazza di Spagna, in casa di Sergio Amidei - dove c'era in quel momento la sede clandestina della redazione de "l'Unità" - ebbi occasione di vedere passare ogni pomeriggio un reparto di gendarmeria tedesca in pieno assetto di guerra, ciò che era aperta e provocatoria violazione dello statuto di città aperta. Avevo segnalato perciò al comando dei GAP questo reparto perché fosse oggetto di un attacco, lasciando poi - come sempre avveniva - al comando assoluta libertà d'iniziativa, e di preparare l'operazione con le modalità ritenute piú opportune.
Il 23 marzo era prevista, in occasione della Fondazione dei Fasci, un'adunata repubblichina all'Adriano, ed un corteo fino a Via Veneto, al palazzo del Ministero delle Corporazioni. Concordammo con Pertini un'azione combinata di attacco armato al corteo (con lancio di bombe) del reparto GAP della Garibaldi e di un reparto della Matteotti. All'ultimo momento il comando tedesco impedí ai repubblichini di tenere l'adunata e di fare il corteo. Ma il comando GAP aveva anche contemporaneamente preparato l'azione contro il reparto tedesco, azione che si svolse secondo il piano progettato.
Io mi trovavo alle ore 16 a S. Andrea delle Fratte, dove avevo appuntamento con Sergio Fenoaltea, per andare assieme da De Gasperi che si trovava nel palazzo di Propaganda Fidae. La mattina aveva avuto luogo in Via Cernaia, presso Monsignor Barbieri, una riunione - De Gasperi, Ruini e Casati - per esaminare la situazione di crisi in cui si trovava il C.L.N. Aspettando Fenoaltea vidi passare per Via Due Macelli il reparto tedesco e poco dopo, mentre arrivava Sergio, sentii il rumore delle esplosioni. "Che cosa è? - mi chiese Fenoaltea. - Deve essere un'azione gappista", risposi, senza precisare, com'era costume clandestino. Ed egli non insistette. Anche De Gasperi mi chiese se sapevo che cosa significava quell'esplosione. Risposi che non lo sapevo, senza insistere, come a ricordare che era un segreto cospirativo. Ed egli, sorridente ed ammirativo: "Ne avrete combinata un'altra delle vostre. Non state mai fermi, voi comunisti, una ne pensate e cento ne fate". E poi si parlò della situazione del C.L.N. e De Gasperi ci pregò di intervenire presso Nenni perché recedesse dalla posizione assunta. Ho piú volte già ricordato queste parole di De Gasperi per sottolineare come, prima dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, non v'erano dissensi sulla necessità di attaccare i tedeschi. La situazione degli alleati sul fronte di Anzio era pericolosa, e gli agenti inglesi e americani presenti a Roma ci invitavano a intensificare le azioni offensive, per impedire che i tedeschi utilizzassero tranquillamente Roma come piazza di raccolta e di smistamento delle riserve e dei rifornimenti per i fronti di Cassino e di Anzio. Il 12 febbraio avevamo attaccato, con una azione dei GAP, un corteo fascista in Via Tomacelli, e avevamo ricevuto molte congratulazioni per l'audacia dei gappisti, e nessuna critica o riserva.
Ci trattenemmo a lungo a parlare con De Gasperi. Uscimmo da Propaganda Fidae alle 18 (il coprifuoco doveva essere alle 19). Ma io non avevo preveduto le conseguenze dell'azione compiuta: le precedenti azioni dei GAP non erano state seguite da rappresaglie immediate. Invece questa volta s'era scatenato l'inferno. In Piazza di Spagna si sparava, si vedevano gruppi di soldati tedeschi coi mitra. Ci buttammo per Via della Vite, attraversammo il Corso presso Via in Lucina, ci avviammo verso Campo Marzio e lí ci separammo. Avemmo subito la notizia degli arrestati, dei passanti fermati in Via Quattro Fontane e poi arrestati. Ma soltanto due giorni dopo, il 25 mattina, avendo appuntamento con Giuliana Benzoni nell'ufficio di Mattioli a Palazzo Colonna, ebbi da Giuliana la notizia dell'eccidio. Piú volte con Giuliana e Mattioli abbiamo rievocato quel momento terribile.
Quanto ho scritto smentisce che io possa in un primo momento aver deplorato, in riunione o anche in conversazioni, l'attentato di Via Rasella. Posso aver detto che non sapevo chi erano i responsabili, per precauzione cospirativa, perché era buona regola non fare conoscere mai, anche a cose fatte, chi erano i responsabili delle azioni compiute, per non facilitare le ricerche della polizia tedesca e fascista, e per non aggravare la sorte dei partigiani in caso di arresto. Infatti come comando Garibaldi assumendoci la responsabilità dell'azione di Via Rasella violammo, per ragioni politiche, una norma cospirativa. Prima di prendere quella decisione, io non potevo che ostacolare col silenzio e la reticenza l'identificazione dei responsabili. Può essere che questo iniziale silenzio possa essere stato interpretato da Brosio come deplorazione. Certo è che io mai, in nessun momento, nemmeno in un primo momento, potevo deplorare un'azione di cui ero stato il promotore, di cui mi sentivo responsabile, e che aveva recato in pieno cuore di Roma un tale colpo alla sicurezza e tracotanza del nemico.
Ho prima ricordato la nostra comune posizione di principio sul problema delle rappresaglie. Ma l'avere assunto una posizione che si ritiene giusta, come ancora la ritengo, non vuol dire superare con facilità ogni altro problema. Io ho sempre sentito fortemente la responsabilità di quella tragedia. Ritengo che l'azione di Via Rasella abbia avuto una grande importanza, e abbia contribuito efficace­mente alla salvezza di Roma, facendo comprendere ai tedeschi il rischio di una battaglia combattuta ad oltranza in una città, nella quale le forze della Resistenza dimostravano tale audacia ed efficacia cospirativa. Ma questa convinzione non diminuisce il dolore e la commozione davanti al prezzo pagato, il sangue versato dai trucidati delle Ardeatine. Sentivo, dunque, fortemente quella responsabilità. Di fronte ai caduti delle Ardeatine avevo un solo dovere, combattere con tutte le mie energie contro il nemico. Fu questo uno dei motivi che mi spinse ad accettare con prontezza l'invito del mio Partito a portarmi al Nord, prima della Liberazione di Roma, per continuarvi l'attività di combattente della Resistenza. Cosí fui a Milano, in Emilia, nel Veneto, ed infine a Torino, dove ebbi la gioia di partecipare alla direzione dell'insurrezione del 25 aprile...