Relazione dell'ambasciatore
Italiano Suvich
relativa al suo incontro con il
Presidente degli Stati Uniti Roosevelt
(luglio 1937)
Ambasciata d'Italia
TELESPRESSO N. 4843/1301
R. MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI
ROMA
Washington, 30 luglio 1937 - Anno XV
A I.IO S.U.
Udienza del Presidente Roosevelt.
Il colloquio è durato circa mezz'ora. Dapprima il Presidente mi ha intrattenuto sui suoi ricordi personali dell'Italia e mi ha detto di essere grato al Duce ed al Governo Italiano per le cortesie usate a sua madre ed a suo figlio durante la loro recente permanenza in Italia. Mi ha detto che egli era un ammiratore del Duce che considerava il vero restauratore dell'unità del paese e della nuova grandezza dell'Italia.
Dopo avermi fatto leggere la lettera che egli indirizza al Capo del Governo, mi ha detto che Mussolini deve passare alla storia non soltanto come il restauratore delle fortune della sua patria ma anche come il costruttore di una migliore forma di convivenza tra i popoli. Egli accarezza sempre l'idea di un suo incontro col Duce ed è sicuro che se potesse avere con lui un'ampia e profonda discussione sui maggiori problemi e su quelli che si prospettano per l'avvenire, molto bene si potrebbe fare per la sorte dei nostri paesi ed anche del resto del mondo. Egli si rende conto che ci sono due difficoltà molto gravi: una è quella della situazione politica attuale che non pare molto favorevole per delle intese di carattere generale; la seconda è una ragione che egli chiama fisica, cioè la distanza materiale che esiste fra i nostri due paesi. Non è, egli pensa, possibile per il momento di poter andare in Europa né ritiene che Mussolini intenda venire in America; rimangono tuttavia altre possibilità di incontro alle quali mi ha già in passato accennato. Egli ha avuto occasione di parlare di questa sua idea a Van Zeeland durante la recente visita di quest'ultimo in America, e Van Zeeland ha riconosciuto che una presa di contatto fra i due uomini potrebbe essere della massima importanza per chiarire la situazione mondiale, tanto più che Van Zeeland riconosce che l'Italia rappresenta oggi la posizione chiave per la soluzione dei problemi europei. A proposito di tale incontro però Van Zeeland ha il dubbio che il colloquio non potrebbe essere limitato fra Mussolini e Roosevelt senza suscitare qualche diffidenza in altri paesi. A conclusione di questo punto dirò di avere avuto l'impressione che il Presidente Roosevelt consideri questa possibilità di un incontro con grande favore e ci dia moltissimo peso, ma che non la ritenga realizzabile nell'attuale momento.
Parlandomi poi di politica generale, egli mi ha espresso l'opinione che nel momento presente non si possa pensare a convocare una conferenza mondiale di carattere economico; le opinioni sono troppo divise ed i malintesi sono troppo profondi perché si possa pensare che questi siano risolti per il semplice fatto di mettere dei delegati a sedere attorno ad un tavolo, e questa sua opinione egli l'ha fatta sapere anche a Van Zeeland.
Il Presidente è di opinione che tutti i nostri sforzi devono tendere a migliorare la situazione ma l'attività per ora non può svolgersi che in un campo preparatorio. Mi ha detto che, sebbene l'America oggi abbia fatto uno dei capisaldi della sua politica il miglioramento dei rapporti economici fra i popoli, egli è persuaso che nessun risultato stabile e proficuo si possa ottenere in tale campo se non si proceda prima a una limitazione degli armamenti. Svolgendo tale suo concetto egli ha messo in rilievo che qualunque accordo economico sarebbe sconvolto il giorno in cui o per accordo o per esaurimento si dovesse passare, attraverso delle gravissime crisi, dall'economia industriale di guerra a quella di pace. Meglio perciò pensarci fino a che si è in tempo per non lasciare che le cose arrivino a un punto tale che tale crisi sia inevitabile nelle forme più acute.
L'America, anche se non prende delle iniziative, è sempre pronta a collaborare in ogni movimento che tenda al fine suddetto.
Avendo il Presidente nella sua esposizione fatto un accenno alla tendenza alle autarchie economiche, io ho avuto modo di chiarirgli come l'Italia sia in tale riguardo in una situazione di necessità, come è stato dimostrato dall'esperienza nel periodo delle sanzioni. D'altra parte la tendenza autarchica italiana non significava per nulla una tendenza all'isolazionismo dell'Italia dagli altri paesi nel campo economico; essa tende soltanto a creare un minimo di garanzia e di indipendenza per le esigenze della sicurezza nazionale. Il Presidente mi ha detto di comprendere questo punto di vista italiano e di aver l'impressione che l'economia italiana sia posta su basi sane. Egli teme invece che in altri paesi, come in Germania, i rapporti economici siano posti su una base puramente artificiale che non possa costituire un punto di partenza per una sistemazione permanente. Mi ha citato di nuovo Van Zeeland per dirmi che, secondo l'opinione di quest'ultimo, la situazione economica della Germania peggiora ogni anno che passa. Ha concluso col dirmi che quando veramente si potesse uscire dall'attuale stato caotico ed avviarci verso una sistemazione generale, bisognerà prendere in riguardo tutti i problemi fra cui quello di assicurare il rifornimento delle materie prime agli Stati che ne sono sprovvisti, problema a cui egli dà la massima importanza.
Avendogli io nel corso della conversazione accennato che in Italia la popolazione si dimostra tranquilla e soddisfatta del modo come vanno le cose, egli mi ha osservato che altrettanto avveniva in America e che non dovevo pensare il contrario per le recriminazioni e l'apparente malcontento di qualche gruppo politico e di parte della stampa. Se si fosse dovuto giudicare secondo l'impressione della stampa prima delle elezioni, si sarebbe dovuto ritenere che non egli ma Landon dovesse essere il vincitore della campagna. Egli è persuaso di avere sempre dietro a sé la gran massa del paese la quale approva ed appoggia la sua politica. Gli ho risposto che effettivamente anche per mia esperienza mi ero persuaso che non bisognava dare troppo peso alle vociferazioni della stampa.
Nel congedarmi il Presidente ha detto che egli fermamente sperava che i nostri due paesi potessero trovarsi fianco a fianco a collaborare in un compito di ricostruzione mondiale.
Il Presidente ha improntato il colloquio a una nota di grande cordialità e nei ripetuti richiami che egli ha fatto al Duce ed alla sua politica si è espresso sempre nel tono della massima simpatia.
Dal complesso della conversazione ho avuto l'impressione che il Presidente sia in un periodo di attesa e di incertezza, combattuto fra il desiderio di voler fare qualche cosa per il miglioramento della situazione generale e l'esitazione a prendere qualsiasi iniziativa che potrebbe tradursi in un insuccesso. Tale suo stato d'animo può essere determinato anche dalla situazione in Estremo Oriente che preoccupa gravemente il Presidente ed il Governo americano ponendo per ora in secondo piano tutte le altre questioni.
Il Presidente mi ha anche detto che egli era lieto che avessi occasione di andare in Italia per poter parlare direttamente col Capo del Governo e mi ha invitato a dargli notizia non appena fossi ritornato in America.
F.to Suvich
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