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Educazione alla Trascendenza
di Valerio Sgalambro

Nella babele educativa in cui siamo immersi, i responsabili dei sistemi istruttivi si preoccupano di potenziare le capacità comunicative, di affinare le capacità relazionali, perfezionare i sistemi di valutazione, di portare avanti i propri progetti di ricerca didattica, ma pochi s'interrogano veramente sul senso dei valori che trasmettiamo ai nostri bambini. Sembra quasi un qualcosa che non li riguarda, come se tutto quello che oggi è, non si possa neppure lontanamente pensare di metterlo in discussione.
La forma, gli stili, le modalità e i termini del "come" prevaricano inesorabilmente sul "cosa" vale a dire sui contenuti dell'azione pedagogica.
Ovviamente noi siamo il risultato della nostra educazione ricevuta, la quale essendo propria, la riteniamo giusta e buona. L'unica cosa che rimane da fare è solamente trasmetterla ai nostri bambini nel miglior modo possibile.
All'interno di questa visione sembra quasi paradossale che qualcuno pensi ad un'altra scala di valori, a nuove verità da trasmettere o ricercare.
Il modo per mantenere suppurato questo tipo di sistema formativo è senza dubbio la pretesa che i saperi trasmessi siano validi poiché erano buoni allora, lo devono per forza essere anche ora.
Vediamo adesso cosa succede all'interno di una famiglia comune partendo dal matrimonio:
Il motivo per cui ci si sposa dovrebbe essere quello di una condivisione della Gioia nell'Amore.
In realtà il presupposto che spesso induce due persone a sposarsi è quello di compensare il gran vuoto della solitudine, cosi i due coniugi scendono a patti per soddisfare un comune interesse. Il patto tacito è quello di perdere la propria libertà in nome della redenzione dei propri bisogni, ovviamente questo è negato da loro e frainteso con l'amore.
Certo che in nessuna scuola, ancora oggi non è trasmesso il valore dell'Amore come Libertà, Verità, Trasparenza.
La scuola nostra è un buon esempio dell'educazione all'ipocrisia, basta pensare che ancora esiste un sistema di valutazione della ritenzione mnemonica per far sentire un bambino "Bravo" ovviamente quello con meno memoria, quello cattivo per sopravvivere è costretto a non essere se stesso, a fare finta d'essere come lo vuole un sistema che ha bisogno di funzionare sempre nello stesso modo.
La cosa peggiore che il bravo bambino è quello che furbescamente ha imparato il modo come stare a galla a prescindere dalle cose che debba fare, imparare, pensare. In pratica, il bravo bambino è colui che essendosi adattato a rinunciare a se stesso per un riconoscimento prima sociale poi etico, continua a rinnegare se stesso fino a quando un trauma esterno s'impone con forza a turbare quell'equilibrio fittizio.
Una scuola così non lascia scampo, o subisci o fingi di esserci dentro sperando che la gabbia protettiva che ci siamo costruiti per sopravvivere funzioni tutta la vita.
Tornando ai nostri due coniugi, dopo l'ubriacatura dell'innamoramento non rimane altro da fare che separarsi, lasciarsi più o meno bene e ritentare in un'altra avventura come dire altro giro, altra prova; oppure tentare la mossa/morsa/morsicante del matrimonio. Dopo poco tempo i due che inevitabilmente sceglieranno il matrimonio, si accorgono che di fatti non è cambiato molto, invece che sentirsi soli da soli, si sentono soli in due, la mossa successiva allora e quella di concepire un bambino quale elemento salvifico del rapporto diventato ormai mono-tono.
Spesso il bambino non è ancora nato che lui, il Marito è già da un'altra parte, altre volte riesce a resistere per quasi un anno la frustrazione del sentirsi messo da parte. Nel frattempo lei, invece, ha riposto tutti i suoi bisogni nel neonato che gli da tutto l'affetto necessario per trovare la forza di andare avanti da sola.
Nel caso in cui, uno dei due partner, quello che ha imparato a scuola la giusta dose d'ipocrisia, il bravo bambino per capirci, riesce a fare funzionare il rapporto e a farlo andare avanti un po' per forza d'abitudine e un po' per l'immissione d'adeguate valvole di scarico che di proposito la società mette a disposizione.
Alcune di queste distrazioni si possono chiamare Barboncino, Shopping, Gruppi per Sole Donne per lei, amichetta, Sport, soldi, Successo per lui.
Un bambino, in questa logica, nasce per un bisogno dei genitori o peggio ancora per incoscienza di questi, gettato così per dire nel mondo, se gli va bene, ma spesse volte, tirato fuori con forza o con macchinosità, non sa lui stesso cosa ci fa in questo mondo e perché ci si trova.
Non ha neanche il tempo di un primo respiro che subito diventa un ingranaggio di un sistema rotante di una giostra senza senso dove non potrà mai trovare un significato al suo esistere, se tutto intorno a lui non è altro che un laboratorio, predisposto ad hoc, per rimanere incosciente di se stesso e della sua vera natura.
In tutta quest'incoscienza lui, il bambino prima, e l'adulto dopo, non sa perché è nato, non sa cosa fare della sua vita, non sa quando questa finisce, non capisce perché si ammala, non sa come fare a guarire.
Nel frattempo a scuola continua ancora a studiare le stesse identiche cose di cinquecento anni fa.
Nessuno si preoccupa della sua felicità, della sua relazione con il mondo, del suo rapporto con Dio, della capacità d'essere vero, del valore della purezza, del senso della vita, della ricerca del trascendente.
Le cose più importanti non sono insegnate da nessuna parte, attorno a lui vive un è intenso mare di confusione in cui la sola cosa da sperimentare per trovare un limite è la trasgressione.
In questo stato d'ottundimento, cominciano a nascere i primi fondamenti su cui poggiarsi, vale a dire i riferimenti che gli permettono di orientarsi, quelle che sono chiamate regole sociali o leggi.
Il bambino non partecipa direttamente con queste regole, la disciplina è imposta, trasmessa, ma non sperimentata, vissuta. L'ovvia conseguenza di un'imposizione esterna è la ribellione, ma il ribelle è isolato, non trova spazio, allora si nasconde dentro ognuno di noi, per vivere avvinghiato su se stesso, incapsulato come una cimice su di un albero nell'attesa di poter emergere in tempi migliori.
Nel frattempo cominciano a nascere le illusioni per poter meglio sopportare questa prigionia del bambino ribelle domato, rinnegato, sommerso nell'oblio.
La prima illusione su cui ci poggiamo è la certezza della morte, se non avessimo questa certezza, si rischierebbe di impazzire alla sola idea di rimanere eternamente dentro questa trappola insensata che chiamiamo vita.
La speranza della morte è quella forza dorata, quella promessa d'ineluttabile trasformazione che s'impone dall'esterno nonostante la nostra paura al cambiamento. L'aspettazione è quella forza che ci permette di sopravvivere, di accumulare giorni di sopra-vvivenza: sopra, fuori e non dentro la vita!
Il tempo, infatti, è la seconda gran trappola su cui poggiamo i nostri riferimenti ingannevoli, anche se sappiamo benissimo che il nostro calendario è tutta una costruzione fittizia, facciamo finta di confidarci, anzi ci crediamo veramente. Trasformiamo la nostra vita in una saletta d'aspetto accumulando l'illusione che qualcosa avvenga, ma non sappiamo cosa, e in ogni caso, non facciamo niente per farla accadere se non aspettare qualcuno che ci tragga in salvo.
Non solo releghiamo ad altri la nostra coscienza, ma anche il nostro corpo, terza illusione su cui poggiamo la nostra identità, lo prostituiamo al Medico, quando ci ammaliamo, perché riteniamo che questo sia in grado di capire il motivo secondo cui il corpo non funziona più.
La nostra Medicina assediata da circa seicento anni non fa altro che eliminare il Sintomo, spegnere il campanello d'allarme che a volte ci allarma per tutta una vita senza che siamo riusciti a sentirlo una sola volta.
Il medico, quale meccanico della Giostra del Vuoto, a sua volta non ha nessun rapporto col trascendente, infatti, si rivolge ai sistemi religiosi in auge, i ministri di tali sistemi a loro volta si ammalano e si rivolgano al medico di turno che cerca di dare giorni di vita o meglio di "sopravvivenza".
Nessuno si preoccupa di dare vita ai giorni di riempirli di Significato, di Valore, d'Amore.
Per uscire da una prigione, a parte tutti gli accorgimenti pratici, occorre prima di tutto avere la consapevolezza di esserci, se non c'è la coscienza di una prigione, non c'è neppure la possibilità di potersi liberare.
Un giorno, forse, i nostri nipoti si sconcerteranno delle tante piccole cose su cui noi oggi poggiamo le nostre certezze e confidiamo con tanta fermezza.
Un giorno, quando non teniamo più prigionieri i nostri figli in un angusto palazzo, per tutta la mattina ed oltre, riempiendogli la testa d'inutili e anacronistiche nozioni o infarcendoli di psicofarmaci, quando l'uomo si sarà liberato dalla paura che lo costringe ad una pseudo schiavitù, per più d'otto ore al giorno, quel giorno quando nasceranno bambini nella coscienza dell'Amore ritrovato, ci accorgeremo che quei bambini liberi di vivere e d'Amare forse non sono solo lattanti, ma messaggeri divini.
valerio.sgalambro@aliceposta.it www.piuchepuoi.it/iba

 

webmaster Fabio D'Alfonso


 
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