Indice:
Introduzione
Cap.1 La Grecia occupata e il problema della fame.
1.1 Il problema della fame in Grecia durante i primi mesi dell’occupazione
Nazi-fascista.
1.2 Gli appelli greci alla Santa Sede.
1.3 La Santa Sede risponde: la sua politica e gli occupanti.
1.4 Il braccio di ferro tra la Santa Sede e l’Inghilterra.
1.5 I primi soccorsi internazionali e delle organizzazioni pontificie.
Cap.2 Gli aiuti internazionali.
2.1 La revoca del blocco.
2.2 Gli accordi tra le autorità d’occupazione e la Croce Rossa.
2.3 I problemi finanziari greci.
2.4 Le dure polemiche tra Gran Bretagna e Santa Sede sugli aiuti alla
Grecia.
2.5 La crisi politica in Grecia.
2.6 Le sgradite sorprese di Roncalli.
Cap.3 La fine dell’occupazione.
3.1 Una nuova crisi politica in Grecia.
3.2 La gestione degli aiuti in Grecia tra sospetti e rivalità.
3.3 Un primo parziale bilancio della Santa Sede sugli aiuti alla Grecia
e l’intervento a favore degli ebrei greci.
3.4 Le valutazioni politiche di Testa sulla situazione generale della
Grecia.
3.5 L’Italia lascia la Grecia.
3.6 La fine dell’occupazione tedesca.
Conclusioni
Bibliografia
Introduzione.
Oggetto di questa ricerca è l’esame dell’operato della Santa
Sede in favore delle vittime della fame in Grecia durante l’occupazione
italo-tedesco-bulgara. Il problema della fame si manifestò quasi
contemporaneamente all’inizio dell’occupazione con tutta la sua gravità,
tanto da risultare fra i temi che più occuparono la Santa
Sede fra l’estate del 1941 e l’inverno del 1942. La soluzione di questo
problema, d’altra parte, non comportò solo la messa in opera di
meccanismi di approvvigionamento ed assistenza alla popolazione greca,
poiché essa toccava altri temi estremamente delicati, quali quelli
militari, strategici, politici e diplomatici della guerra.
L’attività della diplomazia italiana contro il flagello della
fame in Grecia è documentata dalla raccolta “Actes et documents
du Saint Siege relatifs a la Second Guerre Mondiale”, curata da Pierre
Blet, Robert A. Graham, Angelo Martini, Burkahart Schneider e pubblicata
a Roma dalla Libreria Editrice Vaticana a partire dal 1969. La pubblicazione
di questa raccolta di documenti, come è noto, è stata decisa
dal Vaticano al fine di rendere noto l’operato della Santa Sede durante
l’ultima guerra mondiale, con la speranza di poter dissipare le polemiche
sorte sui “silenzi” e la condotta di Pio XII negli anni più
bui della storia del ventesimo secolo.
Per la nostra ricerca abbiamo utilizzato i documenti presenti nelle
sezioni “La Santa Sede e la Seconda Guerra Mondiale” e “La Santa Sede e
le vittime di guerra”. Della prima abbiamo consultato: il quinto volume
riguardante il periodo tra il giugno 1941 e l’ottobre 1942, pubblicato
nel 1969; il sesto volume concernente il periodo tra il dicembre 1942 e
il dicembre1943, pubblicato nel 1973; l’undicesimo volume che riguarda
il lasso di tempo tra il gennaio 1944 e il maggio 1945, pubblicato nel
1981. La serie sulle vittime della guerra è stata utilizzata più
ampiamente; in particolare i volumi ottavo, riguardante documenti redatti
tra il gennaio del 1941 e il dicembre 1942, pubblicato nel 1974; nono sul
periodo che va dal gennaio al dicembre del 1943, pubblicato nel 1975; e
decimo concernente gli atti datati fra il gennaio 1944 ed il giugno 1945,
pubblicato nel 1980.
Accanto ai documenti della Santa Sede ci siamo giovati de “I Documenti
Diplomatici Italiani”, pubblicati a cura della Commissione per il riordinamento
e la pubblicazione dei Documenti Diplomatici italiani, dall’Istituto Poligrafico
e Zecca di Stato; di questa raccolta abbiamo consultato i volumi della
nona serie ed il primo volume della decima serie, che complessivamente
coprono l’intero arco di tempo da noi trattato e che sono stati pubblicati
tra il 1987 e il 1992. I documenti italiani sono indispensabili per seguire
la politica di occupazione praticata dall’Italia, ma sono anche ricchi
di informazioni sia sulla situazione greca, sia sull’attività della
Santa Sede nei confronti del governo italiano e delle autorità di
occupazione ad Atene.
Per quanto riguarda le fonti tedesche abbiamo fatto riferimento alla
raccolta “Documents on German Foreign Policy”, pubblicata a Londra dall’Her
Mejesty’s Stationery Office. Di questa raccolta abbiamo consultato i volumi
XII e XIII della serie D, pubblicati rispettivamente nel 1962 e nel 1964.
Cap. 1 La Grecia occupata e il problema della fame.
1.1 Il problema della fame in Grecia durante i primi mesi dell’occupazione nazi-fascista.
Il 27 aprile 1941 le truppe tedesche ed italiane entravano ad Atene
ed innalzavano sull’Acropoli la bandiera con la croce uncinata, dando inizio
ad una lunga e pesante occupazione militare, che si sarebbe conclusa tre
anni e mezzo più tardi.
A seguito dell’occupazione, il territorio nazionale greco veniva smembrato,
secondo le diverse esigenze dei vincitori. Le zone assegnate alla Bulgaria,
che aveva contribuito alla vittoria dell’Asse, rivestivano un ruolo economico
e strategico fondamentale per la regione. La Bulgaria, infatti, annetté
parte della Tracia, considerata il granaio per eccellenza della Grecia,
e la zona più centrale della Macedonia con lo sbocco sul mar Egeo;
inoltre, riuscì a garantirsi un’influenza sul litorale con le isole
di Thaso e Samotracia. Su questi territori, da parte bulgara fu imposta
una durissima nazionalizzazione in tutti i campi della vita civile e politica,
espellendo gran parte della popolazione greca.
La Germania occupò la zona ad ovest della Macedonia fino all’Olimpo,
inclusa Salonicco con il suo golfo e la sua costa e la parte restante della
Tracia fino alla Turchia con le isole limitrofe, Lemno, Lesbo, Chio, e
Creta. L’organizzazione dell’occupazione tedesca dipendeva dall’Alto Comando
Militare Tedesco in Europa sud-orientale, con sede a Belgrado. Per la Grecia
erano stati creati tre diversi nuclei specifici di comando: il primo per
il controllo della Grecia del nord, con sede a Salonicco; il secondo a
sud, con sede ad Atene; il terzo a Creta. Inizialmente il Primo Alto Comandante
fu il Maresciallo List, che fu sostituito in un secondo momento da Kunze.
Le autorità tedesche avevano preposto diverse istituzioni con il
compito di organizzare e dirigere l’occupazione. Queste istituzioni eseguivano
gli ordini e le direttive di organi amministrativi, che risiedevano nel
Reich, competenti a legiferare nei territori occupati. I tedeschi erano
riusciti a creare una capillare ed efficiente organizzazione, fortemente
centralizzata.
L’Italia non era stata in grado di sconfiggere la Grecia da sola e,
suo malgrado, aveva dovuto ricorrere all’aiuto tedesco. Al momento della
resa, la sua influenza militare e politica fu surclassata da quella tedesca,
ma, quando si giunse a definire la spartizione dei territori occupati,
fu l’Italia ad avere la meglio. Essa, infatti, annetté le Isole
Ionie e occupò i territori lasciati liberi da Bulgaria e Germania,
comprese tutte le isole del Mar Egeo ed una delle quattro province di Creta.
Le forze armate italiane in Grecia dipendevano dal Comando del Generale
Geloso, mentre l’amministrazione politica era affidata ad un incaricato
per gli Affari Interni di Atene, che in un primo momento fu Fornari, sostituito
poi da Venturini. L’organizzazione politica e militare dell’Italia fu meno
efficiente e funzionale di quella tedesca. Quest’ultima, infatti, disponeva
di un grande apparato organizzativo centrale, che,amministrando tutti i
territori occupati, mirava a fare dell’occupazione un’arma da poter sfruttare
a proprio vantaggio. Perciò, nonostante giuridicamente l’Italia
avesse maggior influenza in Grecia, di fatto fu sempre l’autorità
tedesca a prendere le decisioni più importanti. Inoltre, nonostante
vi fosse una distribuzione dei poteri politici fra gli occupanti
italo-tedeschi, e che questo di fatto avvantaggiasse la Germania, gli oneri
amministrativi ricadevano unicamente sull’Italia, che risultava l’occupante
ufficiale.
La città di Atene fu sottoposta ad un’amministrazione a tre,
italiana, tedesca e bulgara, che il plenipotenziario tedesco in Grecia
Altenburg definì un “complicato condominio per le potenze dell’Asse”.
Nonostante l’occupazione militare dell’Asse, il governo greco e la
sua vecchia macchina amministrativa rimanevano virtualmente al loro posto.
In Grecia, al momento della sconfitta, Re Giorgio, il suo governo e alcuni
membri dell’esercito erano fuggiti. Le autorità d’occupazione avevano
contribuito a costituire un nuovo governo. Esse avevano scelto come primo
ministro il Generale Tsolakoglu, uno dei firmatari dell’armistizio, ed
influenzato la designazione degli altri membri del governo, in modo che
questo risultasse totalmente favorevole all’Asse e agli ideali nazi-fascisti.
La vita e le attività del governo dipendevano unicamente dalla volontà
degli occupanti.
Il governo greco, appena insediato, si trovò ad affrontare molte
difficoltà, prima fra tutte quella di dover far fronte alle ingenti
spese dei lavori pubblici, per opere di vario genere e interesse,
che gli occupanti ritenevano indispensabili. Per riuscire a far fronte
agli oneri fiscali e ai costi dei lavori pubblici imposti dagli occupanti,
il governo greco era costretto ad emettere più dracme sul mercato,
innescando un processo inflazionistico che portò il paese alla crisi
finanziaria.
La crisi economica e finanziaria aggravava gli innumerevoli problemi
della Grecia sotto l’occupazione. Le spese per le opere di ricostruzione
delle strade, dei ponti, delle ferrovie e dei porti, considerate indispensabili
dai tedeschi più che dagli italiani si aggiungevano alle altre costose
pratiche, svolte dalle autorità di occupazione. Queste ultime procedettero,
infatti, alla requisizione di tutte le materie prime, di solito attraverso
l’acquisto a prezzi irrisori dei diversi giacimenti minerari del paese,
ed a sottoporre al loro controllo tutte le attività industriali:
ogni stabilimento era acquistato e sfruttato dagli occupanti, ed ogni prodotto
inviato, per esigenze di guerra, in patria. In questa pratica di razionale
sfruttamento delle risorse, i tedeschi superavano gli italiani, avendo
maggiori risorse e godendo di un organizzazione più efficiente.
Ciano, dopo meno di un mese di occupazione, scriveva all’ambasciatore a
Berlino, Alfieri, lamentandosi dell’intraprendenza tedesca nell’accaparramento
delle risorse minerarie ed industriali, che rischiava di danneggiare gli
interessi italiani in Grecia.
I beni agricoli ed il bestiame, già scarsi a causa della guerra,
che aveva allontanato i civili da tutte le normali attività, subivano
il medesimo trattamento dei beni di produzione industriali, tanto che a
pochi giorni dall’occupazione tutti i granai della Grecia erano stati svuotati,
ed era impossibile trovare un orto con i propri frutti o una fattoria con
il proprio bestiame.
La penuria di cibo, provocata dalla guerra e dalle requisizioni arbitrarie
delle truppe italo-tedesche, era aggravata dal fatto che il mare non poteva
più offrire le risorse che, fino al momento dell’occupazione, erano
state vitali per il paese. L’articolo quattro dell’armistizio sanciva,
infatti, che il traffico navale doveva essere sospeso, e, dunque, le attività
commerciali, turistiche e della pesca erano impedite. Il paese, ancora
poco industrializzato e con un’economia agraria arretrata, era privato
di risorse essenziali per la sua sopravvivenza. I tedeschi e gli italiani,
per motivi di sicurezza, non facevano passare alcuna nave o carico, che
non fosse appartenuto a loro. Qualora, però, avessero voluto
aprire il passaggio al porto del Pireo, non avrebbero potuto, perché
questo era stato chiuso fin dai primi giorni di aprile dagli inglesi, durante
la loro ritirata. La chiusura del porto rendeva la situazione ancora più
grave per i greci, privati della loro risorsa di comunicazione più
grande. Naturalmente anche la pesca, attività assai produttiva per
il paese, era impedita dal blocco. L’azione inglese costituiva, dunque,
un'altra causa di penuria alimentare ed economica per il popolo greco.
Secondo gli occupanti, anzi, il blocco era il principale responsabile dei
problemi del paese. Quanto ai greci, essi non credevano che revocando il
blocco la questione della fame si sarebbe risolta totalmente, ma ritenevano
che una revoca avrebbe potuto risollevare in parte la situazione.
Le privazioni descritte, sommate una ad una, complicavano lo stato
d’indigenza in cui versò il paese durante l’occupazione. La Grecia
non poteva sostentarsi autonomamente senza le risorse del mare, il grano
della Tracia, le poche industrie e i piccoli giacimenti minerari. Durante
l’occupazione il paese soffrì la fame, come non era mai accaduto.
Nel periodo del conflitto, gli inglesi avevano assicurato ai greci
gli approvvigionamenti necessari, ma, una volta che essi furono sconfitti,
non giunse loro alcun aiuto anglosassone. L’Inghilterra, infatti, riteneva
che fosse dovere degli occupanti preoccuparsi dell’approvvigionamento alimentare
delle popolazioni assoggettate. Il problema della fame apparve subito con
estrema forza, ma, fin dai primi giorni dell’occupazione, si comprese la
difficoltà di una sua soluzione, perché esso era il risultato
di una serie di fattori, come l’occupazione stessa e il blocco britannico.
La Santa Sede, dunque, avrebbe dovuto affrontare un problema molto spinoso
dal punto di vista politico.
Già a partire dal primo mese dell’occupazione, il plenipotenziario
italiano in Grecia, Ghigi, e quello tedesco, Altenburg, testimoniarono
ai loro governi la difficile situazione alimentare del paese. Nei primi
giorni di maggio, l’ambasciatore Altenburg scriveva al ministro degli esteri
tedesco, comunicandogli i propri timori riguardo il pericolo costituito
dalla carenza di cibo nelle zone occupate dagli italiani. Questa penuria
di viveri poteva creare problemi di sicurezza, vista la debolezza delle
truppe italiane. Altenburg chiese una soluzione della questione.
Il 16 maggio Ghigi scriveva a Ciano di aver discusso con Altenburg e List
delle difficoltà alimentari del paese, soprattutto della città
di Atene, alle quali la Germania stava facendo fronte grazie alla requisizione
dei viveri inglesi. Una settimana più tardi il plenipotenziario
italiano manifestava di nuovo la sua preoccupazione per una situazione
tale da far temere una crisi imminente, chiedendo ancora che venisse presa
una decisione e trovata una soluzione al problema.
I plenipotenziari dell’Asse si rendevano conto della gravità
del problema sia sotto l’aspetto politico sia sotto quello giuridico. Le
autorità d’occupazione, infatti, avevano dei doveri sanciti dal
diritto internazionale di guerra, fra i quali provvedere alle necessità
primarie dei popoli sottoposti ad occupazione. La Convenzione dell’Aja
del 1907, firmata anche da Italia e Germania, aveva stabilito i diritti
e i doveri degli occupanti e di coloro i quali subivano l’occupazione.
L’affermazione di tali regole era scaturita dalla necessità di rendere
più umana la condotta della guerra, e di affermare la valenza dei
diritti umani, anche durante i conflitti più duri. Fra i doveri
degli occupanti, ai quali si contrapponevano sempre i diritti degli occupati,
c’era quello di garantire il diritto alla vita delle persone. Questo diritto
comportava il dovere di occuparsi delle necessità primarie di coloro
i quali erano sottoposti ad occupazione, affinché non venisse messa
in pericolo la loro vita; a questo proposito erano stati vietati il saccheggio,
le espropriazioni indebite e l’imposizione arbitraria di tasse e tributi.
Le autorità tedesche ed italiane avrebbero dovuto rispettare queste
norme, ma spesso, per soddisfare le necessità che la guerra imponeva
loro, infransero le regole imposte dalla Convenzione dell’Aja. Essi ricorrevano
sia al saccheggio, col fine di reperire cibo e materie utili per la patria
e le truppe d’occupazione, sia all’introduzione misure fiscali estremamente
gravose per le possibilità del governo greco. Le suddette iniziative
erano attuate anche per portare a termine tutte le opere, che avrebbero
garantito loro maggiore sicurezza e agevolazioni. Quest’atteggiamento,
apertamente contrario al diritto internazionale di guerra, era testimoniato
sovente da alcuni rappresentanti delle autorità italo-tedesche.
Dopo soli venti giorni di occupazione giungevano notizie sulle requisizioni
italiane di viveri e provviste provenienti dalla Germania, destinate alla
Grecia. A questi atti arbitrari seguirono le denunce dei greci ad Altenburg.
Nello stesso periodo il capo del governo collaborazionista, Tsolakoglu,
presentò una nota sul cattivo comportamento delle truppe italiane
nel paese, nota che poi sarà ritirata dallo stesso primo ministro,
dietro le sollecitazioni di Ghigi. Le denunce di comportamenti iniqui in
territorio greco non riguardavano solo gli italiani, ma anche i tedeschi.
Lo stesso ambasciatore italiano a Berlino descrisse a Ciano la povertà
greca, dovuta alle continue rappresaglie tedesche, che avevano tolto al
paese ogni sua ricchezza.
Le risorse prodotte in Grecia, inoltre, non erano sottoposte solo ad
uno sfruttamento sistematico, ma anche ad una distribuzione razionalizzata,
che rientrava nella logica dei controlli sulla produzione. Le distribuzioni,
definite dagli occupanti, avrebbero dovuto far fronte sia alle esigenze
alimentari del paese, sia ai doveri stabiliti nella convenzione dell’Aja.
Questa politica alimentare, però, non avrebbe dovuto ripercuotersi
negativamente sui carichi di materie requisite, che partivano per la Germania.
In Grecia la razionalizzazione interessò prima le città,
perché esse avevano maggiori problemi di rifornimento, mentre
le aree rurali erano autosufficienti nella distribuzione del cibo. Gli
occupanti introdussero delle quote di derrate da produrre e da consegnare,
regolarono le semine, fissarono i prezzi e i sussidi. Gli adulti avevano
una razione giornaliera garantita di base, mentre priorità era data
ai lavoratori manuali, alle infermiere, alle gestanti e ai ricoverati negli
ospedali, cui spettava una razione supplementare. Per le categorie suddette
il latte doveva avere il 2,5% di grassi, mentre agli altri consumatori
era accessibile solo il latte in polvere. Questi provvedimenti non ebbero
degli effetti positivi, poiché le razioni di cibo giornaliere restavano
molto ridotte, ed i prezzi di tutti i generi alimentari salivano costantemente.
Per i greci divenne pressoché impossibile reperire il cibo al
di fuori delle quote stabilite, ma queste erano insufficienti. I canali
commerciali illegali, attraverso i quali chi possedeva ancora qualcosa
da scambiare poteva acquistare beni divenuti rarissimi, si sostituirono
a quelli tradizionali. Il fenomeno del mercato nero divenne una nuova piaga
sociale, poiché arricchiva solo pochi eletti, spesso legati alle
stesse autorità italo-tedesche, ed acuiva le privazioni di coloro
ai quali non era rimasto nulla. La situazione precipitava ogni giorno
di più e si era solo a pochi mesi di occupazione. Nel luglio del
1941 Altenburg riferiva al Dipartimento di Politica Economica di Berlino
la “drammatica situazione alimentare”, comunicando le richieste di assistenza
del governo greco alla Germania. Egli si riferì soprattutto alle
città di Salonicco ed Atene, costatando l’impossibilità di
poter dare del pane alla popolazione, e indicando la necessità di
dieci o quindicimila tonnellate di grano per il mese di settembre. I civili
greci intanto si erano ribellati a questa situazione, creando dei piccoli
focolai di protesta ad Argo. Da ciò che riferì Altenburg
emersero le difficoltà degli occupanti nel reperire il cibo; il
blocco navale rendeva i rifornimenti più complicati di quanto già
lo fossero a causa della guerra. Le preoccupazioni crescevano in vista
dell’inverno. Anche il delegato pontificio in Turchia, Roncalli, che in
quel periodo si trovava in visita in Grecia, esprimeva i propri timori
per la popolazione greca, descrivendo l’indigenza in cui era costretta
a vivere, perché ogni cosa veniva requisita e spedita in Germania.
La testimonianza del delegato apostolico rendeva nota anche alla Santa
Sede la questione della fame in Grecia, facendone un problema non più
solo interno alle potenze d’occupazione, ma allargandolo a sfere d’interessi
ben lontani dalla guerra. Le autorità governative greche continuavano
a rivolgersi agli occupanti, sperando in una risoluzione, ma gli intellettuali,
i professionisti e i politici esclusi dal governo videro nell’interesse
di Roncalli una reale possibilità di salvezza.
1.2 Gli appelli greci alla Santa Sede.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’opera della Santa Sede fu tutta
tesa a stabilire ed intrattenere rapporti con le diplomazie dei paesi coinvolti
nel conflitto e neutrali, perché il fine ultimo della sua attività
era contribuire alla causa della pace. L’attività diplomatica non
era legata unicamente a problemi politico-militari, ma soprattutto a questioni
umanitarie. Il Vaticano si proponeva di alleviare le sofferenze dei popoli
oppressi dalla guerra. L’attività assistenziale non poteva dispiegarsi,
se non con l’ausilio dei canali diplomatici, sui quali la Santa Sede investì
gran parte dei propri sforzi e delle iniziative più importanti.
Fu Pio XII il promotore di questa politica, il papa che fece “la guerra
alla guerra”, come lui stesso disse, grazie alla convinzione che “…la Chiesa
rinnegherebbe se stessa cessando di essere Madre…”, una Maternità
che era carità senza limiti, “carità fino in fondo” , fino
a dare la vita. Negli occhi dei milioni di sofferenti, che subivano giorno
dopo giorno la guerra, la Santa Sede si confondeva in questo messaggio
di carità cristiana. Il Papa diveniva una presenza reale, portatore
sia di aiuti morali, del conforto e della preghiera, sia di aiuti concreti,
del pane, del latte, dei medicinali, dei vestiti, dei posti letto e del
denaro. Tutte le vittime di guerra ricevettero uguale trattamento dalla
Santa Sede, la cui opera assistenziale si dimostrò imparziale nei
confronti di tutti i sofferenti. Pio XII non rinunciava a chiedere un continuo
intervento in favore delle vittime della guerra, e, proprio per questo,
intratteneva rapporti con gli opposti schieramenti: “…perché la
stella della pace, la stella di Betlemme spunti di nuovo su tutta l’umanità…(per
la sorte di)… centinaia di migliaia di persone, le quali senza alcuna colpa,
talora solo per ragioni di nazionalità o di stirpe sono destinate
alla morte o a un progressivo deperimento…”.
Il concetto di Chiesa-Madre, di Carità Cristiana e Misericordia,
su cui si basava tutta la politica della Santa Sede, soprattutto durante
la guerra, era condiviso da tutti gli uomini che lavoravano a stretto contatto
con il Papa. L’azione del Santo Padre fu sostenuta da personaggi chiave
nella storia del Vaticano durante la guerra. Domenico Tardini, a quel tempo
Segretario per gli Affari Straordinari della Segreteria di Stato, fu uno
di questi personaggi. Egli contribuì, con il proprio pensiero, a
delineare il ruolo della Chiesa durante gli anni del totalitarismo in Europa:
“ La Santa Sede deve fare di tutto per non confondersi con i prepotenti.
E ciò perché così vuole la giustizia, perché
così vuole il bene delle anime…, perché così impone
una ragionata previsione per l’avvenire. Ormai i piccoli oppressi sono
troppi. Sommiamo Polacchi, Norvegesi, Danesi, Belgi, Olandesi, Albanesi,
Greci, Austriaci, Cecoslovacchi, Romeni… ed avremo una cifra imponente.
Non è possibile che questa enorme massa sia perennemente tenuta
schiava. Lo è attualmente perché Germania e Italia
sono organizzate da una ferrea dittatura: ma ciò non può
durare a lungo. La Chiesa sa prevedere e provvedere…”.
Il ruolo del delegato apostolico Roncalli fu altrettanto vitale ed
importante per tale politica. Egli, infatti, era esecutore di una missione
diplomatica all’estero, tutta tesa a trasmettere la parola della pace e
della carità per i sofferenti. Sin dall’inizio del proprio mandato,
Roncalli si dimostrò degno di perseguire questa missione. Egli fu
delegato apostolico ad Istanbul fra il 1935 e il 1944, portando la parola
e la volontà di Pio XII nei luoghi dove operò, con solerzia
e con passione. Roncalli riuscì ad alleviare le sofferenze dei greci
e dei turchi, in numerosissime occasioni, organizzò la vita delle
comunità cattoliche in Turchia ed in Grecia, si adoperò per
salvare molte vite con le proprie forze e con l’aiuto della Santa Sede,
fornendo assistenza materiale e spirituale. Nel corso della guerra italo-greca
si era prodigato per alleviare gli stenti dei militari ellenici; nonostante
questi sforzi, tuttavia, il governo greco si era mostrato sempre piuttosto
freddo verso l’opera caritatevole della Santa Sede. Questo atteggiamento
ostile, però, era destinato a cambiare con il peggioramento delle
condizioni di vita dei greci sotto l’occupazione.
Come ricordavo, Roncalli, giunto in Grecia nell’estate del 1941, aveva
subito notato gli innumerevoli problemi che rendevano la vita dei greci
estremamente penosa sotto l’occupazione nazi-fascista; descrisse le privazioni
che affliggevano i cittadini, e, suo malgrado, previde un peggioramento
della situazione, paventando il pericolo della fame, della carestia e delle
epidemie. Il delegato dovette accettare la proposta di Ghigi di comperare
due razioni alimentari giornaliere per uso personale; queste ultime corrispondevano
ad un certo quantitativo di cibo predisposto da Roma per i soldati presenti
in Grecia. Il fatto di dover privare due soldati di una razione quotidiana
e di dover pagare personalmente per reperire cibo, ci fa comprendere la
gravità della situazione. In questa ed in altre occasioni, infatti,
Roncalli si rese conto ogni giorno di più della durezza dell’occupazione
e ne comunicò le conseguenze al Segretario di Stato Maglione.
L’esperienza di Roncalli in Grecia era destinata ad arricchirsi. Durante
la propria permanenza nel paese cominciò a ricevere le visite di
numerose personalità del luogo: intellettuali, medici, politici,
nonché uomini di chiesa, i quali si rivolgevano a lui chiedendo
un intervento del pontefice per alleviare le sofferenze dei greci. Il ruolo
del delegato sarebbe stato, nei progetti dei suoi visitatori, quello dell’intermediario
tra i bisogni urgenti del popolo greco, e la carità della Chiesa
di Roma. Indotto dalle condizioni in cui versava il paese, che egli stesso
aveva potuto costatare di persona, e dagli appelli degli stessi greci,
che avevano finalmente mutato il loro atteggiamento di diffidenza verso
il Vaticano, Roncalli maturò l’idea che l’unico a poter alleviare
le sofferenze del popolo greco fosse il Papa. Il Santo Padre, con la sua
intercessione, avrebbe potuto sbloccare la situazione di chiusura del Pireo,
conseguenza prima dell’indigenza greca. Il 6 agosto 1941, egli mandava
una lettera al Card. Maglione, nella quale esprimeva quest’idea, mettendo
in luce come alcuni personaggi greci più o meno illustri, appartenenti
a diverse categorie e schieramenti, fossero forti sostenitori di essa:
“Sin dai primi giorni il dott. Lorando, uno dei medici più distinti
di Atene e mia conoscenza, mi venne a dar conto delle nascoste sofferenze
specialmente dei poveri e che presto diventeranno generali, e a dirmi,
lui ortodosso, che nessuno poteva salvare la Grecia fuori di un intervento
diretto della Santa Sede. Lo pregai di farmi un progetto ben preciso circa
la natura ed i contorni di questo intervento, e gli proponevo, non potendo
il Santo Padre provvedere a tutto, di fissarmi le linee di un’opera di
assistenza e di aiuto che si sarebbe potuta organizzare a vantaggio di
una classe speciale di bisognosi, per es. i bambini. Mi promise di lavorare
in questo senso associandosi ad altre persone, ma non si fece più
vedere”.
Anche Mons. Calavassy, esarca apostolico per i cattolici di rito bizantino
in Grecia, “sempre attivo e dinamico” gli parlò della necessità
di suscitare un’iniziativa in nome del Santo Padre nel senso sopra indicato.
Egli dichiarò al nunzio di poter disporre di tutto il necessario
per l’opera di assistenza.
Roncalli riferiva che l’idea di un aiuto del Papa si faceva ogni giorno
più convincente e diffusa presso i pochi diplomatici rimasti ad
Atene: “e (la conversazione) vi torna con la conclusione che non resta
che il Papa indicato e capace di toccare il cuore delle grandi potenze
belligeranti a favore delle nazioni vinte e messe fuori combattimento”.
Queste opinioni facevano da sfondo ai progetti concreti, già delineati
dagli uomini politici greci, la cui richiesta d’aiuto doveva colpire molto
il Vaticano. Alcuni personaggi come Antonio Negroponte, uomo politico cattolico,
Sayas, avvocato, ex deputato di Patrasso, e il prof. Luvaris, deputato
di Tinos, ministro dell’Istruzione e dei culti, benché rappresentanti
di diverse idee politiche, vennero in visita da Roncalli, al fine di poter
sensibilizzare il Santo Padre sulla situazione presente in Grecia. Tale
delegazione chiese udienza con la speranza che il Vaticano potesse intercedere
presso le potenze belligeranti, che impedivano il vettovagliamento della
Grecia attraverso il porto del Pireo. Il blocco inglese, infatti, impediva
a qualsiasi nave di accedere al porto, costringendo il governo greco a
rinunciare a trecentocinquantamila tonnellate di grano, acquistate con
sacrificio dall’Australia e ferme a Suez, nell’impossibilità di
giungere in Grecia. Il blocco stava causando la morte per fame di migliaia
di greci, uomini, donne, anziani e bambini, senza che nessuno potesse fare
qualcosa. La soluzione di tutti i problemi, paradossalmente, rischiava
di marcire nel mare. Gli uomini politici greci, le autorità d’occupazione
e i rappresentanti del Governo, non avevano alcuna speranza di poter toccare
la coscienza degli inglesi, e, dunque, di far sì che il grano già
acquistato giungesse a destinazione.
Il Governo britannico riteneva che la responsabilità della penuria
di cibo fosse da imputarsi alle autorità di occupazione ed alle
loro rappresaglie. Lo scioglimento del blocco, quindi, a suo giudizio,
non solo non avrebbe potuto risolvere il problema, ma lo avrebbe aggravato,
concedendo ai tedeschi e agli italiani un’ altra fonte di arricchimento.
La Santa Sede, mediante la sua diplomazia, rappresentava per tutti l’unica
autorità che poteva far vedere agli inglesi le cose sotto una luce
diversa. Essa sola poteva dimostrare a Londra che gli aiuti umanitari sarebbero
stati destinati ai sofferenti, ai civili e non alle autorità occupanti.
Roncalli conosceva la difficile situazione del paese e le stesse autorità
di occupazione italiane lo avevano informato dell’insufficienza degli sforzi
italiani e della necessità di un intervento presso gli altri belligeranti
per sbloccare la situazione. La questione di un intervento del pontefice
era complicata a causa dell’inimicizia secolare che aveva separato, fino
ad allora, la Grecia ortodossa dal Vaticano. Un aiuto pontificio correva
il rischio di essere interpretato come un’indebita interferenza dai più
duri ortodossi, sia uomini politici che prelati, e avrebbe potuto risolversi
in un inasprimento dei rapporti, già così precari. In proposito
è lo stesso Roncalli a dire a Calavassy: “ Ho creduto di dovergli
rispondere che bisognava far onore alla carità del Santo Padre e
mettere in valore la Santa Sede: ma guardarsi subito dal mettere in vista
etichette ed elementi che avrebbero suscitato, per quanto degnissimi, diffidenza
ed antipatia nello spirito greco, perverso fin che si vuole su questo punto,
ma che bisogna prendere tal quale è”.
I fattori che ostacolavano la realizzazione di questo ambizioso progetto
erano molti, ma il delegato pontificio non rinunciò a chiedere un
intervento del Santo Padre e a prodigarsi affinché la Grecia avesse
almeno ciò che aveva già pagato. Per tutto il mese di agosto
del 1941, egli continuò a ricevere le lettere contenenti gli appelli,
le richieste d’aiuto, i piani e i ringraziamenti, per la carità
del Santo Padre. I greci e lo stesso Roncalli mostravano di avere fiducia
in Pio XII e nella sua azione sempre generosa: “Ma essi si mostrano così
profondamente compresi della bontà assoluta di questo gesto da rivolgersi,
loro Greci ortodossi e dopo tutto quello che è accaduto, al Capo
di tutta la Cristianità, che io li assicurai di trasmettere tutto
il loro pensiero al Santo Padre, come mi affretto a fare con questo rapporto”.
Con il passare dei giorni aumentavano i nomi di coloro i quali, spinti
dalla disperazione, si rivolgevano a Roncalli, per chiedere l’ultimo aiuto
possibile: G. Calafandris, appartenente allo schieramento progressista
ed ex Presidente del Consiglio dei Ministri; L. Maximos, ex Vicepresidente
del Consiglio dei Ministri e Ministro degli Esteri, Governatore della Banca
Nazionale di Grecia e rappresentante del partito popolare conservatore;Y.
Teotoki, anch’egli ex Vicepremier e Ministro degli Esteri; H. Eulambios,
professore, Presidente della Camera di Commercio, redattore di un memoriale
sulla situazione economica greca. Tutte queste persone erano state messe
da parte con il regime di Metaxas, ma ora ritornavano ad interessarsi attivamente
alla situazione del loro paese. Accanto a questi appelli ci fu anche quello
di T. Sophoulis, il più vecchio e alto rappresentante del partito
di Venizelos, Presidente della Camera dei deputati ed ex Primo Ministro.
Le lettere dei suddetti personaggi giunsero al Santo Padre, insieme ad
un memorandum del prof. H. Eulambios sulla situazione alimentare e sanitaria
greca. Roncallì spedì anche una la copia della risposta del
Reich alla richiesta del Metropolita di Atene, Damaskinos, che i tedeschi
lasciassero libero il passaggio ai vascelli inglesi, recanti il grano per
i civili. Il delegato apostolico inviò, inoltre, alcune informazioni
riguardanti l’atteggiamento favorevole delle autorità d’occupazione
tedesche e italiane verso l’iniziativa, a cui si aggiungeva la piena adesione
di Damaskinos, mentre estraneo al progetto era l’attuale governo del paese.
Il Metropolita di Atene, massimo rappresentante della Chiesa ortodossa
in Grecia, fu un altro personaggio chiave in questa situazione. Egli, infatti,
riuscì a rivolgersi al Santo Padre, superando ogni diffidenza,
nonostante la sua condizione di capo dell’ortodossia nel paese, rendendo
possibile un intervento del Vaticano nella questione. Damaskinos aveva
già dimostrato il proprio favore di fronte agli appelli ed ai progetti
di Roncalli e dei più illustri personaggi greci. In questo atteggiamento
di apertura verso la Chiesa di Roma il legato pontificio aveva percepito
la possibilità di poter riallacciare i rapporti con tutto il mondo
ortodosso greco. Roncalli si rendeva conto dell’importanza che quell’intervento
poteva avere sull’azione della Santa Sede in quel frangente. In un incontro,
il 9 settembre 1941, Damaskinos raccontò al delegato apostolico
di aver contattato inutilmente entrambe le autorità di occupazione,
facendo loro la richiesta di far passare il carico con le provviste alimentari.
Era stato lo stesso governo greco a pregarlo di interessarsi alla risoluzione
del problema, lui, che godeva ancora di qualche libertà in più
e che aveva i titoli giusti per poterlo fare, in quanto pastore della volontà
di Dio. Egli, quindi, si era recato dai tedeschi e dagli italiani, ritenendo
con ciò di adempiere alla promessa di interessarsi alla misera sorte
dei suoi figlioli, fatta al momento della sua intronizzazione. Agli occupanti
aveva chiesto l’incolumità per quei vascelli che avrebbero potuto
recare il grano già acquistato, ma tedeschi e italiani gli avevano
risposto che l’unico a poter trascendere le contese belliche e a far sì
che la situazione rientrasse nell’ambito delle manifestazioni umanitarie
era il Santo Padre. Damaskinos affermò di essersi reso conto dell’inevitabilità
e della necessità di una richiesta d’aiuto al Vaticano, tanto più
che nel frattempo molti altri avevano avuto quest’intuizione, e l’avevano
preceduto. Roncalli rimase colpito dalle parole del capo della Chiesa ortodossa
e in merito all’incontro scriverà: “Damaskinos mi mostrò
vera passione” .
Tutte le richieste di aiuto e collaborazione giungevano, attraverso
il delegato apostolico, al Card. Maglione, e successivamente arrivavano
sul tavolo di Pio XII. Che fare? Era opportuno intervenire in una situazione
così complessa? Il Santo Padre sarebbe riuscito a muovere a compassione
il cuore degli inglesi? Durante la guerra la Santa Sede si era già
trovata in situazioni simili, in cui si era rivelata tutta l’abilità
diplomatica dei legati pontifici e del Papa. Il Vaticano si era sempre
dimostrato prodigo di benevolenza anche nei confronti dei cristiani non
cattolici, senza discriminazioni di sorta. Di fronte alle richieste greche
tuttavia Roncalli ebbe qualche titubanza. Egli si interrogò sulle
reali intenzioni dei vecchi politici greci: “Sovente fui molestato dalla
tentazione di giudizio temerario circa le intenzioni vere e profonde determinanti
queste mosse. Vero amore dei fratelli minacciati di morir di fame?; oppure
mani tese innanzi per riprendere, ciascuno per conto personale, o del proprio
partito, nel dopo guerra che dovrà pur venire, l’intrigo politico
che ha sempre avvelenato l’atmosfera di questo paese?”. I dubbi erano legittimi,
ma non c’era tempo per riflettere, bisognava agire, perché l’inverno
era alle porte e la fame diveniva già una piaga che cominciava a
fare le sue vittime. Conforme allo spirito caritatevole del pensiero di
Pio XII, che superava anche le più dure controversie, il delegato
pontificio risolse le sue perplessità, argomentando: “Lasciando
andare le intenzioni, a nessuno sfugge peraltro il fatto che in un gesto
di indiscussa bellezza spirituale, come il rivolgersi al capo della cristianità
in un’ora così tragica, tutti abbiano voluto trovarsi d’accordo
e tutti aver parte, come a farsene un merito domani innanzi ai loro partigiani”.
Il Vaticano analizzò, attraverso la riflessione di Mons.
Tardini, la questione, dando la risposta, ancora mancante, agli appelli
ricevuti. Egli rifletté sulla guerra e sulle requisizioni degli
occupanti, cause prime del malessere in Grecia, e pensò che l’unico
possibile rimedio a ciò fosse rappresentato dalla possibilità
di far affluire una quantità indefinita di generi alimentari in
Grecia. Il paese aveva acquistato i viveri di cui necessitava, con grande
sforzo economico, versando somme di denaro all’Australia e alla Turchia
e trasportando l’oro greco in America, come ulteriore credito. Alle normali
difficoltà, che poteva presentare il vettovagliamento di un intero
popolo, si era aggiunto l’ostacolo maggiore: il blocco inglese. Gli inglesi
avevano un atteggiamento molto duro nei confronti della situazione, perché
ritenevano preciso dovere delle forze di occupazione nutrire le popolazioni
dei territori occupati. Tardini si chiese cosa poteva fare la Santa Sede
in quella situazione. L’unica risposta che seppe darsi fu quella che occuparsi
di un problema simile era già cosa ottima, perché si trattava
di “un’opera caritatevole”, ancor di più verso la Grecia eterna
nemica del papato. Egli esaminò tre possibili azioni fondamentali,
attraverso le quali l’opera della Santa Sede poteva prendere corpo:
“a) mandare del denaro. E’ cosa poco utile perché, costatando
molto le cose, anche con molto denaro si compra poco e, quindi, poco si
aiutano i bisognosi;
b) inviare generi che non vengono dal mare e, quindi, non sono soggetti
al blocco inglese. Si possono prendere in considerazione, per esempio,
i seguenti paesi: la Svizzera, la Turchia, la Bulgaria, l’Ungheria. E non
è difficile fare dei passi presso questi paesi: difficile è
riuscire. La stessa Svizzera, che , se non altro, poteva dare del latte
condensato per i bambini (e che cosa più simpatica per la Santa
Sede che venire in aiuto ai bambini?), ha concluso un recente accordo commerciale
con la Germania, in forza del quale gli stessi svizzeri sentiranno la fame:
tanta è la roba che dovrà partire per la Germania! Ad ogni
modo si potrebbe tentare di acquistare del latte condensato (e altre cose
per i bambini) in Svizzera e mandare in Grecia come offerta della carità
pontificia;
c) interessare l’Inghilterra per un’attenuazione del blocco nei riguardi
della Grecia e allo scopo determinato di far giungere viveri e medicine,
specialmente per i bambini. …”.
L’ultimo punto era quello più difficile da realizzare.
Gli inglesi avevano la preoccupazione che gli aiuti umanitari finissero
nelle mani degli italiani e dei tedeschi. E vi era il rischio che essi
considerassero il Vaticano complice degli italiani. La Santa Sede doveva
far superare questi timori, facendosi garante essa stessa delle truppe
d’occupazione e del loro comportamento, per dimostrare agli inglesi l’assoluta
imparzialità dell’operazione, diretta unicamente ad alleviare le
sofferenze dei civili. La diplomazia pontifica avrebbe agito allora in
una duplice direzione: da una parte verso il riottoso governo inglese,
persuadendolo della gravità ed urgenza della questione della fame
in Grecia, e garantendo un regolare svolgimento delle operazioni umanitarie,
dall’altra verso le autorità occupanti, facendosi promettere aperta
collaborazione e non interferenza nelle operazioni umanitarie.
Il compito era arduo, ma sia Roncalli, che conosceva da vicino la situazione,
sia Tardini, che la analizzò con scrupolosa attenzione, giunsero
alla conclusione che fosse dovere della Chiesa di Roma agire in modo da
aiutare la Grecia. Il contributo benefico del Vaticano avrebbe rappresentato
un bene per il mondo cattolico e per la figura di Pio XII di fronte all’opinione
pubblica mondiale cattolica e non, soprattutto in vista dei rapporti con
gli inglesi e gli americani: “L’intervento caritatevole e sollecito della
Santa Sede -scrisse Tardini- fatto con documenti che domani dovranno essere
pubblici, anche se votato ad insuccesso o a scarsi risultati, gioverebbe
sempre a mettere in buona vista la persona e l’opera del Papa. Con grande
vantaggio della religione”; mentre Roncalli aggiunse: “Parmi superfluo
aggiungere considerazioni sull’immensa portata benefica sullo spirito di
questi orientali che un intervento del Santo Padre in loro favore potrebbe
avere”, sottolineando un altro fattore determinante, cioè la possibilità
che un intervento del genere potesse generare una futura apertura nei rapporti
tra le due Chiese. Quest’idea comunque era poco condivisa da Tardini: “Quali
vantaggi- annotò- trarrebbe la Santa Sede da questo interessamento.
Oltre a compiere un tradizionale e nobile dovere, la Santa Sede ritrarrebbe,
come s’è detto enormi vantaggi di ordine morale. Non metto tra questi
la conversione degli scismatici greci e, forse, neppure un’attenuazione
dell’ostilità di questi verso la Santa Sede”. Lo spirito della politica
di carità e misericordia verso tutti coloro che soffrivano, cristiani,
protestanti, cattolici, ortodossi, liberi e prigionieri, vincitori e vinti,
doveva infine prevalere su ogni considerazione di tipo politico e religioso
della Santa Sede.
1.3 La Santa Sede risponde: la sua politica e gli occupanti.
Quando le richieste d’aiuto greche giunsero in Vaticano, la Santa Sede
rimase estremamente colpita, sia dalle descrizioni di Roncalli, che davano
un’idea piuttosto chiara della difficile situazione in cui versava il paese,
sia dagli appelli accorati dei greci ortodossi e cattolici. Il Card. Maglione
rispose a Roncalli di aver ricevuto il suo rapporto e di essere rimasto
profondamente commosso, come il Santo Padre, dal “quadro pietoso descritto
dall’E.V.”. Egli aggiunse che il Papa aveva dato immediatamente l’ordine
di cercare a tutti i costi i mezzi per poter soddisfare le richieste e
mandare gli aiuti necessari. L’atteggiamento favorevole, nei confronti
della Grecia, portò il Vaticano ad intraprendere quattro iniziative
diverse: la prima fu di attivarsi con la diplomazia inglese per ottenere
la revoca del blocco; la seconda di agire nei confronti di altri paesi,
che potevano mandare rifornimenti via terra; la terza di influire sulle
autorità d’occupazione in Grecia, per tentare di avere maggiore
collaborazione nell’approvvigionamento del paese; infine, la quarta di
prodigarsi, con l’ausilio delle proprie Commissioni, per costruire tutte
le istituzioni caritatevoli possibili all’interno del territorio greco,
col fine di poter sconfiggere il flagello della fame. Le quattro azioni
furono intraprese contemporaneamente, come lo stesso Mons. Tardini aveva
prospettato, ma solo la seconda e la quarta diedero risultati immediati.
I tentativi di sensibilizzare le autorità di occupazione italiane
erano iniziati nell’estate del ’41, durante la visita di Roncalli in Grecia.
Egli incontrò Ghigi nei primi giorni di agosto, e rimase estremamente
colpito dalla sua disponibilità e preoccupazione nei confronti della
sorte del popolo greco. Il plenipotenziario italiano disse al delegato
apostolico che ogni sforzo italiano era teso a risollevare la Grecia dalla
grave situazione d’indigenza, ma ricondusse le enormi difficoltà
a cui quest’operazione andava incontro, alla “voracità” delle armate
tedesche. Ghigi concluse l’incontro con Roncalli con la speranza in un
intervento del Vaticano nella questione. La speranza del diplomatico italiano
faceva presagire le difficoltà insormontabili dell’Italia nel far
fronte al problema del vettovagliamento greco. Da parte loro le autorità
tedesche ritenevano di non poter fare nulla per la Grecia. Due memorandum,
uno redatto dal Direttore del dipartimento di Politica Economica tedesco
e l’altro dal Ministro Eisenlohr, giungevano a questa conclusione dopo
aver riportato le pessime condizioni di vita della popolazione greca, i
calcoli riguardanti i carichi di grano previsti per l’autunno, i contributi
alimentari della Bulgaria e i problemi dell’approvvigionamento. In novembre,
la Santa Sede si attivò, attraverso il nunzio Orsenigo, anche a
Berlino, per sollecitare gli aiuti alla popolazione greca, ma le
fu risposto che la Germania si stava già prodigando molto per i
territori ellenici. Da due settimane mandava il proprio contingente
di viveri per scopi umanitari. I tedeschi dissero di essersi attivati anche
presso la Bulgaria, ed espressero benevolenza nei confronti dell’iniziativa
pontificia presso la Gran Bretagna. Le autorità germaniche, tuttavia,
non erano disposte a fare di più, perché ritenevano l’Italia
maggiormente responsabile. Gli alleati italiani, infatti, avevano occupato
la maggior parte della Grecia, e formalmente avevano maggiori doveri. Poiché
al livello territoriale l’Italia era più potente, i tedeschi la
ritenevano in dovere di contribuire di più all’approvvigionamento
alimentare. La risposta tedesca non fu troppo confortante per la Santa
Sede. Essa ribadiva chiaramente ciò che i tedeschi avevano già
più volte detto, cioè che la Grecia apparteneva ad una zona
d’interessi inferiore, rispetto ad altri territori occupati in Europa,
e, dunque, per essa non erano disposti a sacrificare le loro necessità
primarie di guerra.
Le previsioni ed i calcoli compiuti dai tedeschi rivelavano una situazione
alimentare catastrofica per l’autunno in Grecia. Anche gli italiani cominciavano
fortemente a preoccuparsi: Ghigi, infatti, scrisse del pericolo che la
situazione in Grecia potesse precipitare, causando enormi problemi di ordine
pubblico. Egli riferì anche delle richieste di grano fatte al Generale
Geloso, che tuttavia aveva dichiarato di poter rifornire la zona Atene-Pireo
solo per quattro giorni e con il grano destinato alle truppe.
In questa drammatica situazione, i rapporti tra le due autorità
d’occupazione cominciavano ad incrinarsi, in quanto gli italiani chiedevano
aiuto ai tedeschi, ma questi ritenevano prioritarie le esigenze di paesi
come il Belgio, la Norvegia, l’Olanda, e che il vettovagliamento greco
spettasse all’Italia, avendo questa maggiori interessi nel Mediterraneo.
Ciano ricordò nel suo diario “ una nota (tedesca) verbale piuttosto
forte per segnalare che in Grecia il popolo è alla fame e che noi
abbiamo la responsabilità di quanto colà possa avvenire.
Il meno che posso dire è che si tratta di un documento alquanto
originale”; e Mussolini riguardo alla nota disse: “I tedeschi dopo aver
portato via ai greci anche i lacci delle scarpe adesso pretendono di accollare
a noi la responsabilità della situazione economica. Possiamo anche
prendercela ma a condizione che tolgano del tutto i piedi da Atene e da
tutto il paese”. Nei primi giorni di ottobre Ghigi scriveva a Ciano che
la razione giornaliera di pane diminuiva sempre di più ed era arrivata
a novanta grammi. La soluzione della questione non appariva chiara, ma
da parte italiana si manifestava il convincimento che se il condominio
italo-tedesco avesse cessato di esistere e gli italiani sarebbero rimasti
soli nel paese, i consumi avrebbero potuto ridursi, e l’approvvigionamento
alimentare avrebbe potuto essere più facile. D’altra parte la questione
della fame in Grecia investiva anche preoccupazioni di pubblica sicurezza,
in quanto si temevano le conseguenze della fame: “epidemie, rivolte feroci
di coloro che sanno di non aver più nulla da perdere”. Proprio per
scongiurare queste conseguenze Mussolini dispose di far partire settantacinque
tonnellate di grano per la Grecia, seppur cosciente che erano un “magro
fabbisogno per il mese di novembre. Ma non si può fare di più.
Anche gli italiani stanno tirando la cinghia”.
Le autorità di occupazione insomma non riuscivano o non volevano
fare molto per la Grecia. L’unica soluzione al problema della fame restava
l’eliminazione del blocco posto dalla Gran Bretagna. E’ verso questo paese
che si diressero contemporaneamente gli sforzi diplomatici della Santa
Sede.
1.4 Il braccio di ferro tra la Santa Sede e l’Inghilterra.
Il Segretario di Stato inviò una prima missiva al ministro inglese
in Vaticano, Osborne, il 20 settembre 1941, per richiamare l’attenzione
del governo britannico sulla difficile situazione presente in Grecia. Il
Card. Maglione rilevò come il Santo Padre fosse disposto a fare
tutto ciò che era possibile per alleviare le sofferenze greche,
viste le numerose richieste d’aiuto provenienti da politici e religiosi
del paese. A Londra veniva richiesto di facilitare gli approvvigionamenti
dei greci, sia attraverso il mare, sia attraverso la terra ferma, e prima
di tutto di lasciar passare le trecento cinquanta mila tonnellate di grano
australiano. Maglione, inoltre, scrisse di aver fatto dei passi presso
le autorità di occupazione, affinché garantissero l’immunità
del vettovagliamento. Il Segretario di Stato concludeva ponendo in
rilievo la nobiltà del popolo greco e il legame tradizionale fra
l’Inghilterra e la Grecia, che rendeva doveroso l’intervento inglese nella
questione della terribile fame che stava investendo il paese. Questo era
il primo passo della Santa Sede verso l’Inghilterra. La risposta di Osborne
si fece attendere; essa giungeva al Card. Maglione dieci giorni dopo la
prima lettera, ed esprimeva l’ottimismo del Ministro inglese riguardo l’iniziativa
del Santo Padre. Egli dichiarò che in quest’iniziativa emergeva
la totale imparzialità pontificia nell’occuparsi “di un paese non
cattolico e non amico dell’Asse”. Osborne chiese ulteriori assicurazioni
dalle autorità d’occupazione, attraverso l’intermediazione della
Santa Sede, poiché doveva essere garantita l’assoluta incolumità
delle navi, che avrebbero trasportato le vettovaglie. Il Segretario
di Stato si occupò immediatamente di avere queste assicurazioni
sia dalla Germania, sia dall’Italia. Alla metà del mese di ottobre
erano state ottenute le dovute garanzie dai tedeschi, mentre Roncalli stava
per contattare l’ambasciatore italiano. Le procedure furono tanto veloci
che il giorno dopo il Card. Maglione inviò la propria risposta ad
Osborne: “mi reco premura di portare a Sua conoscenza che il Plenipotenziario
della Germania ad Atene, sig. Altenburg, con lettera del 26 agosto u. s.
diretta al Metropolita di Atene e da lui stesso trasmessa in copia al Delegato
Apostolico in Grecia, S. E. Mons. Roncalli, comunicava di essere autorizzato
dal suo governo a dichiarare: 1) che per la questione del vettovagliamento
della popolazione civile greca con grano australiano il Governo del Reich
dà l’assicurazione che detto grano sarà esclusivamente destinato
alla popolazione civile; 2) che tutte le necessarie facilitazioni saranno
accordate alle navi trasporto all’andata e al ritorno”. Le assicurazioni
tedesche sembravano eloquenti e complete; esse furono subito seguite da
quelle italiane: le autorità italiane confermavano che gli aiuti
sarebbero stati destinati unicamente alla popolazione civile, garantivano
l’immunità alle navi e si impegnavano ad occuparsi di questi aiuti,
sia nel viaggio di andata, che al ritorno.
La Santa Sede si era mossa in fretta, perché la fame in Grecia
si estendeva a ritmo elevato, mietendo ogni giorno nuove vittime, mentre
l’inverno era alle porte, e si prospettava il collasso del paese. Nonostante
l’iniziale ottimismo di Osborne, la risposta inglese non fu affatto positiva;
essa ribadì l’inviolabilità del blocco e spiegò le
ragioni di questa rigida presa di posizione: le potenze occupanti avevano
il dovere e la responsabilità di occuparsi dell’approvvigionamento
del paese, ma la Germania aveva costretto la Grecia a subire il suo costante
saccheggio, tanto da aggravare la situazione di penuria generale del paese.
L’Inghilterra era cosciente del fatto che, una volta giunto l’inverno,
la questione sarebbe divenuta ancora più precaria. Il governo di
Sua Maestà voleva evitare la catastrofe facendo giungere alcune
risorse alimentari dalla Turchia, visto che la Grecia poteva comunicare
con questa via terra, senza dover trovare l’ostacolo del blocco.
Londra propose alla Santa Sede di invitare le autorità italiane
a far fronte ai loro doveri di occupanti, e, dunque, di provvedere all’approvvigionamento
della Grecia; se ci fosse stato un miglioramento il governo di Sua Maestà
si sarebbe impegnato a migliorare il trattamento dei civili italiani in
Africa orientale. La reazione pontificia a questa risposta fu molto dura.
La Santa Sede sapeva che la proposta inglese non aveva valore, in quanto
l’Italia non poteva sfamare il paese neanche dietro condizione. Malgrado
il duro trattamento tedesco verso le popolazioni dei territori occupati,
l’Italia non poteva indurre gli alleati a fornire i viveri necessari, dunque,
anche se gli occupanti avevano contribuito alla depauperamento del paese,
ora non potevano rimediare. Vista la risposta inglese il Card. Maglione
pensò: “a tanta povera gente che soffre la fame e che la decisione
del Governo inglese espone alla più orribile sorte”, ed invitò
ancora gli inglesi a ricordare che la Grecia era una loro antica alleata.
Il Vaticano non si dette per vinto e attraverso Osborne continuò
ad appellarsi al Governo inglese. Inoltre venne intrapresa un’iniziativa
diplomatica presso gli Stati Uniti. Mons. Tittmann, incaricato d’affari
statunitense presso la Corte pontificia presso l’ambasciata statunitense,
aveva portato un appunto a Mr. Taylor, ambasciatore americano presso la
Santa Sede, nel quale si affrontava la questione degli aiuti da portare
alla Grecia. Mons. Tittman, inoltre, dopo la risposta inglese, si riprometteva
di fare ulteriori tentativi a Washington, per sensibilizzare anche gli
Stati Uniti alla questione greca. Il piano era di indurre anche gli americani
ad intervenire in favore dei rifornimenti e in favore dell’eliminazione
del blocco.
L’impegno diplomatico della Santa Sede fu costante per tutto l’autunno
e l’inverno dell’anno 1941-1942, ma il Governo di Sua Maestà non
accennò a ripensamenti riguardo la sua decisione di non revocare
il blocco. Il Vaticano non comprendeva la diffidenza degli Inglesi nei
confronti della propria iniziativa umanitaria, che riteneva essere ancora
più imparziale e neutrale delle altre, visto che si riferiva ad
un paese non cattolico, proprio come l’Inghilterra. Il Governo britannico,
però, sospettava che dietro alle pressioni pontificie ci fossero
le autorità fasciste italiane, pronte a cogliere l’opportunità
di svincolarsi dagli obblighi generati dall’occupazione e godere degli
aiuti umanitari. Vi era anche il rischio, secondo gli inglesi, che quest’iniziativa
celasse una manovra dello spionaggio italiano. Le assicurazioni che il
Vaticano si era preoccupato di raccogliere non bastavano a tranquillizzare
gli inglesi e a convincerli della totale imparzialità dell’iniziativa.
Osborne manifestò apertamente i suoi sospetti alla Santa Sede, che
si difese. Il Card. Maglione, infatti, rispose che le illazioni inglesi
non avevano alcun fondamento, in quanto non poteva esserci alcun collegamento
tra l’iniziativa caritatevole verso i greci e le necessità delle
autorità italiane. In quel momento storico la situazione greca era
di una gravità estrema, dunque la Santa Sede riteneva doveroso concentrarsi
sui problemi del paese. Il motivo di tanta premura derivava unicamente
dalle gravi condizioni dei greci, senza avere altre implicazioni. Per l’ennesima
volta la Santa Sede aveva dovuto difendersi e rispondere alle accuse inglesi.
Le autorità italo-tedesche garantivano l’immunità dei
viveri, delle navi che li avrebbero trasportati e di chi li avrebbe organizzati,
ma il governo inglese continuava a diffidare di chi aveva sempre trovato
il modo per sfruttare a suo vantaggio qualsiasi risorsa. Lo sfruttamento
indiscriminato di cui era capace l’occupazione nazi-fascista era un ulteriore
motivo, per cui l’Inghilterra si rifiutava di revocare il blocco. I britannici,
infatti, ritenevano che non fosse stato proprio il blocco inglese a ridurre
la Grecia alla fame, ma le requisizioni delle truppe italo-tedesche, e,
dunque, a maggior ragione, erano gli occupanti a dover far fronte alle
loro responsabilità. In questo modo il Governo britannico accusava
gli occupanti di essere gli unici responsabili della situazione, condannandoli
e denunciandoli per i crimini di guerra più efferati, ivi compresa
la morte per fame e stenti di migliaia di persone. Alla base di queste
accuse stavano le norme del diritto internazionale di guerra, la cui violazione
da parte dei nazi-fascisti era stata più volte testimoniata. L’occupazione
italo-tedesca non solo era stata incapace di far fronte ai propri doveri,
ma li aveva disattesi totalmente, depredando tutto ciò che poteva
offrire il paese. Il governo inglese non era disposto perciò a sottovalutare
la cosa, e ad agevolare chi si era macchiato di tali crimini. La legge
non imponeva nulla all’Inghilterra nei confronti della Grecia, mentre imponeva
obblighi e doveri precisi agli occupanti.
Ma la Santa Sede non voleva che il governo inglese ragionasse in termini
di diritto, ma alle disgrazie che subivano i greci. Il Papa propose di
fare un appello in questo senso a re Giorgio II, chiedendo ad Eden, capo
del Foreign Office, di volerrendersene latore. L’opinione pubblica inglese
doveva sapere che molte persone soffrivano a causa dell’irremovibilità
del Governo britannico. Gli inglesi dovevano comprendere la gravità
del loro atteggiamento che rappresentava una delle preoccupazioni maggiori
del Santo Padre, il quale cercava di aiutare anche le popolazioni non cattoliche
amiche della Gran Bretagna. Tardini continuò a sollecitare Osborne
di fare pressioni sul segretario del Foreign Office e di nuovo sul suo
Governo, ma la situazione era immutabile. Il governo britannico mandò
altre comunicazioni recanti l’ennesimo rifiuto alla sospensione del blocco,
ma il Vaticano non continuò ad insistere. La difficoltà maggiore
per la Santa Sede era rappresentata dalla consapevolezza che la diffidenza
inglese rischiava di provocare una catastrofe irreparabile, a causa di
sospetti infondati. Per l’ennesima volta la Segreteria di Stato stilò
un documento destinato alla legazione inglese, nel quale si spiegava nuovamente
l’intento che l’aiuto pontificio perseguiva. Il fine ultimo dell’attività
di assistenza in Grecia rientrava unicamente negli interessi della carità
cristiana. Quest’ultima si riferiva sia “a fratelli cattolici, che non
cattolici”, a maggior ragione se in una situazione di penuria di cibo disperata.
La Santa Sede informò che il proprio intervento, fin dal primo momento,
non era stato solo mirato all’eliminazione del blocco, ma che essa
si era mobilitata anche presso altri governi come la Svizzera e l’Ungheria,
al fine di reperire cibo e materie necessarie alla popolazione greca. Essa
si riferì all’appello di Damaskinos al Santo Padre, riguardante
anch’esso una richiesta di intervento presso l’Inghilterra. Il Metropolita
di Atene aveva detto di rivolgersi alla Chiesa di Roma in nome del novantacinque
per cento dei greci e ciò dimostrava il consenso e la legittimità
sul quale si basavano le richieste pontificie. Lo stesso Tardini aggiunse
una nota al suddetto documento, nella quale sottolineava il fatto che fossero
i greci per primi a chiedere l’aiuto inglese. Le necessità della
Grecia erano l’unico motivo valido che spingeva la popolazione ellenica
a fare tali richieste. La Santa Sede si muoveva su queste stesse orme,
chiedendo un aiuto per i greci, senza riferimento alcuno all’Italia. Il
Segretario per gli Affari Straordinari, inoltre, dichiarò di non
gradire l’atteggiamento del capo del Foreign Office, Eden, nei confronti
dell’attività pontificia. L’atteggiamento poco cordiale non si addiceva
ad un’attività di carità totale, come quella della diplomazia
vaticana. Le accuse stavano generando un inasprimento dei rapporti, mentre
l’Inghilterra non accennava a mutare i propri intendimenti.
L’urgenza di una soluzione si faceva impellente, considerate le condizioni
in cui versava la Grecia. La fine dell’anno si avvicinava, tuttavia l’Inghilterra
non sembrava avere intenzione di mutare i suoi piani. La Santa Sede stava
facendo di tutto per aiutare la Grecia con i propri mezzi, con l’invio
di cibo e medicinali, ma era cosciente che ciò non bastava. Il Segretario
di Stato decise allora di attivarsi nuovamente presso gli Stati Uniti,
che tanta influenza avevano sulla Gran Bretagna. L’America rappresentava
l’ultima risorsa utile, sia nei confronti degli inglesi, che per poter
raccogliere altri viveri e generi di prima necessità. Quell’ultimo
scorcio dell’anno, però, recava con sé le convinzioni e le
diffidenze inglesi, che andavano oltre ogni comprensione e solidarietà.
1.5 I primi soccorsi internazionali e delle organizzazioni pontificie.
Parallelamente all’attività diplomatica svolta presso la Gran
Bretagna e le autorità occupanti, la diplomazia pontificia si attivò
anche presso quei paesi che potevano garantire dei rifornimenti per la
Grecia via terra. Fra questi paesi c’erano la Svizzera, la Bulgaria e l’Ungheria.
La prima diede subito il suo assenso, affinché, per mezzo della
Commissione mista di soccorso di Ginevra, si potessero ottenere alcune
quantità di cereali, di latte condensato o in polvere e di medicinali.
Gli approvvigionamenti sarebbero stati consegnati a Roncalli, attraverso
il sig. Brunet della Croce Rossa Internazionale ad Atene.
La Bulgaria invece non rispose positivamente al Santo Padre, affermando
di avere già fornito del grano alla Grecia, per mezzo delle autorità
di occupazione, e di doversi occupare anche della sussistenza dei greci
in Tracia.
Intanto da parte greca, per bocca di Tsolakoglu si esprimeva
grande riconoscenza, per l’operato di Roncalli e del Papa, nella cui azione
il governo greco confidava molto. Tsolakoglu e Roncalli discussero anche
dei futuri sviluppi del rapporto tra Santa Sede e Chiesa ortodossa greca,
concordando che nulla di ciò che sarebbe accaduto era certo, se
non il fatto che l’opinione pubblica greca si sarebbe ricreduta di fronte
alla carità pontificia.
Nell’ottobre 1941 Roncalli fu sostituito nella sua opera di delegato
e rappresentante da Testa, in veste di uditore pontificio. Egli, però,
proseguì nella sua opera di assistenza, soprattutto durante l’autunno
e l’inverno di quell’anno, che furono particolarmente duri per la popolazione.
Nel mese di novembre tornò ad Atene per organizzare e coadiuvare
le opere assistenziali della Santa Sede, attivate con l’aiuto dei prelati
cattolici greci. Egli sostenne tutte le iniziative pontificie e, in alcuni
casi, ne fu promotore; a lui erano affidati sia il denaro inviato dal Papa,
per il vettovagliamento e le opere assistenziali, che i generi provenienti
da altri paesi tramite la Croce Rossa.
Roncalli fu senz’altro uno dei protagonisti positivi principali, nella
storia di quel terribile inverno, ma egli riuscì nel suo intento
grazie all’operato della Santa Sede, dei suoi collaboratori e delle strutture,
che questi ultimi con enormi sforzi riuscirono a garantire. In questo modo
furono istituiti numerosi e utili servizi a vantaggio dei civili. Uno dei
primi fu l’Ufficio Informazioni di Atene, a cui nel 1942 giunsero quarantamila
lettere. Quest’istituto fu organizzato in tutta l’Europa, con l’intento
di dare una risposta a tutte le richieste di familiari che non avevano
più notizie dei loro congiunti. In Grecia l’ufficio svolse le normali
attività di ricerca e informazione, collaborando con il governo,
la pubblica amministrazione e le autorità di occupazione. Il successo
di quest’organizzazione era testimoniato dal cospicuo numero di richieste
che ricevette.
Roncalli collaborò con un padre cappuccino, P. R. Liebel, per
l’organizzazione del “Monte dell’abbondanza”, un istituto che vendeva diversi
generi alimentari a prezzi equi e, nei casi più gravi, provvedeva
affinché le vettovaglie fossero distribuite gratuitamente. Quest’istituto
permetteva a tutti i bisognosi di poter avere ciò di cui avessero
più bisogno, senza dover ricorrere al mercato nero, che era divenuto
una piaga sociale, in cui le merci erano vendute a prezzi proibitivi. Il
“Monte dell’abbondanza”, dunque, fu un istituto fondamentale nella lotta
alla fame in Grecia.
Le tessere alimentari non permettevano di sfamarsi; inoltre l’organizzazione
degli approvvigionamenti messa a punto dalle autorità di occupazione
era estremamente precaria e risentiva dei continui accaparramenti che avvenivano
nel paese. La Santa Sede cercò di provvedere a queste lacune con
numerosi servizi dedicati al problema alimentare. Mons. Calavassy riuscì
a dirigere “L’opera dei focolai della Divina Provvidenza”, che organizzava
cucine economiche in tutta la Grecia. Quest’istituto raggiungeva la povera
gente di ogni origine e religione ovunque, fornendo pasti caldi. I sacerdoti
e le suore di rito greco non si tiravano indietro, collaborando alacremente
a queste attività. Iniziative speciali erano istituite all’interno
dei “Focolai”, in favore dei bambini. Nel 1942 fra Atene e Salonicco c’erano
sedici “Focolai”, che si mantenevano grazie ai finanziamenti della Santa
Sede e agli aiuti che essa era riuscita a garantire dalla Svizzera, dall’Ungheria,
e ovunque si potesse sollecitare un po’ di generosità. I “Focolai”,
queste mense ambulanti sparse in tutto il paese, garantivano una scodella
di minestra a chi aveva più bisogno; attraverso la concreta carità
molte persone conoscevano il Papa per la prima volta. Alcune pietanze,
fra quelle cucinate nelle cucine dei Focolai, divennero popolari, come
i famosi “maccheroni del Papa”.
L’opera di assistenza alimentare era affiancata ad altre attività,
come l’assistenza sanitaria. I medicinali, infatti, erano divenuti introvabili
come il cibo, ma l’assenza di questo aveva provocato l’insorgere di numerose
malattie, alle quali era difficilissimo far fronte. La Santa Sede si prodigò
affinché un cospicuo quantitativo di farmaci giungesse dal Principato
di Monaco al più presto. In particolar modo i medicinali più
ricercati furono quelli per l’infanzia.
Il Santo Padre ed i suoi collaboratori si preoccuparono anche di non
trascurare il campo dell’assistenza morale e spirituale. Questa doveva
riferirsi a tutti e soprattutto ai detenuti nei campi di lavoro o nelle
carceri, molti dei quali appartenenti a minoranze etniche, come gli armeni,
ed ai ricoverati negli ospedali. Tra questi ultimi erano presenti numerosissimi
soldati inglesi, che in Grecia vivevano come prigionieri. Ad Atene l’animatrice
di tante attività fu suor Elena Capart, che attivò una ricerca
nelle carceri e nei campi di concentramento, ispezionandoli e rendendo
noti i risultati di tale lavoro a Mons. Calavassy. In seguito a questa
ricerca fu fondata “L’opera di conforto ai detenuti”, un centro che dipendeva
dai “Focolai”, la cui azione si mostrò subito efficace: trentaquattro
tonnellate di viveri furono distribuiti nei campi di concentramento e tre
tonnellate alle prigioni, unitamente a indumenti di lana, calze, calzature,
sapone, medicinali, libri e molte altre cose. Le suddette distribuzioni
furono effettuate personalmente da Mons. Calavassy e da suor Elena, i soli
autorizzati. In questo modo l’opera assistenziale assunse continuità
attraverso l’istituzione pontificia, dalla quale si dipanavano le più
diverse attività e un complesso eterogeneo di servizi vitali.
Nonostante le molte iniziative in favore dei più deboli intraprese
dalla Santa Sede e grazie alle quali furono risparmiate molte sofferenze,
l’inverno fra il 1941 e il 1942, tuttavia, fu estremamente penoso per tutti
i greci. Le condizioni della popolazione rimanevano stazionarie, senza
subire rilevanti miglioramenti. Ancora una volta era Roncalli a descrivere
le condizioni del paese e della gente: “La situazione è divenuta
e diviene sempre più grave. Preghiamo il Signore e fate pregare
i ragazzi perché ci vengano risparmiati gli orrori della guerra,
come quello che soffrono oggi in Grecia. La guerra è brutta, brutta
come la peste, ma la fame, sapete, è pur qualcosa di orribile a
dirsi e a sopportarsi… . Insieme con Mons. Testa ho organizzato parecchie
opere di assistenza. Il Santo Padre mi ha mandato mezzo milione di lire
per cominciare. Ma ci vorrebbe il dono dei miracoli”.
I Focolai e le altre organizzazioni avevano cominciato ad essere pienamente
operative da un mese circa, ma la situazione non era migliorata, nonostante
gli sforzi di tutti. Alla fine di ottobre il Card. Maglione scrisse a Sophoulis
che la Santa Sede stava facendo anche l’impossibile per far passare il
cibo necessario in Grecia. Gli sforzi in questo senso erano molteplici,
tuttavia non erano ancora sufficienti per le esigenze della Grecia.
Roncalli sperava in un miracolo riferendosi alla possibilità
che gli inglesi revocassero il blocco, permettendo l’affluenza dei generi
necessari al paese. Ma questa era una possibilità molto remota dato
che in quel momento le trattative con Londra erano ad un punto morto.
Le sole attività di assistenza non riuscivano a mantenere l’intero
paese e gli aiuti sollecitati all’estero non erano sufficienti. La guerra
era gravosa per tutti, così alcuni paesi come la Bulgaria si trovavano
nella condizione di dover respingere gli appelli del Papa. Il Vaticano
mandò del denaro, che venne sapientemente amministrato dai collaboratori
pontifici, tuttavia non c’era molto da comprare. Le merci dovevano giungere
da altri paesi via terra, ma la guerra non permetteva viaggi molto veloci,
sebbene tutti i carichi fossero trasportati sulle navi della Croce Rossa
Internazionale. Nonostante gli evidenti ostacoli, le autorità di
occupazione si affidavano quasi totalmente all’operato del Santo Padre,
così come i politici, gli intellettuali e la gente comune in Grecia.
Gli occupanti erano estremamente preoccupati, soprattutto perché
nelle loro zone si stavano verificando alcuni disordini, tali da mettere
in pericolo le truppe e la loro amministrazione. La ribellione si era collegata
direttamente al problema della fame, che l’Italia sperava si sarebbe risolto
grazie all’intervento della Santa Sede, come Ghigi riferì a Roncalli.
Le stesse autorità italiane tenevano in alto conto il parere del
Vaticano, nei confronti del loro operato, tanto che , fin dai primi contatti
con la Santa Sede, esse si mostrarono estremamente solerti nei confronti
dei greci e delle loro condizioni di vita. Roncalli stesso sembrò
subito convinto che gli italiani si prodigavano quanto potevano per la
sorte della popolazione greca, mentre considerava i tedeschi, con i quali
era molto più difficile comunicare, gli unici affamatori della Grecia
.
Durante l’autunno di quell’anno, le condizioni della guerra resero
sempre più difficili i già esigui contributi italiani e tedeschi,
così, se da una parte gli aiuti pontifici si facevano sempre più
organizzati ed efficienti, quelli degli occupanti divennero quasi inesistenti.
I tedeschi avevano già delineato le loro priorità e quantificato
gli aiuti oltre ai quali non potevano andare per l’autunno; gli italiani
avevano mandato qualcosa nel mese di novembre, sperando di poter arginare
le rivolte. Ma ciò non era sufficiente e il 5 novembre Ghigi riferiva
a Ciano della necessità di misure di controllo e repressione eccezionali.
Mussolini in quel momento dispensava solo “buone parole: forse non poteva
di più” alla proposta del ministro italiano ad Atene sull’eventualità
di risolvere il problema greco eliminando la convivenza con i tedeschi
nel paese. Le previsioni su quanto sarebbe successo, se la questione non
fosse stata risolta in tempo, erano le più fosche: “il paese non
è ancora alla fame ma ci sarà tra breve. Le sommosse avranno
luogo quando i bambini saranno sopraffatti dall’inedia”.
A fine novembre Ciano, incontratosi con Ribbentrop e Goering per parlare
delle più diverse questioni della guerra, affrontò anche
il problema della fame in Grecia. Mentre Ribbentrop “non ne sapeva un gran
che e non mostrava un interesse attento”, il Goering fu chiaro nel dichiarare
l’impotenza della Germania di fronte alla questione, perché la guerra
si faceva ogni giorno più dura e per i vettovagliamenti ai territori
occupati c’erano delle priorità da seguire: “ E’ chiaro che se l’umanità
è condannata a morire di fame, gli ultimi a morire saranno i nostri
due popoli”.
L’Italia era molto più vicina al Vaticano rispetto alla Germania.
Essa confidava nell’intervento pontificio, che avrebbe risolto non solo
un problema greco, ma l’avrebbe sollevata da un onere troppo gravoso. La
Germania invece aveva avuto contatti con il Vaticano solo attraverso le
autorità d’occupazione tedesche che avevano incontrato Roncalli,
ma l’influenza del nunzio era stata scarsa. L’intervento pontificio avrebbe
agevolato anche la Germania, ma questa non era disposta a piegarsi o a
sacrificare il suo tempo per una questione che riteneva secondaria. La
Grecia apparteneva ad una sfera d’interessi minori rispetto ad altri paesi.
L’Italia mostrò una solerzia ed un interesse maggiori, avendo maggiore
necessità d’aiuto, forse perché sapeva di poter sensibilizzare
ancor di più la Santa Sede verso il problema o per i suoi stessi
rapporti con essa. La situazione, tuttavia, sembrava non trovare un punto
di svolta e quel Natale fu il più terribile che la storia greca
ricorda. Nell’omelia di Natale al Pireo Roncalli chiese ai turchi di fare
una colletta per i bambini greci, perché le sole forze pontificie
non erano sufficienti. Il 1941 si concluse con un gran numero di morti
per fame sepolti nelle fosse comuni, che molto spesso si erano trovati
per le strade a mendicare un po’ di cibo. In pochi mesi di occupazione
la Grecia era stata ridotta alla fame, tanto che lo scorbuto divenne
una malattia frequentissima, nel paese dell’olio d’oliva. Non rimaneva
più neanche la dignità, perché ci si vendeva per una
razione supplementare e per lo stesso motivo spesso non si
dichiarava neanche la morte di un parente. La speranza di poter risolvere
la situazione era sempre più lontana.
Cap. 2 Gli aiuti internazionali.
2.1 La revoca del blocco.
La situazione si sbloccò inaspettatamente alla metà di
gennaio 1942, quando il legato pontificio ad Atene si trovò ad ascoltare
una comunicazione di Radio Londra che dava la notizia della sospensione
del blocco. Roncalli notò subito che l’annuncio non aveva fatto
alcun riferimento all’attività svolta dalla Santa Sede, e mandò
immediatamente un telegramma al Card. Maglione, perché accertasse
la veridicità del comunicato. Per più di dieci giorni non
si ebbero conferme o smentite della notizia. Intanto le autorità
di occupazione continuavano ad ignorare il fatto, mentre la Grecia precipitava
sempre più nel baratro della fame; alla fine di gennaio Mussolini
aveva ordinato che alcuni quintali di generi alimentari diversi salpassero
per il paese. All’inedia, che attanagliava la vita della popolazione greca,
si era aggiunta una forte ostilità nei confronti delle autorità
di occupazione. Come abbiamo detto, gli italiani erano notevolmente preoccupati
per ciò che avrebbe potuto comportare questa situazione; essi, infatti,
erano coscienti della debolezza delle proprie truppe di occupazione e del
fatto che la resistenza greca avrebbe potuto sottrarre alla guerra forze
indispensabili su altri fronti. Il 28 gennaio, finalmente, la notizia
di Radio Londra fu confermata. Il delegato apostolico a Londra, Godfrey,
infatti, era stato interpellato da Maglione per avere ulteriori informazioni
su quanto aveva udito Roncalli. Godfrey riferì che il Governo inglese
aveva revocato il blocco per lasciare libero il passaggio di ottomila tonnellate
di grano verso la Grecia, che dovevano essere trasportate dalle navi della
Croce Rossa internazionale. Il Governo britannico, però, ribadiva
la fermezza dei suoi propositi riguardo i principi del diritto internazionale
di guerra, sottolineando ancora i doveri degli occupanti. Il Governo
inglese si lamentava del fatto che i tedeschi non avessero dato alcuna
garanzia per le merci destinate allo sbarco, ammettendo comunque che, anche
se l’avessero fatto, non sarebbero stati creduti.
Il telegramma di Godfrey non dispensava molte note positive, nonostante
la Santa Sede avesse a lungo operato per la sospensione del blocco: il
governo inglese intendeva ribadire l’immutabilità della sua posizione
nei confronti degli occupanti, nonostante la decisione di revocare il blocco.
La diffidenza britannica avrebbe comportato la necessità di un’ulteriore
attenzione sulla questione dei rifornimenti alimentari, perché questi
non cadessero nelle mani delle truppe e delle autorità d’occupazione,
né fossero motivo di facili illazioni britanniche. Il riferimento
ai doveri degli occupanti lasciava presagire che gli inglesi non avevano
alcuna intenzione di separare la questione del vettovagliamento greco dai
doveri italo-tedeschi nel paese. Il governo britannico avrebbe fatto di
tutto perché gli occupanti cooperassero all’approvvigionamento,
contribuendo con propri aiuti alimentari. I rapporti tra le autorità
di occupazione in Grecia e coloro che avevano permesso l’approvvigionamento
del paese erano, dunque, destinati a rimanere estremamente tesi. La Santa
Sede sapeva che era necessaria una piena cooperazione da entrambe le parti,
per far sì che il vettovagliamento avesse potuto dare i risultati
sperati. Il Vaticano si era duramente prodigato, affinché sia gli
italiani che i tedeschi dessero preventivamente le loro assicurazioni riguardo
lo sbarco e lo svolgimento delle operazioni umanitarie. Le garanzie promesse
dalle autorità di occupazione, però, non avevano avuto alcun
peso per gli inglesi, che diffidavano di ogni iniziativa dell’Asse. La
mediazione del Santo Padre in questo contesto si era mostrata totalmente
inutile. Quando il blocco fu revocato, la situazione continuò a
presentare molte difficoltà, dato che era probabile che le diffidenze
di entrambi gli schieramenti avrebbero portato ad incomprensioni e a polemiche.
Un irrigidimento inglese avrebbe potuto provocare una reazione degli occupanti,
la cui collaborazione nella distribuzione delle derrate alimentari era
fondamentale: la missione rischiava, dunque, di fallire miseramente.
Il legato pontificio non aveva menzionato le trecentocinquantamila
tonnellate di grano già pagato fermo a Suez, sul quale la Santa
Sede aveva puntato tutta la sua azione diplomatica. Questo notevole carico
di grano rappresentava una legittima restituzione, che avrebbe potuto alleviare
le sofferenze del paese. Gli stessi greci, che si erano appellati al Papa
tramite Roncalli, avevano menzionato fin dal principio il grano australiano,
rivendicando unicamente un intervento diplomatico, senza chiedere aiuti
alimentari. Probabilmente l’orgoglio greco si sentiva meno ferito da una
richiesta di restituzione, che da un appello d’aiuto gratuito. Comunque,
in una situazione economica di guerra difficile per tutti, avrebbe potuto
risultare più facile richiedere ciò che si era legittimamente
acquistato, piuttosto che contributi gratuiti. Le trecentocinquantamila
tonnellate di grano australiano erano state l’oggetto della contesa diplomatica
tra Santa Sede e Gran Bretagna. L’Inghilterra si manteneva ancora molto
diffidente verso la Santa Sede e verso il destino che gli aiuti, una volta
giunti in Grecia, avrebbero potuto subire. Essa non intendeva far passare
più di quanto stabilito, certo per evitare di “aiutare” le autorità
d’occupazione e per esortarle a fare di più nel paese, anche cessando
le requisizioni o le imposizioni fiscali che avevano ridotto i greci alla
fame.
L’attività che la Santa Sede aveva svolto nei mesi precedenti
non era stata menzionata, né era stata valorizzata dando credito
al trasporto pontificio, che veniva sostituito dalle navi della Croce Rossa.
La Santa Sede, infatti, seppure non avesse apertamente prospettato
l’eventualità che gli aiuti potessero giungere attraverso navi battenti
bandiera del Vaticano, non era estranea all’idea. Roncalli, durante i primi
colloqui e i primi appelli dei greci al Santo Padre, aveva parlato della
possibilità di far transitare i soccorsi attraverso navi con bandiera
pontificia, in quanto vedeva in questa prospettiva un’ulteriore garanzia
di imparzialità. La Germania, per esempio, avrebbe potuto considerare
le vettovaglie più sicure, senza arrestare il passaggio delle navi.
L’Inghilterra, tuttavia, non prese neanche per un momento in considerazione
quest’eventualità; d’altro canto la Santa Sede non era contraria
alla Croce Rossa, a cui spesso si era affiancata per il trasporto dei viveri
o dei medicinali in favore delle vittime della guerra. Ma l’atteggiamento
inglese denotava ancora una volta diffidenza. Nonostante il comportamento
ambiguo del Governo britannico, il 27 gennaio 1942 il Ministro dell’economia
di guerra, Dalton, annunciò ufficialmente la decisione di revocare
il blocco alla Camera dei Comuni.
Il 31 gennaio fu comunicato a Ciano che Maglione stava accertando la
revoca del blocco, e quindi la possibilità che la Gran Bretagna
facesse passare dei viveri per la Grecia. L’Italia ne ebbe notizia solo
in quel momento. Intanto la situazione alimentare del paese precipitava;
dalla Grecia giunse l’annuncio che la vendita del pane era stata sospesa.
La Santa Sede contattò il governo americano, tentando di sensibilizzarlo
al problema greco; il Vaticano sperava che gli Stati Uniti avrebbero esercitato
la loro influenza sugli inglesi, convincendoli a far passare i viveri necessari.
Gli statunitensi dichiararono di voler intervenire presso gli inglesi,
per accelerare il passaggio dei soccorsi dall’Egitto. Essi intervennero
nella vicenda con successo, tanto che diedero un contributo notevole
alla decisione inglese di revocare il blocco. L’influenza americana fu
determinante più di quella pontificia.
Nel febbraio 1942 in una lettera di Osborne indirizzata al Card. Maglione
si spiegava sia l’atteggiamento inglese verso le autorità di occupazione,
sia la decisione di liberare il porto del Pireo dal blocco. L’atteggiamento
negativo nei confronti degli occupanti era giustificato dal loro comportamento
illegittimo in Grecia, che aveva portato il paese al collasso. Oltre a
condannare le pratiche di estorsione, saccheggio e sfruttamento, che caratterizzavano
l’occupazione nazista, Osborne definì i tedeschi indifferenti al
triste destino che attendeva la popolazione greca, ed incuranti del fatto
che le risorse del paese non erano sufficienti per sostenere la macchina
bellica tedesca. Il Governo e l’opinione pubblica inglesi non erano stati
soli in queste riflessioni, a loro si erano affiancati gli Stati Uniti
d’America. Essi avevano sostenuto la Gran Bretagna, sicuri che la Germania
non era disposta a fare nulla per porre rimedio ai saccheggi e alle estorsioni
cominciate nella primavera del 1941. Queste convinzioni rimanevano invariate,
tanto che gli anglo-americani erano propensi a pensare che gli occupanti,
avendo violato le norme del diritto internazionale di guerra, potevano
infrangere le loro stesse assicurazioni e garanzie, sfruttando a loro favore
anche gli aiuti umanitari.
La decisione di lasciare libero il passaggio alle navi della Croce
Rossa Internazionale per il trasporto del grano _continuava la lettera
di Osborne_ era scaturita constatando la situazione di emergenza maturata
in Grecia. Il Governo britannico, con l’appoggio statunitense, aveva stabilito
il passaggio di ottomila tonnellate di grano. Queste, aggiunte ai rifornimenti
provenienti via terra dalla Turchia, dovevano essere più che sufficienti
al soddisfacimento dei bisogni primari in Grecia. Nel documento era, dunque,
espressa la ferma decisione inglese di mantenere i vecchi propositi nei
confronti degli occupanti.
L’atteggiamento anglosassone era comprensibile, vista la situazione
politica e militare che contrapponeva l’Italia e la Germania all’Inghilterra
e all’America. L’idea di poter in qualche modo favorire le forze dell’Asse,
sia sollevandole dai loro doveri, sia correndo il rischio che esse arrivassero
ad approfittare di tali aiuti, non era congeniale agli anglo-americani.
I sospetti erano naturali, ma per la Santa Sede l’opera di carità
alla Grecia non rientrava nelle dispute politico-militari. Essa si rivolgeva
solo ed esclusivamente agli innocenti, che nulla avevano a che fare con
gli interessi di parte. Questa posizione non era compresa dagli Alleati,
che invece sospettavano che l’attività pontificia puntasse ad aiutare
l’Italia e temevano che dietro la sua azione si nascondesse lo spionaggio
italo-tedesco.
L’attività della Santa Sede non finì con la liberazione
del passaggio al Pireo. La diplomazia pontificia doveva tentare di calmare
gli animi anglo-americani, perché i vettovagliamenti non fossero
messi a repentaglio dalle questioni politico-militari della guerra. Il
Vaticano avrebbe sorvegliato le potenze di occupazione, garantendo uno
svolgimento indisturbato dell’organizzazione degli aiuti. Esso, inoltre,
doveva organizzare i carichi e la loro distribuzione; accordarsi con la
Croce Rossa Internazionale; appellarsi a tutti coloro i quali potevano
donare ciò di cui le vittime della guerra potessero avere bisogno;
garantire che nessuno tra occupanti e non potesse accusare di iniquità
o di corruzione la gestione degli aiuti. Il pericolo di una simile accusa
non poteva essere sopportato da chi agiva per il bene dell’umanità,
senza secondi fini o interessi reconditi, né una simile iniziativa
poteva essere infangata in nome di interessi assai meno nobili.
2.2
...........
2.3 Gli accordi fra le autorità d’occupazione e la Croce Rossa.
All’inizio di marzo la Croce Rossa informò le autorità
di occupazione su quanto si intendeva fare per il vettovagliamento in Grecia.
Gli occupanti, nel frattempo, avevano preso degli impegni con il governo
greco per la fornitura di trentaseimila tonnellate di grano. Gli italiani,
tuttavia, ebbero l’impressione che i tedeschi non volessero far fronte
agli impegni presi e decisero di contare solo sulle loro forniture di grano,
con il proposito di farle durare più a lungo possibile. La Croce
Rossa, però, continuava ad esortare le autorità di occupazione,
al fine di poter avere il loro contributo. La collaborazione delle forze
occupanti era determinante, per poter sperare in un aiuto costante e concreto
della Croce Rossa, senza il quale, d’altra parte, l’Italia non poteva provvedere
al vettovagliamento delle proprie zone.
Numerosi incontri fra i rappresentanti della Croce Rossa internazionale,
una delegazione svedese e le autorità che occupavano la Grecia si
susseguirono in quella primavera. La Svezia era divenuta una diretta
interessata nella questione del vettovagliamento greco, perché avrebbe
fornito il grano e soprattutto le navi per il suo trasporto.
Al primo incontro furono presi degli accordi sul trasporto dei viveri
da portare in Grecia. Questi accordi prevedevano: la creazione di una commissione
per la distribuzione del cibo; il passaggio attraverso il blocco al fine
di sfamare la popolazione; l’organizzazione dei vettovagliamenti, destinati
unicamente alla popolazione, concernenti quarantacinque o cinquantamila
tonnellate di grano, posti sotto la protezione della Croce Rossa internazionale.
Inizialmente le trattative non presentarono problemi particolari, anche
perché i primi carichi di cibo erano già sbarcati, migliorando
la situazione alimentare della Grecia. Geloso riferì a Ciano in
proposito: “ Ordine pubblico: buono. Salute pubblica (in particolare
le prospettive alimentari): un po’ migliori per il futuro”. La convivenza
tra occupanti e occupati era migliorata, grazie agli aiuti. L’Italia, che
tanto aveva temuto la resistenza greca, assunse, dunque, un atteggiamento
molto positivo nei confronti degli accordi per l’approvvigionamento greco.
L’intermediazione della Croce Rossa nell’organizzazione degli aiuti
ebbe effetti positivi, tanto che anche il Canada fu pronto a contribuire
con grano proprio all’opera di vettovagliamento in favore della Grecia.
Questo intervento canadese doveva essere seguito da alcune trattative,
che ponessero in essere delle garanzie da parte degli occupanti atte a
favorire il passaggio del grano canadese. I governi italiano e tedesco
assentirono alla creazione di salvacondotti per le navi provenienti dal
Canada; il controllo della Croce Rossa internazionale garantiva l’organizzazione
della spedizione. Naturalmente l’accordo ribadiva che i soccorsi, stabiliti
congiuntamente, sarebbero andati esclusivamente alla popolazione civile.
La Germania, tuttavia, fu meno solerte dell’Italia nel considerare validi
simili trattative. Essa, infatti, non fu d’accordo sulla decisione di porre
in essere una commissione di controllo, composta anche da elementi svedesi.
I tedeschi ritenevano che dietro quest’iniziativa potesse nascondersi lo
spionaggio anglo-americano. La Santa Sede intervenne in questa disputa,
intuendo che la situazione avrebbe potuto precipitare a danno della Grecia
e della sua salvezza. L’ambasciatore presso la Santa Sede, Guariglia, riferì
a Ciano che l’Inghilterra e gli Stati Uniti avevano acconsentito a che
le navi trasportassero un carico di quindicimila tonnellate di grano svedese
ogni mese. L’Italia, però, assumendo la posizione diffidente della
Germania, non colse la positività della notizia. Ciano rispose al
nunzio chiedendo un cambiamento dell’atteggiamento anglo-americano, poiché
l’Italia non era pienamente favorevole alla presenza di componenti svedesi
all’interno della commissione di controllo internazionale. La Croce
Rossa internazionale tentò una mediazione fra gli Alleati
e la Svezia, fino a che Junod, delegato generale della Croce Rossa di Ginevra,
propose la creazione di una commissione per il controllo dei soccorsi,
composta da alcuni membri svizzeri e svedesi. La proposta piacque agli
occupanti, che acconsentirono a lasciar passare i viveri in Grecia. Un
mese più tardi arrivò l’assenso degli anglo-americani.
La commissione di controllo, presieduta dal delegato della Croce Rossa
internazionale in Grecia, cominciò ad operare nel mese di giugno.
La sua attività prevedeva un rigido controllo della distribuzione
dei viveri alla popolazione. Il controllo dava delle garanzie a chi beneficiava
degli aiuti, in quanto la loro distribuzione avveniva in modo uguale per
tutti; in questo modo, inoltre, anche gli organizzatori dei soccorsi erano
lontani dalla possibilità di essere corrotti dagli stessi occupanti.
Le stesse assicurazioni venivano date anche a quelli che temevano che gli
occupanti potessero essere favoriti dalla situazione. L’eventualità
che essi potessero utilizzare i rifornimenti per le loro truppe, o che,
dietro l’organizzazione degli aiuti, si nascondessero le attività
di spionaggio bellico, erano sventate. Queste diffidenze accomunavano un
po’ tutti coloro che partecipavano all’iniziativa. La commissione, quindi,
avrebbe potuto svolgere un ruolo imparziale ed essenziale per la tranquillità
delle operazioni di rifornimento alimentare.
2.4
.................
2.5 I problemi finanziari greci.
La Grecia non poteva trovare pace sotto un’occupazione dissanguante,
come quella dell’Asse. Il problema della fame si stava risolvendo gradualmente,
ma altre questioni non meno gravi si affacciavano, come conseguenza di
un’amministrazione troppo onerosa, che non teneva conto delle reali possibilità
del paese. Nell’estate del 1942, Ghigi scrisse a Ciano che la Grecia non
era in grado di andare avanti nel far fronte agli oneri fiscali che gli
occupanti le avevano imposto. Nel paese si dovevano creare le condizioni
per uno sviluppo economico costante. Le uniche possibilità lavorative,
però, erano rappresentate dall’impiego nella costruzione delle opere
pubbliche militari, che la Germania aveva intrapreso. La crisi finanziaria
era già molto avanzata, tanto che l’inflazione rischiava di diventare
un flagello peggiore della fame. Ghigi proponeva alcune iniziative, per
cercare di risolvere la situazione: vietare alle autorità militari
di fare acquisti evadendo il fisco; creare un bando di denuncia dei lavori
militari; disporre i salari per gli operai, affinché il governo
greco potesse prendere adeguate misure fiscali. A queste proposte avrebbe
dovuto aderire la Germania, ma essa riteneva la situazione finanziaria
greca secondaria, rispetto alle esigenze di costruzione delle opere pubbliche,
dunque era molto difficile giungere ad un compromesso.
Gli italiani erano coscienti del fatto che i soccorsi umanitari che
stavano risollevando la Grecia dalla fame avevano l’effetto di aiutarli,
sostituendosi ad essi nel vettovagliamento del paese. I soccorsi rappresentavano
un indubitabile vantaggio, perché gli italiani stavano attraversando
momenti molto difficili, sia economicamente che militarmente. La
soluzione del problema greco assorbiva numerose forze militari e civili,
richiedendo anche contributi di carattere alimentare, divenuti sempre più
rari nella stessa Italia. Le autorità italiane venivano liberate
da un’ulteriore preoccupazione, lasciando che forze utili venissero impiegate
in altre zone dell’Europa. Gli interessi della carità cristiana
coincisero con gli interessi italiani; il Vaticano, risolvendo la questione
greca, aiutò molto anche l’Italia e la Germania. Quest’ultima, tuttavia,
si trovava in una posizione diversa rispetto all’Italia. Essa disponeva
di più cibo e mezzi e, quando la questione della fame in Grecia
emerse, le sorti della guerra erano totalmente favorevoli alla Germania.
Dunque essa non si preoccupò di favorire gli aiuti pontifici, non
avendone bisogno.
Al momento della crisi finanziaria, nell’estate 1942, l’andamento bellico
non era mutato, la Germania era ancora vincente, mentre l’Italia era sempre
fra mille difficoltà. Gli aiuti umanitari in Grecia erano stati
accolti molto benevolmente dalle autorità italiane, che avevano
creato meno problemi di ordine burocratico, rispetto ai tedeschi. Gli inglesi,
che con il loro consenso avevano permesso il passaggio degli aiuti, avevano
tuttavia ribadito la loro intenzione di non rinunciare a far sì
che anche le autorità di occupazione intervenissero nell’operazione
di vettovagliamento con propri contributi. La Croce Rossa stessa, fin dai
primi soccorsi, aveva continuato a sollecitare gli occupanti di proseguire
nella loro opera di approvvigionamento, impedendo loro di abdicare ai doveri
imposti dal diritto internazionale. Se gli inglesi avessero avuto il sentore
che gli occupanti stavano approfittando della situazione, avrebbero potuto
ripristinare il blocco. La Santa Sede cercò di sensibilizzare l’opinione
internazionale al problema greco, ponendo gli italiani in una posizione
più favorevole, rispetto ai tedeschi. Essa cercò di mettere
in luce i loro sforzi per approvvigionare il paese, senza menzionarli fra
i dilapidatori delle risorse greche. Ghigi aveva cercato di contribuire
alla creazione di quest’immagine positiva dell’occupazione italiana negli
incontri con Roncalli, il quale si era mostrato molto sensibile a questo
tipo di visione. Gli inglesi naturalmente non avevano creduto alla buona
fede italiana, né avevano revocato il blocco ritenendo di dover
far passare tutto il grano necessario, ma avevano cercato di far leva anche
sui doveri degli occupanti. La Croce Rossa, fortunatamente, non prestava
orecchio alle diffidenze inglesi, tanto che dalla primavera del 1942, superati
gli ostacoli degli accordi sull’organizzazione degli aiuti, i carichi di
viveri giunsero copiosi in Grecia. La crisi finanziaria però rischiava
di far precipitare la situazione.
Il 22 luglio Mussolini, di ritorno da un viaggio in Libia, si fermò
a visitare la Grecia, dove incontrò il plenipotenziario tedesco,
il Presidente del consiglio greco e il suo Ministro delle finanze. Questi
gli fecero rapporto sulla situazione del paese, ma il loro resoconto era
disastroso: “la Grecia è sull’orlo di una catastrofe finanziaria
e quindi economica e politica”. Mussolini ritenne di dover attirare l’attenzione
del Fuhrer su questa situazione, richiamandolo all’analisi dei seguenti
dati: “l’inverno scorso i morti per fame sono stati ventiquattromila, le
entrate dello Stato raggiungono faticosamente i trenta miliardi di dracme,
ma la circolazione è di centodieci miliardi. I prezzi sono saliti
alle stelle…”. Il Duce rilevava una situazione alimentare migliore rispetto
al passato, ma era estremamente preoccupato per quella finanziaria, che
si aggravava ogni giorno di più. La soluzione alla crisi prospettata
dal capo del governo italiano era rappresentata dall’alleggerimento delle
spese di occupazione. Egli scrisse di essere disposto a ridurre le spese
al minimo necessario, anche perché non era possibile trovare un
altro rimedio, visti i precedenti tentativi “in sede tecnica”. Mussolini
temeva una ribellione della popolazione, che fino ad allora era stata relativamente
tranquilla, contro le autorità occupanti. Quest’apprensione era
nata in seguito al commento del Ministro delle finanze greco, Gotzamanis
che, preoccupato per il futuro, gli aveva detto: “La fame è una
cattiva consigliera” . La crisi economica rischiava di provocare una nuova
crisi alimentare in una popolazione che era già fortemente debilitata,
vanificando gli sforzi di vettovagliamento del paese. Il pericolo che tale
situazione portava con sé era enorme, perché rendeva la Grecia
più facilmente influenzabile da Londra e dal comunismo che alimentavano
l’ideologia della nascente resistenza greca.
La visita di Mussolini aveva dato nuove speranze ai greci di poter
ridurre le spese di occupazione, risollevandosi dalla crisi finanziaria.
La risposta di Hitler, però, non confermò tali speranze.
Il Fuhrer, infatti, non considerava spese di occupazione quelle che gravavano
sul governo greco, perché quest’ultimo non provvedeva al sostentamento
delle truppe di occupazione. Le spese, per lui tanto limitate, erano sorte
per il ripristino di strade, ponti, porti, ferrovie ed aeroporti. Tutti
i lavori pubblici erano assolutamente necessari, non solo per le operazioni
militari delle forze di occupazione, ma anche per il benessere della Grecia,
che in primis avrebbe goduto di tali opere. L’impossibilità di trasportare
i materiali necessari al ripristino degli impianti dalla Germania o dall’Italia,
insieme alla difficoltà di pagarli in marchi, avevano imposto l’esigenza
che questi venissero pagati dal governo greco. Le necessità descritte
da Hitler dimostrarono, ancora una volta, l’irremovibilità tedesca
nei confronti di misure rivolte al risollevamento della Grecia. Tuttavia,
alcuni giorni dopo la risposta del Fuhrer, il governo di Berlino trasmise
un memorandum sul punto di vista tedesco circa il risollevamento della
Grecia. I tedeschi erano pronti a diminuire le spese di occupazione in
Grecia, anche se quantificare la diminuzione degli oneri fiscali era molto
difficile, perché i lavori che avevano provocato queste spese erano
necessari per motivi militari e pagabili solo in dracme. Nel documento
era definito l’importo delle spese che gravavano sugli occupanti, superato
il quale la differenza sarebbe stata colmata dal governo greco: si trattava
di una condizione iniqua per la Grecia, che non poteva sapere di volta
in volta quale cifra avrebbe rappresentato questo disavanzo. Essa non avrebbe
potuto difendersi da cifre addebitabili troppo alte, perché la regola
non prevedeva un tetto massimo, oltre il quale agli occupanti non era permesso
spendere. I tedeschi ritenevano che i materiali necessari alla creazione
delle opere pubbliche dovessero essere forniti dal governo greco,
perché in questo modo la Grecia avrebbe ridotto i debiti contratti
con gli occupanti e lo svolgimento delle opere sarebbe stato molto più
economico. Queste condizioni erano estremamente gravose per i greci, che
non possedevano più molti giacimenti, da cui poter ricavare i materiali
necessari, in quanto erano stati acquistati dagli occupanti. La Germania
e l’Italia si impegnavano ad aumentare le loro forniture alla Grecia di
prodotti essenziali alimentari e industriali. Per attuare un simile proposito,
i tedeschi prevedevano la creazione di una società monopolistica,
che avrebbe favorito il commercio tra la Grecia e la Germania. In cambio
di queste iniziative, il governo greco doveva impegnarsi a fermare l’aumento
dei prezzi e, quindi, il progredire dell’inflazione. I tedeschi erano disposti
a collaborare in questa direzione, mandando alcuni esperti, per appoggiare
e coadiuvare il governo greco nell’intraprendere tale politica. Il documento
voleva essere una dimostrazione dell’accondiscendenza e della disponibilità
tedesca nei confronti delle necessità greche, ma ribadiva il rifiuto
di rinunciare alle proprie esigenze. La Germania non aveva preso in considerazione
le proposte dell’alleato sul miglioramento della questione, ritenendo le
proprie più efficaci sotto tutti i punti di vista.
La situazione non accennava a migliorare. Dopo aver visto rifiutata
una riduzione della pressione fiscale per luglio, chiesta ai tedeschi da
una delegazione governativa greca coadiuvata da alcuni rappresentanti italiani,
la Grecia era sul punto di veder annullato il potere di acquisto della
dracma. Le proposte tedesche non lasciavano presagire un attenuamento concreto
della crisi. Anche Ghigi la pensava in questo modo. Egli esaminò
i progetti tedeschi per la soluzione dei problemi finanziari del
paese, senza riuscire a trovare una sola proposta positiva per la Grecia.
Il governo greco non poteva trovare tutti i materiali necessari per la
costruzione delle opere; per reperirli avrebbe dovuto acquistarli. Inoltre,
in questo frangente era inevitabile l’aumento dei prezzi e dei salari,
che avrebbe a sua volta comportato un aumento delle spese di occupazione.
La proposta di inviare altri esperti per esaminare ulteriormente la situazione
sembrava ancor più inutile, in quanto la Grecia aveva bisogno di
iniziative concrete, volte alla riduzione delle spese, e non di altri studiosi.
L’esperienza acquisita dalle autorità di occupazione, che avevano
analizzato la situazione approfonditamente vivendoci in prima persona,
era sufficiente. Ghigi sottolineava il timore che la questione potesse
portare ad una crisi politica, e ad “uno stato di inevitabile panico”,
compromettendo la sicurezza degli stessi occupanti.
I timori di Ghigi aumentarono in quegli ultimi giorni di agosto: se
il comando militare tedesco avesse chiesto la riscossione delle tasse di
settembre, come era prevedibile, la crisi politica sarebbe stata inevitabile.
Il Presidente del Consiglio aveva prospettato l’intenzione di dimettersi;
nell’eventualità della riscossione di settembre la minaccia sarebbe
divenuta un fatto concreto. Le dimissioni di Tsolakoglu avrebbero aperto
una crisi politica difficile da risolvere, in quanto nessun politico greco
si sarebbe preso la responsabilità di formare un nuovo governo in
una situazione finanziaria catastrofica come quella greca. In questo caso
l’Italia avrebbe auspicato una assunzione diretta del potere politico,
ma la condizione in cui era amministrato il territorio greco, cioè
la “mezzadria” con i tedeschi, non lo avrebbe mai permesso.
Il governo dimissionario avrebbe potuto rifiutarsi di ordinare un’ulteriore
emissione di denaro alla Banca di Grecia, per far fronte alle spese di
occupazione. L’unica soluzione possibile per il plenipotenziario rimaneva
quella prospettata da Mussolini. Egli consigliava anche una conferenza
tra le forze politiche greche e le autorità italo-tedesche, per
cercare di ovviare alla crisi politica e per rimediare alla crescente inflazione.
Ciano dimostrò di comprendere le preoccupazioni di Ghigi. In quel
periodo l’unica eventualità accettata dai tedeschi, fra quelle proposte,
era quella di indire una conferenza, nella quale fossero presenti tutte
le rappresentanze politiche. Il Ministro degli esteri italiano non sembrava
convinto della reale efficacia di una simile prospettiva, ritenendo che
se la conferenza avesse fallito si sarebbe trattato di un colpo di grazia
per l’economia greca. Tuttavia, essendo questa l’unica soluzione accettata
anche dai tedeschi, Ciano predispose la riunione di alcuni esperti, affinché
studiassero la situazione greca e portassero il loro contributo tecnico
alla conferenza. La fine del mese di agosto era, quindi, contrassegnata
dalla preparazione della conferenza, che, come sperava Ghigi, avrebbe rimandato
la crisi ministeriale di qualche mese.
Mentre si organizzava la conferenza, le condizioni della vita della
popolazione greca rimanevano estremamente precarie. L’aumento vertiginoso
dei prezzi provocò una serie di proteste da parte della popolazione.
Impiegati pubblici e operai cominciarono una serie di scioperi “totalitari”,
che preoccuparono ulteriormente le autorità di occupazione. Si temeva
il dilagare dei fenomeni di protesta, perché sempre più larghe
fasce della popolazione non avevano accesso ai beni di prima necessità.
Le rivolte avrebbero potuto essere strumentalizzate dalla propaganda anglosassone
e comunista, creando forti ostacoli alla riuscita di iniziative militari,
che dalla Grecia si indirizzavano principalmente verso l’Africa. A questo
proposito Ciano chiedeva che i tedeschi facessero la loro parte, per impedire
che le condizioni greche peggiorassero. Egli si riferì, come già
aveva fatto Mussolini, soprattutto alla necessità di ridurre le
spese di occupazione. L’ambasciatore italiano a Berlino, però, confermò
che, sebbene i tedeschi avessero fatto proprie le preoccupazioni italiane,
dichiarandosi disposti a fare quanto era in loro potere per limitare i
danni, avevano ribadito la necessità di non ridurre le spese militari.
La conferenza italo-greco-tedesca iniziò i suoi lavori all’inizio
di ottobre. Ma già dal primo giorno si manifestarono quelle difficoltà
che avevano impedito più volte il dialogo fino ad allora, e che
avrebbero reso la vita della conferenza estremamente difficile. In realtà
la questione presentava la solita disputa fra gli interessi delle forze
di occupazione e quelli del paese occupato. Si stabilì che il fabbisogno
mensile delle truppe dell’Asse fosse di cinquantatre miliardi di dracme,
ma la Grecia poteva fornire solo un miliardo e mezzo di dracme per le truppe.
Gli esperti italo-tedeschi ritenevano che il governo greco avrebbe potuto
aggiungervi altri sei miliardi e mezzo, in più avrebbe potuto fornire
nove miliardi e arrotondare con dei prestiti, ma rimaneva comunque una
grossa differenza da coprire. Chi avrebbe potuto e dovuto colmare questa
differenza? Con quali mezzi? Se si fosse provveduto a questa differenza
con l’emissione di nuove dracme, si sarebbe peggiorata l’inflazione. A
questo punto fu proposta la creazione di tre sottocommissioni, che avrebbero
analizzato tre diversi aspetti della questione: la prima si sarebbe occupata
di esaminare l’eventualità di poter aumentare i trasporti, facilitare
la riparazione delle navi e la fornitura dei materiali per le riparazioni;
la seconda doveva analizzare la capacità finanziaria del governo
greco, sotto il peso delle spese di occupazione; la terza si sarebbe occupata
di esaminare quali materiali potevano essere esportati senza far aumentare
i prezzi delle merci greche. Ma, dopo tre giorni di sedute non si
era giunti ad un accordo soddisfacente e i dissensi rimanevano soprattutto
da parte tedesca. Seguirono altri giorni di discussioni, tentati accordi
su progetti e proposte greche, ma le trattative non conoscevano uno sviluppo
positivo. La Grecia chiedeva non solo una riduzione dell’imposizione fiscale
a suo carico, ma anche che gli occupanti non comprassero nulla ed importassero
i prodotti di cui avevano bisogno. In cambio il governo greco si impegnava
a fornire delle somme ben precise. Ma queste condizioni erano troppo lontane
dal modo di vedere le cose degli occupanti. Si era ad un punto morto. La
Germania sembrava disposta a risolvere i problemi che sarebbero scaturiti
da un mancato accordo con l’uso delle armi, ma gli italiani paventavano
una simile eventualità. Le già debilitate forze militari
italiane non avrebbero sopportato un simile sacrificio, tanto che il delegato
italiano, Giannini, prospettò l’idea di fornire la differenza che
il governo greco doveva ai tedeschi, pur di non giungere ad uno scontro
armato e di risolvere la situazione. I tedeschi a quel punto mandarono
una nota che voleva essere risolutiva. Essa chiariva che le necessità
tedesche erano marginali in confronto a quelle italiane. Le spese di occupazione
venivano nuovamente giustificate, ricordando che i lavori pubblici erano
a tutto vantaggio degli italiani. Questi, una volta finita la guerra, ne
avrebbero potuto usufruire, rimanendo in Grecia, cioè nel loro “spazio
vitale”. I greci avrebbero ugualmente beneficiato di tali opere, perché
da soli non avrebbero mai potuto realizzare i lavori pubblici tanto criticati.
Il documento, inoltre, spiegava che erano si ritenevano inutili ulteriori
discussioni e che pertanto la Germania aveva preso la decisione di ingaggiare
due esperti, uno italiano ed uno tedesco, con il compito di coadiuvare
il governo greco nello sforzo di ridurre la crescita dell’inflazione. La
presa di posizione tedesca non era una proposta come le altre, ma una decisione,
a cui greci e italiani avrebbero dovuto uniformarsi. Gli italiani non ebbero
il tempo di poter contestare l’iniziativa tedesca, perché l’alleato
aveva già scelto il proprio “esperto”. All’Italia, dunque, non rimase
che fare altrettanto, per non restare esclusa dall’iniziativa. I due esperti,
Neubacher per i tedeschi e D’Agostino per gli italiani, erano incaricati
di seguire le vicende finanziarie greche, congiuntamente e per un tempo
determinato. Il periodo del loro lavoro sarebbe stato stabilito in un secondo
momento, quando si sarebbero visti i primi risultati della loro azione.
Gli italiani e i greci non nutrivano molta fiducia nell’iniziativa, ritenendola
completamente inutile. In questo modo le spese di occupazione non erano
state ridotte, mentre i lavori pubblici avrebbero continuato ad andare
avanti. Le proposte italo-greche erano state completamente ignorate, perché
i tedeschi avevano privilegiato i loro interessi ed il loro punto di vista.
Le autorità italiane e quelle greche apparivano sempre più
impotenti di fronte allo strapotere nazista.
2.6
.................
2.7 Le dure polemiche tra Gran Bretagna e Santa Sede sugli aiuti alla Grecia.
Mentre le autorità di occupazione erano tutte rivolte a risolvere
la crisi finanziaria greca, la Croce Rossa internazionale e la Santa Sede
continuavano ad occuparsi del vettovagliamento della Grecia. Esse controllavano
l’efficienza e l’equità delle distribuzioni, mentre l’Inghilterra
tentava, per quanto fosse possibile in un territorio occupato dall’Asse,
di vigilare sugli aiuti affinché non cadessero nelle mani degli
occupanti. Come abbiamo visto, per evitare una simile eventualità,
gli organizzatori dei soccorsi e gli occupanti avevano provveduto alla
costituzione di una commissione specifica di controllo. I componenti di
quest’organismo erano un’ulteriore garanzia di imparzialità, in
quanto appartenevano a diverse nazioni neutrali, come la Svizzera e la
Svezia. La commissione era stata approvata sia dall’Inghilterra, che dalle
forze dell’Asse, in modo da poter garantire un tranquillo svolgimento delle
operazioni di vettovagliamento, senza che l’operato della Croce Rossa potesse
divenire l’inutile bersaglio di polemiche politiche. Tuttavia la diffidenza
inglese non si era placata, e ben presto furono mosse delle accuse circa
l’approvvigionamento e la destinazione delle derrate alimentari.
Nei primi giorni di ottobre del 1942, infatti, la legazione inglese
mandò una nota al Vaticano, nella quale faceva il punto sulla situazione
greca. Nelle valutazioni degli inglesi la Grecia appariva ancora molto
debilitata, a causa delle rappresaglie delle forze occupanti. La situazione
del paese sembrava non aver registrato miglioramenti, neanche con gli aiuti
della Croce Rossa. Nel documento si rendevano note delle informazioni,
che Londra aveva ricevuto dalla British Broadcasting Corporation, sulle
conseguenze delle requisizioni di grano, olive, uva, verdure, pesce, latte
e burro attuate dalle forze dell’Asse a danno della provata popolazione
greca. La legazione inglese, inoltre, disponeva di alcuni dati riguardanti
le esecuzioni, fra arresti e deportazioni, messe in atto dagli occupanti
durante la seconda settimana di settembre nella zona fra Atene e il porto
del Pireo. Le esecuzioni erano una prova ulteriore dei maltrattamenti dell’Asse.
Esse erano state provocate da alcune manifestazioni di operai greci, che
protestavano contro le requisizioni alimentari e le violenze che erano
costretti a subire. La legazione inglese svalutava anche l’operato della
Croce Rossa, asserendo che l’inverno precedente l’inedia aveva provocato
cinquecentomila vittime e che questo numero era rimasto pressoché
invariato, nonostante gli aiuti che regolarmente la Croce Rossa aveva fatto
sbarcare nel paese. La situazione non era mutata, anche perché gli
italiani e i tedeschi avevano continuato la loro opera di depredazione.
Il documento puntava il dito contro l’Italia, che venne indicata come la
principale potenza occupante, responsabile di tutte le vite perdute. L’incompetenza
militare italiana aveva permesso ai tedeschi di saccheggiare, depredare
ed rovinare l’economia del paese, creando a proprio vantaggio il mercato
nero e la capitalizzazione di ogni bene. Tutto ciò, secondo la legazione
inglese, corrispondeva al piano del Nuovo Ordine, messo in atto dall’Asse.
La nota era una denuncia molto forte del comportamento delle truppe
di occupazione in Grecia. I tedeschi e gli italiani avevano dato le loro
garanzie, per convincere la Croce Rossa, la Santa Sede e persino l’Inghilterra
ad operare in favore dei civili greci. Le previsioni inglesi, però,
si erano avverate ed i soccorsi erano serviti a giovare alle autorità
d’occupazione. Il governo inglese implicitamente condannava la fiducia
che la Santa Sede aveva accordato agli occupanti, soprattutto agli italiani,
quando questi avevano chiesto un intervento pontificio a favore della Grecia
dando la loro parola come garanzia. L’Inghilterra aveva sempre diffidato,
e aveva tentato di mettere in guardia la Sante Sede, ma invano; ora i convincimenti
anglosassoni sembravano trovare un riscontro concreto nei dati della B.B.C.
. Questa doveva essere l’ennesima prova a discredito dell’Asse, soprattutto
degli italiani, che la Santa Sede aveva difeso.
Tardini, che ricevette la nota, decise di controllare la veridicità
delle notizie riportate dagli inglesi. Immediatamente contattò il
Card. Maglione, affinché verificasse con i delegati apostolici in
Svizzera e ad Istanbul, Roncalli, lo stato e l’organizzazione dei soccorsi
in Grecia. Dalla Svizzera, infatti, partivano le direttive per gli aiuti,
mentre Roncalli conosceva la situazione presente in Grecia. La Santa Sede
voleva accertare l’autenticità delle informazioni inglesi, dietro
cui poteva nascondersi la propaganda anti-Asse. La pericolosità
rappresentata dalle dichiarazioni britanniche era alta: se le informazioni
della B.B.C. fossero state vere, gli aiuti umanitari sarebbero stati fortemente
screditati. Questo avrebbe potuto provocare un ritiro sia degli Svedesi,
sia dei Canadesi, che avevano garantito i carichi di grano alla Grecia.
La credibilità dell’azione diplomatica pontificia, inoltre, avrebbe
ricevuto un duro colpo. La Santa Sede, che si dedicava soprattutto alle
vittime della guerra, sarebbe stata accusata nuovamente di favorire l’Italia
e i suoi interessi. In Grecia la nota avrebbe potuto provocare numerosi
disordini ed alimentare la propaganda della resistenza. I ribelli greci
in parte erano legati all’URSS e all’ideologia comunista, ed in parte erano
organizzati dai partigiani inglesi, che puntavano a distruggere i nemici
nazi-fascisti ideologicamente e militarmente.
Maglione scrisse ad Istanbul, chiedendo a Roncalli di indagare e verificare
la notizia sulle requisizioni dell’Asse che, secondo gli inglesi, avevano
colpito l’intero raccolto dell’anno. Egli esortò il delegato pontificio
a chiarire anche le informazioni riguardanti le rivolte scoppiate per le
rappresaglie degli occupanti, e le esecuzioni, che ne erano seguite. Nella
richiesta di accertamento si faceva implicita menzione anche della cifra
riportata dalla legazione britannica, di mezzo milione di morti per fame.
Prima che la risposta di Roncalli potesse giungere in Vaticano, gli inglesi
espressero nuovamente il loro malcontento nei confronti della politica
italo-tedesca. Osborne scrisse che gli occupanti usufruivano di tutto il
petrolio presente in Grecia, lasciando il paese senza carburante. Questa
penuria energetica stava provocando dei forti disagi alla circolazione
dei veicoli, dunque avrebbe potuto interferire sui trasporti dei soccorsi.
Gli inglesi, in questo caso, non sembravano preoccuparsi molto della sorte
dei soccorsi, quanto del fatto che gli occupanti potevano sfruttare tutto
il petrolio a loro vantaggio. Le lamentele britanniche giungevano, dunque,
copiose presso la Santa Sede: si trattava di reale preoccupazione per i
greci, o erano un mezzo di propaganda politica?
La missiva di Maglione subì dei ritardi nella consegna, così
la risposta di Roncalli giunse piuttosto tardi. Il delegato apostolico,
ricevuta la lettera di Maglione, decise di recarsi direttamente in Grecia,
per verificare quanto richiesto nel modo più attendibile possibile.
Il risultato dell’indagine fu messo su carta alla fine di novembre. Le
notizie riportate da Roncalli furono tanto confortanti, che valse la pena
di aspettare. Egli riferì, infatti, che le autorità di occupazione
non avevano toccato il raccolto dell’anno, del quale aveva disposto solo
il governo greco. L’iniziativa del Consiglio dei Ministri, però,
in alcune località non aveva riscosso molto successo. Alcune “manifestazioni
incomposte” si erano avute, ma non erano state represse con violenza. Il
delegato pontificio accennò a qualche arresto, “ma di nessuna conseguenza”.
Egli sottolineò che nemmeno l’anno precedente vi erano state requisizioni
di grano da parte delle truppe di occupazione; ve ne erano state solo,
in parte, di patate, olio e uva secca. Gli occupanti, dunque, avevano rispettato
gli accordi stipulati con la commissione svedese e svizzera della Croce
Rossa internazionale. Il lavoro di questa commissione, messo in dubbio
dalle illazioni inglesi, venne definito da Roncalli “serio e vigilante,
ed a sua volta controllabile”, quindi molto trasparente ed efficiente sotto
tutti i punti di vista. Grazie all’operato di quest’istituzione di controllo,
si era potuto realizzare in modo completo il rifornimento alimentare, di
cui la popolazione aveva avuto bisogno. I soccorsi avevano provveduto a
fornire non solo grano, che comunque era assicurato per altri quattro mesi,
garantendo ai civili una porzione giornaliera di 200 grammi di pane, ma
anche latte in polvere e medicinali. Tutto ciò era stato possibile,
in quanto la Croce Rossa aveva saputo organizzare le forze della Svizzera
e del Canada, che fino ad allora erano stati i principali fornitori. Roncalli
sottolineò che, nello stesso giorno in cui scriveva, erano giunti
al Pireo altri tre piroscafi svedesi. Egli ribadì che tutto ciò
avveniva grazie all’intervento della Santa Sede, attivato proprio un anno
prima. Roncalli scrisse che l’atteggiamento inglese aveva causato enormi
danni alla Grecia; essa, infatti, si stava risollevando solo a causa degli
interventi citati. L’opera del Vaticano, inoltre, aveva contribuito ad
alleviare i danni prodotti dagli inglesi, provocando un miglioramento dei
rapporti tra Grecia e Gran Bretagna. Gli aiuti umanitari, dunque, avevano
favorito molto anche l’Inghilterra, perché correggevano “quel fatale
errore” e lasciavano “sperare che nel prossimo inverno la mortalità
non sarà così grave, almeno per causa del mancato nutrimento
divenuto ora meno scarso”.
Il delegato pontificio fece delle precisazioni anche riguardo le cifre,
che erano copiose nel documento inglese. Egli raccolse alcuni dati forniti
da un rapporto, che andava dall’ottobre 1941 al settembre 1942, del dott.
Andrea Vardas, un cattolico suo amico. Questi fece le proprie statistiche
in base ai dati forniti dall’ufficio municipale d’igiene, dalle astanterie
e dai cimiteri, “perciò le cifre che egli esibisce, accompagnate
da interessanti osservazioni, si possono ritenere le più vicine
alla verità di quante altre per motivi impressionistici o di propaganda
si fecero e si fanno circolare”. I dati raccolti da Roncalli dimostravano
la palese esagerazione di quelli presenti nel documento inglese: durante
il periodo analizzato il numero dei morti per fame fu calcolato di trentaquattromilaseicentoventidue.
“Anche tenendo conto, in misura proporzionale, dei morti dei trenta centri
urbani più notevoli di tutta la Grecia e dei villaggi, dove in generale
la fame fu meno cruda che non nella capitale, siamo ad una cifra ben lontana
dai cinquecentomila che a qualcuno piace far credere per i soli mesi d’inverno”
.
Il documento presentato da Roncalli dimostrò la valenza polemica
delle cifre fornite dalla legazione inglese. Le requisizioni di tutto il
raccolto annuale di grano erano state inventate. Il governo greco, infatti,
aveva disposto del grano. L’Inghilterra poteva contestare che l’esecutivo
era completamente assoggettato alle potenze di occupazione e alla loro
volontà, ma gli accordi fatti erano stati rispettati. La fiducia
che la Santa Sede aveva riposto nelle garanzie degli occupanti non era
stata tradita. L’opinione pubblica poteva accertarsi di ciò, attraverso
l’operato della commissione preposta al controllo degli aiuti. La possibilità
per chiunque di poter controllare rendeva la giusta dignità a coloro
che avevano lavorato per la sopravvivenza altrui, senza favore o discriminazione
alcuna. La totale imparzialità sia dell’operato della Croce Rossa
internazionale, sia delle iniziative della Santa Sede, emergeva con chiarezza
dalla missiva di Roncalli, che era una strenua difesa di ciò che
era stato fatto per la Grecia in un anno. Nel novembre del 1942 la fame
non era più il nemico numero uno dei greci. Essi potevano vedersi
garantiti medicinali e cibo in quantità sufficienti alla normale
sopravvivenza, e per un periodo abbastanza consistente. Solo un anno prima
si combatteva contro le diffidenze anglo-americane per la revoca del blocco.
Nella contro-denuncia di Roncalli non erano state le rappresaglie dell’Asse
le principali responsabili della fame nel paese, ma il blocco ed il riottoso
atteggiamento degli inglesi, che avevano impedito a tonnellate di viveri
disponibili di salvare la vita a migliaia di greci. L’intervento della
Santa Sede era stato determinante, perché aveva impedito all’Inghilterra
di continuare a macchiarsi di questo enorme peccato. Il Vaticano aveva
garantito la dignità del governo britannico, anche di fronte all’opinione
pubblica mondiale. Gli italiani e i tedeschi non avevano beneficiato dell’intervento
del Santo Padre, usufruendo degli aiuti. Quelli che ora criticavano tanto
l’iniziativa pontificia, mettendo in giro diffamanti illazioni propagandistiche,
avevano ricevuto i più grandi favori, sia dalla Santa Sede che dall’operato
della Croce Rossa internazionale. I rapporti del governo britannico e del
Vaticano erano sensibilmente migliorati, grazie alle azioni della diplomazia
pontificia, mentre gli enormi errori inglesi e le loro conseguenze erano
stati corretti. Con il proprio contributo alle statistiche sul numero dei
morti in Grecia, durante sia l’inverno tra il 1941 e il 1942, che durante
gli aiuti, Roncalli dimostrò che i dati inglesi erano completamente
esagerati. L’intento di screditare l’Asse agli occhi dell’opinione pubblica
internazionale e vaticana rischiava di ritorcersi contro i suoi stessi
autori, le cui informazioni perdevano credibilità.
Un secondo resoconto della situazione in Grecia, redatto da Roncalli
nei giorni in cui si trovava nel paese per accertare le accuse inglesi,
trattava della destinazione degli aiuti provenienti dalla Croce Rossa e
dalla Santa Sede. Anche gli aiuti del Vaticano ai greci, infatti, erano
stati oggetto di polemiche. Gli inglesi si lamentarono anche del fatto
che gli aiuti inviati dal Pontefice alimentassero e favorissero le truppe
e le autorità di occupazione. Al centro della disputa c’erano soprattutto
i “Focolai della provvidenza”, organizzati da Mons. Calavassy. Roncalli
dovette accertare queste infamanti accuse, che andavano a colpire il punto
nevralgico degli aiuti pontifici. I “Focolai” erano stati i primi istituti
ad organizzare delle cucine economiche in ogni angolo del paese, riuscendo
ad alleviare le sofferenze dei greci già prima degli aiuti internazionali.
Il rapporto di Roncalli smentiva le accuse, assicurando che mai nulla di
ciò che era giunto da parte della Croce Rossa o dalla Santa Sede
era stato toccato dalle autorità di occupazione. Egli scrisse che
le stesse autorità italiane inizialmente avevano proposto all’uditore
pontificio Testa di entrare in una commissione per il controllo della distribuzione
delle derrate, in modo da escludere qualsiasi possibile illazione. In un
secondo momento, però, fu la Croce Rossa a provvedere, costituendo
un organismo di controllo, la cui opera era stata estremamente efficace
e trasparente, potendo essere controllata da chiunque avesse avuto interesse
a farlo.
Roncalli chiarì che i viveri, destinati ai centri di assistenza
sociale e medica, continuavano a giungere dalle potenze occupanti, “specialmente
dall’Italia”. Gli inglesi, però, non avevano perso occasione per
fare delle illazioni anche su questi vettovagliamenti, affermando che essi
servivano ad alimentare il mercato nero. Quest’ultimo era teso a sfruttare
le minime risorse dei civili greci a prezzi irrisori, facendo leva sui
bisogni primari della popolazione. Il delegato pontificio non escluse che
ciò potesse essere avvenuto, ma in minima parte ed eludendo la sorveglianza.
In questo modo una certa quantità di viveri poteva essere andata
anche alle truppe di occupazione. Roncalli, tuttavia, ci teneva a ribadire
che i controlli erano molto capillari,e che, se qualcosa era sfuggita loro,
si trattava comunque di minime quantità.
In conclusione del suo rapporto, Roncalli fece luce sulla questione
delle scatole di latte inviate dal Santo Padre e “misteriosamente scomparse”,
sulle quali, anche, avevano fatto pesanti allusioni gli inglesi. Calavassy,
che operava all’interno dei “Focolai”, fu accusato di aver manipolato gli
aiuti pontifici in favore degli occupanti italiani. Roncalli spiegò
che ciò era impossibile, in quanto Calavassy non si occupava del
ritiro della merce. La Delegazione Apostolica riceveva i soccorsi della
Santa Sede attraverso la Croce Rossa internazionale, e controllava l’operato
dei “Focolai della provvidenza”. Ciano stesso, inoltre, si era occupato
di controllare che il dono seguisse le strade stabilite, visto che il carico
viaggiava su navi italiane, insieme agli aiuti provenienti dall’Italia.
Secondo le indicazioni del nunzio a Berna, raccolte da Roncalli, le merci
giunsero sane e salve a destinazione. Le allusioni fatte potevano essere
spiegate con il fatto che il latte era arrivato molto tardi, precisamente
con l’ultima spedizione alla fine di ottobre. Calavassy spesso aveva ricevuto
diversi soccorsi alimentari dalle autorità italiane, fra cui anche
del latte condensato per i bambini greci. Egli prendeva quanto le direttive
italiane avevano stabilito spettasse ai “Focolai” e alla loro opera, lasciando
il resto alle autorità d’occupazione. Quest’attività aveva
potuto trarre in inganno qualcuno e stimolato delle polemiche, se si fosse
creduto che i soccorsi non erano da parte dell’Italia, ma del Papa, e che
una parte di questi venisse destinata alle truppe e non ai civili greci.
Roncalli toglieva d’impaccio la Santa Sede e dava una spiegazione razionale
e verificabile, tanto che a queste polemiche non ne seguirono altre intorno
agli aiuti. L’infondatezza delle denunce inglesi fu ampiamente dimostrata.
Le illazioni britanniche seguivano le influenze di una logica propagandistica,
tesa a screditare nuovamente le autorità di occupazione, ma
che metteva in pericolo l’esistenza stessa dei soccorsi alimentari. Questo
pericolo fu sapientemente sventato dalla Santa Sede, che con la sua attività
seppe garantire sia la vita di chi riceveva gli aiuti, che l’onestà
di chi li organizzava.
2.5 La crisi politica in Grecia.
L’autunno e l’inverno 1942 rappresentarono un periodo estremamente buio
per la storia militare dell’Asse. Le prime cocenti sconfitte si abbatterono
sui tedeschi, che fino ad allora avevano primeggiato su tutti i fronti.
Gli italiani, non essendo mai stati realmente soli nella vittoria perché
molto spesso avevano ricevuto l’indispensabile aiuto tedesco, non potevano
fronteggiare la guerra da soli.
La situazione presente in Grecia non facilitava le cose. Nonostante
gli sforzi per risolvere la crisi finanziaria, le autorità italiane
avevano dovuto accettare la risoluzione tedesca, che prevedeva l’invio
di due “esperti” col compito di aiutare il governo greco a ristrutturare
l’economia del paese. La decisione tedesca non aveva accontentato né
gli italiani, né i greci, perché entrambi erano concordi
nel ritenere la riduzione delle spese di occupazione l’unica soluzione
possibile. Gli italiani avevano sperato che i tedeschi avrebbero lasciato
fare a loro, disinteressandosi della Grecia e dei suoi problemi. Quest’idea
era nata dal fatto che i tedeschi dicevano di considerare gli italiani
i maggiori interessati nel paese. Le cose, tuttavia, non assecondarono
le speranze italiane. Le autorità tedesche, ignorando il pericolo
che un simile passo avrebbe avuto per la sicurezza del paese, e, quindi,
per le stesse truppe di occupazione, rifiutarono di ridurre le spese o
di rallentare l’andamento della costruzione delle opere pubbliche. Essi
proposero, invece, i due “esperti” come la soluzione ideale per tutti.
Pochi giorni dopo l’arrivo di Neubacher e D’Agostino, Tsolakoglu, primo
ministro greco, ribadì l’intenzione di ritirarsi. Ghigi più
volte in precedenza aveva prospettato una simile eventualità, nel
caso che le spese di occupazione non fossero state ridotte. Un’ulteriore
crisi sarebbe stata difficilmente risolvibile in quel contesto. Il Presidente
del consiglio greco aveva già mosso una simile minaccia, in quanto
questa era l’unica arma di cui disponeva per poter cercare di smuovere
la situazione, con qualche vantaggio per i greci. Tsolakoglu aveva manifestato
le sue intenzioni anche ai due esperti, sottolineando la sua sfiducia nel
provvedimento che li aveva posti in carica. Egli, in seguito, espresse
il suo rispetto per il lavoro che essi avrebbero svolto, ma ribadì
che gli era impossibile continuare a lavorare in quelle condizioni. Altenburg
e Ghigi tentarono di dissuaderlo, ma invano.
Alla base del malcontento del premier greco c’era il suo disaccordo
con alcuni membri del governo, fra cui il Ministro delle finanze Gotzamanis.
Questi rappresentava una figura importante all’interno della vita politica
del paese, in quanto il suo appoggio alle autorità di occupazione
si era sempre espresso palesemente. Tsolakoglu, soprattutto con l’aggravarsi
della situazione economica, finanziaria e alimentare greca, aveva cominciato
a mostrare segni di distacco ed insofferenza per il vigile controllo dell’Asse.
I due plenipotenziari tentarono comunque in tutti i modi di convincerlo
a revocare la sua decisione, perché temevano le conseguenze che
avrebbe potuto avere una simile presa di posizione. Ghigi, tuttavia, sembrava
convinto che la decisione del primo ministro fosse definitiva. Per l’eventualità
di una caduta del governo, le autorità di occupazione discussero
la designazione di un successore di Tsolakoglu. Il futuro premier avrebbe
dovuto collaborare con Gotzamanis, che non veniva affatto messo in discussione;
si fecero alcuni nomi, fra cui quello di Rhallis, che era stato Ministro
degli esteri e dell’interno, ed apparteneva allo schieramento filo-Asse.
Il plenipotenziario, il Comandante delle forze armate italiane e D’Agostino
consideravano il candidato proposto estremamente adatto al ruolo di primo
ministro. Le trattative per la soluzione della crisi ministeriale, tuttavia,
si dilungavano, perché Altenburg faticava ad avere le istruzioni
necessarie dal proprio governo. La Germania e Neubacher, infatti, non erano
convinti che la permanenza di Gotzamanis al governo, con la conseguente
esclusione di Tsolakoglu, fosse la soluzione ideale per la politica greca.
Roma era d’accordo con le proprie autorità in Grecia sia sulla scelta
dei membri del nuovo governo, sia sulla considerazione che la crisi di
governo non poteva più essere evitata. La Germania non la pensava
in questo modo; il ritardo del Reich, nell’esprimere le direttive al proprio
plenipotenziario, era spiegato con la diversità di opinioni sulla
vicenda. I tedeschi non tenevano in alcun conto le difficoltà di
collaborazione che avevano i due politici greci, dunque ritenevano assolutamente
inaccettabile un cambiamento ministeriale. Il comportamento tedesco era,
però, contraddittorio: essi dissero che qualunque decisione gli
italiani avessero preso sarebbero stati disposti ad assentire. Una
settimana dopo aver ricevuto queste notizie dal Reich, ad Altenburg giunse
un nuovo telegramma, nel quale Berlino dichiarava di essere contraria allo
scioglimento del governo. Il plenipotenziario italiano sapeva che i tedeschi
non tenevano conto dell’assenso di Altenburg alle dimissioni di Tsolakoglu.
Il Reich sottovalutava l’incompatibilità che era nata fra il primo
ministro e Gotzamanis, affermando che questi si era sempre dimostrato favorevole
all’Asse. Il Presidente del Consiglio d’altra parte si stava rivelando
ogni giorno più titubante ed incerto, soprattutto verso la repressione
delle bande armate della resistenza, provocandone il rafforzamento. I tedeschi
avrebbero dovuto considerare tutti questi fattori, ma sembravano troppo
intenti ad evitare la caduta del governo, per poterlo fare. Lo stesso Comandante
Geloso aveva rilevato la pericolosità dell’atteggiamento del premier
verso i ribelli. Gli italiani dovevano far presente la situazione a Berlino,
tentando di far capire al Reich l’inevitabilità di un nuovo governo
greco. Altenburg era d’accordo con Ghigi nella scelta di Rhallis o di Logothetopulos
come nuovi candidati, perciò stava al plenipotenziario tedesco convincere
il proprio governo. Berlino continuava a dire che l’ultima parola spettava
all’Italia, ma a questa si opponeva sempre.
L’opposizione tedesca e la paura che una crisi di governo non potesse
risolversi facilmente spinsero nuovamente i due plenipotenziari a tentare
di convincere Tsolakoglu a revocare la propria decisione almeno fino alla
creazione del nuovo governo. Essi avevano chiesto al primo ministro uscente
di non peggiorare la situazione, dunque di rinunciare al proposito di scrivere
una nota, nella quale indicare le condizioni della sua permanenza. Tsolakoglu
tuttavia scrisse la nota, nella quale, in cambio della revoca delle proprie
dimissioni, chiedeva: l’allontanamento di Gotzamanis dal governo; la libertà
di scelta dei propri collaboratori; la libertà di gestire le risorse
alimentari; la possibilità di poter reprimere gli atti arbitrari,
commessi dagli occupanti, a danno della popolazione greca; libertà
di scelta per il governo di prefetti e sindaci; la possibilità di
schierarsi contro la propaganda bulgara e tedesca in Macedonia; infine,
di poter contenere le persecuzioni della Bulgaria contro i greci.
Queste richieste, che mostravano la durezza dell’occupazione italo-tedesca-bulgara
e l’impotenza del governo del paese su questioni di notevole importanza,
riguardavano il popolo greco ed i suoi diritti fondamentali. La denuncia
di Tsolakoglu poneva in luce le difficoltà del governo greco, che
non poteva far nulla senza subire l’ingerenza degli occupanti. Il governo
apparve un vero e proprio fantoccio nelle mani delle autorità di
occupazione. Il primo ministro uscente dichiarò la propria angoscia,
nel vedere il suo popolo soffrire a causa della fame, delle persecuzioni
bulgare, della propaganda anti-greca, senza poter fare nulla pur essendo
a capo del governo. L’impossibilità di governare, sebbene fosse
stato preposto a farlo, e i contrasti con Gotzamanis, che godeva del pieno
appoggio degli occupanti, spinsero Tsolakoglu a dare le dimissioni. Egli
scrisse questo documento, sebbene avesse la consapevolezza che le sue condizioni
non sarebbero mai state accettate dagli italiani e dai tedeschi. Queste
condizioni, infatti, erano in aperto contrasto con il protocollo firmato
al momento dell’armistizio e della nascita del governo, e in disaccordo
con gli interessi degli occupanti in Grecia. I due plenipotenziari, che
avevano tentato di dissuadere l’ex Generale dallo scrivere la nota, biasimarono
il suo comportamento. Essi scrissero che non era possibile mantenerlo al
suo posto, pregando i propri governi di far sì che il suo allontanamento
dal governo greco avvenisse al più presto.
In seguito alla nota di Tsolakoglu, Ciano mandò immediatamente
chiare istruzioni affinché venisse sostituito da Logothetopulos.
Il Ministro italiano chiedeva ai due plenipotenziari di scegliere i membri
del nuovo governo “più adatti all’Asse”. Egli spiegò che
avrebbe inviato istruzioni precise, non appena fossero giunte delle direttive
anche dalla Germania. Le previsioni dei plenipotenziari Ghigi ed Altenburg
si stavano traducendo in realtà: la nota di Tsolakoglu aveva rappresentato
il suo allontanamento dal governo greco. Pochi giorni dopo il diplomatico
tedesco ricevette le istruzioni attese da Berlino. Queste, riprendendo
la decisione italiana, invitavano Tsolakoglu a lasciare il governo. La
scelta di Logothetopulos, come presidente e vicepresidente del Consiglio,
piacque ai tedeschi, che la approvarono. Il Reich chiese al proprio
plenipotenziario di ricordare il motivo di questa decisione a Tsolakoglu,
che con la redazione della nota incriminata aveva trasgredito agli accordi
stabiliti nel protocollo da lui stesso firmato. L’ex primo ministro e le
autorità di occupazione stabilirono che la firma del decreto, per
il conferimento dei poteri a Logothetopulos, sarebbe avvenuta il 18 novembre.
Il premier uscente disse che non avrebbe mutato il proprio atteggiamento
nei confronti dell’Asse, impegnandosi a collaborare con il nuovo governo.
Nei giorni seguenti a questi fatti gli italiani proposero ai tedeschi
anche l’eventuale candidatura a primo Ministro di Rhallis, il cui nome
era stato fatto all’inizio della crisi ministeriale. Egli non era mai stato
preso in considerazione dai tedeschi, perché non godeva di buoni
rapporti con i partiti locali. Rhallis non fu designato, con forte rammarico
delle autorità italiane, che infine lo ritenevano migliore e più
adatto dell’inesperto Logothetopulos. Questi formò il nuovo governo
nel dicembre 1942, ma anche questo nuovo esecutivo non era destinato a
durare.
2.5 Le sgradite sorprese di Roncalli.
Negli ultimi giorni di novembre il delegato apostolico ad Istanbul e
l’uditore ad Atene continuavano a prodigavarsi, per difendere l’operato
della Santa Sede e della Croce Rossa internazionale dalle accuse anglosassoni.
Un fatto di notevole importanza , tuttavia, era sul punto di cambiare la
situazione per tutti, tanto che persino la questione della fame in Grecia
assunse contorni diversi. I greci avevano cominciato a considerare la loro
situazione con occhi diversi, da quando era giunta la notizia della vittoria
degli Alleati in Africa settentrionale, mentre le forze dell’Asse combattevano
con forti perdite anche a Stalingrado. La speranza di poter essere presto
liberati dal nemico rinasceva.
D’altra parte, il timore per ciò che poteva accadere agli abitanti
italiani in Grecia era vivo fra i cattolici. Mons. Filippucci, arcivescovo
cattolico di Atene, aveva predisposto dei possibili rifugi, soprattutto
per religiosi, nell’eventualità che i greci, presi dall’euforia,
si dimenticassero di quanto il Vaticano ed i suoi uomini avessero fatto
per il paese e riprendessero le vecchie ostilità. Molti prelati,
nobili del clero e nobili laici avevano fatto presente a Roncalli questi
timori, nonostante la notizia di una liberazione vicina rendesse contenti
anche loro. Egli, tuttavia, non era preoccupato come i colleghi. Egli temeva
più che altro che le speranze greche fossero disilluse, come era
già accaduto in passato. Il delegato pontificio registrava una grande
euforia nei greci, molti dei quali, anche avvicinandosi alla Delegazione
Apostolica, continuavano ad essere certi che la liberazione era vicina.
In preda a questo stato di agitazione, in Tessaglia si erano verificate
delle sommosse organizzate dalla resistenza.
La Santa Sede, con il suo operato, non si stava perdendo dietro questa
psicosi collettiva. Roncalli scrisse che la Delegazione pontificia stava
svolgendo il proprio lavoro di carità quotidiana con la tranquillità
di sempre, soprattutto senza discriminazioni religiose, all’insegna dell’uguaglianza,
che aveva caratterizzato l’attività pontificia fino a quel momento.
Roncalli concluse la sua missiva scrivendo: “e’ il mistero di Dio che noi
attenderemo, con sicurezza che nulla andrà perduto di quanto la
Santa Sede, solo guidata dal precetto evangelico della carità, ha
fatto sin qui e continuerà a fare sino alla fine ed oltre la fine”.
Nonostante la situazione presentasse notevoli apprensioni per il futuro
di tutti, il delegato era convinto che il lavoro svolto tanto sapientemente
dalla Santa Sede in Grecia sarebbe stato ripagato. I cattolici non avrebbero
dovuto temere la reazione dei greci, perché questi avrebbero ricordato
la carità pontificia.
Le informazioni sulla guerra, che tanto avevano mutato gli atteggiamenti
dei greci, portarono, però, delle sgradite sorprese. Roncalli poté
notare che, sotto la suggestione di una prossima abbondanza portata dai
liberatori anglo-americani, si erano aperti numerosi magazzini. Questi
ultimi erano pieni dei più diversi generi alimentari, che, egli
presumeva, vi erano stati nascosti. I negozi cominciarono a riempirsi,
con l’indignazione del delegato apostolico e di molti altri, che fino ad
allora avevano collaborato all’approvvigionamento del paese con enormi
sforzi e molto lavoro. I prezzi di queste merci sul mercato erano molto
più bassi rispetto a pochi giorni prima. L’abbondanza dei viveri
sarebbe stata difficile da immaginare, in simili condizioni, solo pochi
giorni prima. Roncalli capì che il cibo era rimasto nascosto anche
durante il periodo di maggiore penuria. Una minoranza di greci aveva finto
di soffrire la fame, speculando sulla vita della maggioranza.
L’olio aveva subito un ribasso di ventimila dracme l’oka, come anche
la carne, mentre le patate e i fagioli erano calate di cinque e diecimila
dracme rispettivamente. Non solo gli alimenti avevano visto i loro prezzi
tanto mutati, ma anche i vestiti, le stoffe, le calzature, e molte altre
cose. Roncalli era stato convinto fino in fondo che i greci avevano
sofferto la fame per diverse cause, fra cui l’impossibilità di far
venire da fuori i viveri necessari. Il sequestro dei prodotti da parte
degli occupanti era stato un altro responsabile dell’indigenza del paese.
Egli, inoltre, aveva assistito al vertiginoso aumento dei prezzi, figlio
di una grave crisi economica. Per tutto si era dato una spiegazione logica,
ma l’improvvisa comparsa di questi beni poté spiegarla unicamente
con il sospetto che “i Greci si arricchivano sul sangue dei loro fratelli”.
Roncalli apparve in questa situazione piuttosto amareggiato per ciò
che avveniva nel paese, tuttavia non dimenticò di sottolineare che
la maggior parte dei greci rimaneva fuori da questa speculazione, continuando
a soffrire a causa della guerra. Certamente ciò mostrava un aspetto
diverso della questione; la Santa Sede, seppur inconsapevolmente, si era
lasciata ingannare da alcuni appelli d’aiuto e aveva forse favorito anche
gli speculatori. Roncalli, che aveva vissuto da vicino la realtà
della Grecia in preda la problema della fame, non avrebbe mai immaginato
che dietro a negozi vuoti e desolati si nascondessero magazzini assai
riforniti, e ciò spiegava la sua dura reazione. Naturalmente, la
scoperta di questo fatto non dava adito ad ulteriori allusioni sul cattivo
funzionamento degli aiuti pontifici. Anche gli inglesi avevano spesso fatto
leva sulla sofferenza dei greci, per accusare gli occupanti e diffidare
degli aiuti umanitari. L’infamante scoperta confermava una volta di più
l’inconsistenza delle accuse anglosassoni. Se c’era stato qualche aprofittatore
in tutta questa situazione, questo era stato anche fra gli stessi greci
e non solo fra gli occupanti.
Cosa poteva fare ora la Santa Sede? Come suggerì Roncalli, nonostante
tutto non andava dimenticata la sofferenza dei numerosi greci, che penavano
ancora per le condizioni di vita che la guerra imponeva. L’opera di assistenza
e carità, per la quale il Santo Padre, il nunzio e molti altri si
erano battuti, doveva proseguire: “poiché accanto a molti pescecani
una moltitudine di poveri continua a vivere di stenti” .
Cap. 3 La fine dell’occupazione.
3.1 Una nuova crisi politica in Grecia.
Con la nascita di un nuovo governo per la Grecia, le autorità
di occupazione speravano di poter assistere ad un miglioramento della situazione
politica, economica e finanziaria del paese. La guerra aveva preso un andamento
negativo per l’Asse, e si auspicava che, almeno nei territori già
occupati, non ci fossero troppi problemi.
Il governo greco aveva versato alle forze dell’Asse trenta miliardi
di dracme per le spese di occupazione, ma aveva dichiarato di non poter
concedere più di dodici miliardi per il futuro, nonostante gli accordi
stipulati. I due esperti stimarono che l’ammontare delle spese di occupazione
di gennaio richieste dai tedeschi sarebbe stato di ben venti miliardi,
mentre il Comando delle Forze Armate italiane avrebbe avuto bisogno di
almeno otto miliardi. I conti non tornavano. Per il mese di gennaio si
sarebbe presentato un vuoto finanziario di sedici miliardi; chi l’avrebbe
colmato e come? La questione finanziaria si proponeva nuovamente
con le solite preoccupazioni, come avevano previsto sia gli italiani, che
i greci al momento della scelta tedesca di designare i due esperti per
risolvere la crisi finanziaria. Questo provvedimento, infatti, era stato
preso senza diminuire in alcun modo le spese di occupazione, vere cause
della crisi finanziaria. Ghigi scriveva: “ La situazione è di nuovo
critica” , il governo rischiava una nuova crisi, perché non era
in grado di poter prendere una decisione, né di trovare una soluzione
soddisfacente. L’atmosfera era molto pesante perché, fra tutti questi
problemi, emergeva la grave questione della resistenza degli “andartes”,
i nazionalisti greci che puntavano ad annullare il rapporto di vassallaggio
con l’Asse. Più gli andartes si rafforzavano più si indebolivano
le istituzioni greche, italiane e tedesche. All’inizio dell’anno ci furono
numerose fucilazioni sia a Salonicco, sia al Pireo. Geloso e Loehr, i due
Capi delle forze armate tedesche e italiane in Grecia, confermavano lo
stato di preparazione delle truppe, tanto per ribadire la situazione di
allerta in cui si stava vivendo. La vita quotidiana di quel periodo in
Grecia era estremamente dura per tutti. La popolazione civile viveva nella
costante paura della repressione dell’Asse che, a causa degli attacchi
degli andartes, si faceva ogni giorno più dura ed efferata.
Le autorità di occupazione, in preda alle preoccupazioni per
le sorti della guerra, dovevano provvedere con nuove forze militari al
mantenimento dell’ordine pubblico. Le risorse, tuttavia, divenivano sempre
più scarse; la necessità che i soldati venissero impiegati
su altri fronti era impellente, ma non era possibile allontanare altre
forze dalla Grecia. Il pericolo di lasciare il paese in balia di una resistenza
organizzata con le forze di liberazione albanesi, jugoslave, inglesi e
forse russe, nemiche dell’Asse, era troppo grande.
Nel febbraio 1943 la VI armata tedesca si arrese a Stalingrado. La
sconfitta era pesantissima per l’Asse, perché avrebbe permesso all’Urss
di intraprendere la marcia verso ovest. Durante lo stesso periodo Ghigi
si lamentò del contegno del governo greco, che non era all’altezza
della situazione. Egli spiegò questo fatto dicendo che il governo
era il risultato di un compromesso italo-tedesco, e come tale frutto di
un’irrazionale scelta politica che mancava “di compattezza ed omogeneità”.
Il plenipotenziario italiano rilevò come questi difetti si ripercuotessero
nella gestione dell’ordine pubblico e della sicurezza collettiva del paese.
I tedeschi avevano rifiutato la candidatura di Rhallis, che era stato un
importante uomo politico con molta esperienza in merito alla gestione del
governo. Gli occupanti avevano dato invece il proprio avallo a Logothetopulos,
che non aveva molta esperienza politica, né capacità amministrative.
Ghigi, inoltre, accusò il Ministro dell’interno di non possedere
l’energia necessaria, per occuparsi delle questioni più importanti.
L’incompetenza dei membri del governo si aggiungeva alle loro incomprensioni
e ai dissensi, che nascevano a causa della diversa appartenenza politica.
I membri del governo, infatti, appartenevano a due diverse correnti politiche
in continuo antagonismo, quella repubblicana e quella monarchica.
Anche la riorganizzazione delle forze armate italiane proseguiva molto
a rilento, a causa della crescente pressione delle bande armate. Queste
si rinforzavano man mano che giungevano le notizie riguardo le sconfitte
dell’Asse sul fronte orientale. La propaganda comunista si diffondeva sempre
di più, perché le vittorie militari rendevano l’avanzata
delle idee sovietiche, anti-fasciste e anti-naziste molto più facile
nella penisola balcanica. Accanto alle idee bolsceviche c’erano quelle
dei nazionalisti greci, duramente provati nell’anima e nel corpo dall’occupazione;
la loro propaganda si affiancava a quella anglosassone. Molti soldati inglesi,
infatti, durante la ritirata nella primavera del 1941, erano fuggiti sulle
montagne greche insieme a ciò che rimaneva dell’esercito nazionale,
organizzando le bande armate di resistenza. Gli inglesi avevano creduto
fermamente che la Gran Bretagna sarebbe uscita vittoriosa dalla guerra,
sconfiggendo il nazi-fascismo nel mondo, per liberare i popoli che ne erano
stati oppressi. Essi avevano convinto i greci, che necessitavano di sperare
nella fine della loro prigionia.
La Tessaglia era una delle regioni in cui la resistenza greca si era
saputa organizzare meglio. Numerose volte, dall’autunno 1942, Ghigi comunicò
che in quella zona c’erano stati degli scontri, che avevano impegnato le
forze armate di occupazione. All’inizio del 1943 questi scontri si erano
ripetuti molto ferocemente, soprattutto contro le forze italiane. Il Generale
Geloso chiedeva l’appoggio del governo greco; egli riteneva che solo una
repressione molto dura potesse arginare le rivolte, ma l’esecutivo del
paese non era in grado di poter attuare simili misure repressive. Le truppe
di occupazione italiane non avevano le risorse per poter continuare a difendersi.
Nella seconda metà di febbraio si erano verificati degli attacchi
alle questure e degli attentati ai gendarmi. La lotta armata si avvicinava
sempre più alle città, rischiando di far scoppiare una guerra
civile, che gli occupanti non potevano affrontare.
L’unico uomo in grado di poter fare qualcosa, secondo le autorità
italiane, risultava Gotzamanis. Egli stesso desiderava divenire Presidente
del consiglio, tanto che Ghigi propose di nominare Logothetopulos Capo
di Stato e Gotzamanis primo Ministro. Questa proposta sembrava rappresentare
la soluzione migliore per tutti, compreso il Generale Geloso. Con una simile
sistemazione si sarebbero potuti risolvere gli scontri con le bande di
andartes, perché il nuovo Presidente avrebbe attuato una linea più
dura nei loro confronti; di ciò gli italiani erano certi, perché
Gotzamanis era un uomo estremamente vicino a loro. Logothetopulos, inoltre,
non sarebbe stato disonorato dalla scelta di un cambio al governo, perché
gli si sarebbe offerto di diventare Presidente della Repubblica. Nessuno
sarebbe stato offeso e non si sarebbero create delle divergenze fra politici,
che erano pericolose in quel clima molto teso. Le idee di Ghigi vennero
prese subito in considerazione da Bastianini, divenuto Sottosegretario
agli esteri dopo il rimpasto governativo del 6 febbraio 1943, che vide
l’estromissione dal governo di Ciano e di coloro i quali desideravano uno
sganciamento dalla Germania. Bastianini esortò Mussolini ad attivarsi
presso i tedeschi, perché anche loro prendessero in considerazione
l’eventualità prospettata da Ghigi. Un simile progetto era giustificato
dal fatto che la scelta di Logothetopulos era stata presa in fretta, era
stata una “soluzione di ripiego”, dovuta allo scarso interesse dei tedeschi
alla vicenda. La questione, però, stava avendo implicazioni sempre
più gravi per la sicurezza del paese, dunque la Germania doveva
essere informata per tempo, e sollecitata a prendere seriamente in esame
la questione. Questi propositi dovevano essere mantenuti con la massima
urgenza perché: “Anche la riorganizzazione delle forze di polizia
greche sotto il controllo degli Ufficiali Superiori dei nostri Comandi
procede a rilento_ scriveva Bastianini _ manca perciò un’azione
di repressione e di protezione che spalleggi quella militare, tanto che
la situazione concernente le bande armate si è aggravata” . Nonostante
gli sforzi dei rappresentanti italiani, la questione del governo greco
rimase insoluta ancora per qualche mese. Le bande armate clandestine
furono favorite dall’incertezza governativa del momento, mentre gli occupanti
ne furono danneggiati.
I tedeschi erano oberati da molti problemi politici e militari,
vista la critica situazione delle truppe dell’Asse sul fronte orientale,
mentre quella in Africa rischiava di precipitare da un momento all’altro.
La Germania pose molte questioni in secondo piano, fra cui quelle politiche
in Grecia. Il problema dell’incapacità del governo greco, tuttavia,
era reale ed emergeva con forza, tanto quanto quello della resistenza.
L’insoddisfazione delle autorità italo-tedesche per l’operato di
Logothetopulos portò ad un nuovo cambio di governo in aprile. La
scelta del nuovo capo dell’esecutivo cadde, secondo i desideri tedeschi,
su Rhallis. Ghigi informò Mussolini dettagliatamente sulla nuova
crisi di governo. Egli scrisse che il cambiamento ministeriale non era
stato molto rapido, poiché esso aveva presentato le difficoltà
sorte nelle precedenti crisi di governo. Ribadì che la scelta di
Logothetopulos era stata il frutto di un faticoso compromesso, dovuto alle
divergenti opinioni tra le autorità tedesche e quelle italiane.
Queste divergenze avevano rallentato molto la scelta del nuovo governo,
aggravando la situazione con le bande armate e la crisi finanziaria. La
decisione di nominare Logothetopulos ebbe luogo per giungere ad un punto
d’incontro decisivo, ma il nuovo primo Ministro si dimostrò inesperto
ed incapace di gestire la situazione. Ghigi sottolineò che nel nuovo
governo Gotzamanis, personaggio molto vicino agli occupanti, non era riuscito
ad avere molta influenza, nonostante le sue capacità. Logothetopulos
con il proprio deplorevole comportamento era stato capace di creare dei
contrasti persino con il metropolita di Atene e di alienarsi le simpatie
di Altenburg, suo protettore fin dal principio. L’evidente incapacità
del primo Ministro aveva avuto delle gravissime conseguenze per le autorità
e per le truppe di occupazione. Sulla scia di una politica indulgente,
infatti, le bande armate si erano rafforzate, tanto da scontrarsi
con le forze italo-tedesche. Tutti questi elementi si erano inevitabilmente
sommati tra loro fino a far scoppiare la crisi.
Gli italiani avevano più volte suggerito di nominare come primo
Ministro Gotzamanis, ma i due incaricati d’affari non furono d’accordo
su questa decisione. I tedeschi proposero la candidatura di Rhallis al
governo, che avevano bocciato all’ultima crisi di governo. L’Italia considerava
questo vecchio politico un “professionista”, così non fu difficile
decidere la sua nomina al governo. La questione fondamentale, che il nuovo
Consiglio dei Ministri greco doveva affrontare e cercare di risolvere con
la dovuta fermezza, era quella degli andartes. Ghigi visse quei momenti
con la speranza che la sconfitta delle bande armate diventasse l’azione
prioritaria nella politica del governo.
3.2
.......
3.3 La gestione degli aiuti in Grecia tra sospetti e rivalità.
La distribuzione dei soccorsi si era svolta abbastanza tranquillamente
durante tutto il periodo che va dalla primavera del 1942 a quella del 1943,
cioè dall’inizio dell’arrivo in Grecia del grano canadese, svedese,
degli aiuti dalla Svizzera e dal Vaticano organizzati dalla Croce Rossa
e dalla Santa Sede. Le polemiche inglesi sull’inefficienza degli aiuti
umanitari erano state immediatamente messe a tacere. Le autorità
di occupazione, infatti, non interferirono mai con l’organizzazione dei
soccorsi, né ci fu alcuna minaccia ad opera degli italiani o dei
tedeschi che mise in pericolo i soccorsi. Queste ottime condizioni di lavoro
non venivano dal nulla, ma dall’opera infaticabile dei diplomatici, dei
politici e dei rappresentanti delle organizzazioni che combattevano per
la salvezza dei greci.
Ma i cambiamenti delle sorti della guerra, stavano però mutando
le condizioni di lavoro dell’amministrazione pubblica, degli apparati militari
e delle istituzioni umanitarie. Gli occupanti della Grecia divennero sempre
più sospettosi su ogni questione. In particolare, come era stato
prima dell’inizio dei soccorsi, destava sospetti la presenza svedese nella
commissione di controllo degli aiuti, dietro la quale le potenze dell’Asse
ritenevano potesse celarsi lo spionaggio anglo-americano. Le diffidenze
furono rafforzate da alcuni contrasti all’inizio di marzo del 1943 tra
il delegato del governo svedese, Allard, e l’inviato del comitato internazionale
della Croce Rossa di Ginevra, Burckardt. Questi fu mandato proprio per
discutere con il collega l’organizzazione degli aiuti e la distribuzione
del grano canadese in Grecia, ma sull’argomento i due ebbero alcune divergenze
di opinione. I soccorsi, infatti, erano stati sottoposti al controllo di
una commissione specifica, rappresentata da Junod, che aveva ricevuto l’approvazione
sia delle potenze dell’Asse, sia degli anglo-americani. Gli svedesi, tuttavia,
fin dai primi giorni di lavoro in Grecia, avevano cominciato a monopolizzare
il servizio di distribuzione del grano nel paese. Gli occupanti, che erano
molto diffidenti nei loro confronti, si erano allarmati, tanto che avevano
considerato vane le assicurazioni svedesi sull’imparzialità del
loro operato. Gli italiani avevano denunciato il fatto, ma la Svezia aveva
tentato di rassicurarli ricordando che il trasporto del grano canadese
in Grecia era attuato dalla Croce Rossa internazionale, regolato dalle
convenzioni internazionali sul soccorso dei civili di guerra e controllato
da una commissione di controllo.
Poco meno di un mese dopo l’inizio dei primi soccorsi, Allard aveva
minacciato la sospensione degli aiuti. Egli rivendicava il diritto di decisione
su ogni questione, diritto di cui godeva il Comitato dell’Alta direzione
della commissione di controllo degli aiuti. Quest’istituto era presieduto
dal Presidente del comitato di Ginevra, Brunel, composto anche dai
delegati della Croce Rossa italiana e tedesca e dal Presidente della Croce
Rossa greca. La Svezia rientrava all’interno di un altro organismo, la
Commissione di gestione dei soccorsi, il cui presidente era appunto uno
svedese, Mohn. La richiesta era stata formulata da Allard, con l’intento
di far avere maggiori poteri decisionali alla Svezia. Egli, infatti, proponeva
che il diritto di poter intervenire sulle decisioni politiche, rafforzato
dallo strumento del veto, doveva passare dal Presidente dell’Alta direzione
al Presidente della Commissione di gestione, cioè dal ginevrino
Brunel allo svedese Mohn.
La notizia di una simile richiesta allarmò le autorità
di occupazione, che, dietro alla possibilità di un rafforzamento
della componente svedese, videro nascondersi il pericolo dello spionaggio
avversario. La preoccupazione era alta; Pietromarchi scrisse che gli italiani
non potevano accettare gli aiuti alla Grecia a quelle condizioni, in quanto
ciò avrebbe certamente favorito gli anglo-americani, che indisturbati
avrebbero potuto inviare i propri uomini. Gli svedesi, che agli occhi degli
italiani non meritavano alcuna fiducia, avrebbero potuto approfittare dei
loro poteri, per coprire le eventuali spie, o avrebbero potuto essi stessi
essere le spie degli anglo-americani.
Le sorti negative della guerra aggravavano queste preoccupazioni. La
Grecia era un importante ponte tra il continente europeo e l’Africa, dove
le potenze dell’Asse, soprattutto l’Italia, si stavano giocando la salvezza.
Attraverso il Mediterraneo, e quindi la Grecia, passavano informazioni,
direttive, viveri, rifornimenti militari e soldati diretti in Africa a
rinforzare le truppe dell’Asse. Al contrario, dal continente africano venivano
i soldati feriti, le notizie sull’andamento della guerra, le richieste
specifiche su quanto e cosa mancasse o servisse per resistere. Il traffico
concerneva un materiale troppo delicato, per poter essere sottoposto al
rischio di essere intercettato. Un’intercettazione alleata avrebbe probabilmente
comportato la fine immediata della guerra in Africa a danno dell’Asse,
in quanto il vantaggio degli Alleati era già molto grande. Il rischio
di un’eventuale disfatta era troppo grande da sopportare.
Gli occupanti non ammettevano un rafforzamento politico in Grecia di
chi, come la Svezia, poteva essere collegato al nemico; essi, però,
titubavano all’idea di una sospensione degli aiuti. Paradossalmente, infatti,
gli occupanti dipendevano anche dagli aiuti svedesi nell’approvvigionamento
del paese. Questo era stato chiaro anche in passato, nonostante l’Asse
avesse riscosso enormi successi militari su tutti i fronti. Quando la vittoria
della guerra diventò più difficile da raggiungere per le
forze italo-tedesche, mentre le difficoltà alimentari si facevano
sentire forti anche in Germania dove il cibo era mancato meno che in tutti
gli altri paesi, il bisogno degli aiuti svedesi divenne ancora più
forte.
Il problema dell’approvvigionamento dei territori occupati, inoltre,
rischiava di rendere ancora più esteso il fenomeno della resistenza.
Se le popolazioni occupate, come quella greca, avevano di che mangiare
e non vedevano messa in pericolo la loro vita si sarebbero mantenute tranquille;
il vettovagliamento avrebbe fatto sì che i ribelli non costituissero
un ulteriore pensiero per le autorità d’occupazione, che dovevano
mantenere l’ordine pubblico. La fame minacciava la tranquillità
dei civili, che avrebbero potuto rafforzare le bande armate degli andartes
e la loro propaganda, aderendovi per protestare contro gli occupanti e
la mancanza di cibo. Era facile comprendere perché gli occupanti
avessero bisogno dell’opera di assistenza alimentare per la Grecia. Per
questi motivi, pur rifiutando l’eventualità prospettata da Allard,
non si doveva urtare diplomaticamente l’orgoglio svedese, ma tentare di
allacciare un dialogo con i rappresentanti svedesi. Gli occupanti avrebbero
dovuto convincerli a rimanere nell’ambito delle convenzioni internazionali,
stabilite l’estate prima.
Le trattative in questa direzione si aprirono in breve, ma nel frattempo
sorsero altri problemi relativi agli approvvigionamenti. I carichi che
portavano il grano destinato alla popolazione greca viaggiavano a ritmi
elevati, ma non abbastanza secondo i soccorritori, che avevano tentato
più volte di intraprendere vie diverse per accelerare e migliorare
il vettovagliamento. I loro progetti, però, incontrarono sempre
il fermo rifiuto italo-tedesco di consentire ulteriori aperture o passaggi
ai soccorsi. La moltiplicazione delle vie d’accesso avrebbe reso più
difficile il controllo degli occupanti. Allard fece l’ennesima proposta
alle autorità d’occupazione, proprio mentre erano state avviate
le trattative sui poteri decisionali all’interno degli organi di controllo
dei soccorsi. Alla metà del mese di marzo il rappresentante svedese
chiese che il grano canadese avesse la possibilità di essere inviato
anche attraverso altri passaggi, come Patrasso, Calamata, Valo e in un
porto dell’Epiro. Gli occupanti, tuttavia, imposero il loro divieto allo
scalo delle merci in quei luoghi. Lo sbarco era invece consentito al Pireo,
a Salonicco e ad Heraklian, nell’isola di Creta. Questi ultimi scali erano
stati usati dalla Croce Rossa fin dall’inizio dell’opera di vettovagliamento.
Gli addetti ai soccorsi, però, non si arresero, e chiesero delle
agevolazioni almeno nei trasporti via terra. Gli italiani furono pronti
ad assentire a questa richiesta e diedero le assicurazioni necessarie,
perché i trasporti terrestri fossero resi più facili, garantendo
un approvvigionamento più efficiente.
A questo punto rimaneva ancora insoluta la questione sul trasferimento
delle responsabilità decisionali all’interno dell’amministrazione
dei soccorsi. Le notizie, riguardo la soluzione dei contrasti, giunsero
il 18 marzo a Pietromarchi, che era a capo dell’ufficio per gli armistizi
e i territori occupati. Egli comunicò al Sottosegretario agli esteri
che, in conformità alle direttive date dagli italiani, non c’era
stato alcun cambiamento degli accordi stipulati in precedenza. Benché
a Ginevra si conoscesse già il contenuto dell’accordo fra il rappresentante
del Comitato della Croce Rossa internazionale e Allard, nel quale si stabiliva
che i rappresentanti della Croce Rossa internazionale venissero esclusi
dai controlli in favore di un rafforzamento dei poteri della rappresentanza
svedese, il patto fu sciolto . Pietromarchi informò, inoltre,
che gli accordi del maggio 1942 erano stati rafforzati, con soddisfazione
sia di Burckard che di Allard. Bastianini, approvò questa linea
due giorni dopo.
La positiva conclusione di questa vicenda contribuì ad allentare
la tensione legata ad un problema gravoso, tanto quanto quello della crisi
finanziaria e politica del paese. Le trattative fra gli organizzatori dei
soccorsi e le autorità di occupazione si erano concluse in modo
da garantire alla Grecia gli approvvigionamenti necessari per tutto il
corso della guerra.
Nella polemica delle autorità di occupazione con i rappresentanti
svedesi la Santa Sede non entrò in alcun modo. Era evidente che,
in quel periodo, il Vaticano si stava interessando ad altri problemi, come
quelli riguardanti le comunità israelitiche in Grecia.
3.4
..............
3.5 Un primo parziale bilancio della Santa Sede sugli aiuti alla Grecia e l’intervento a favore degli ebrei.
Nel marzo 1943 la Segreteria di Stato, in una nota, fece “il punto degli
aiuti della Santa Sede in Grecia per le vittime di guerra”. La nota iniziava
col riferire delle prime attività pontificie dell’agosto 1941, e
finiva con l’organizzazione degli istituti di assistenza. Nel documento
si faceva menzione di tutti i soccorsi concreti e dell’opera diplomatica
svolta dalla Santa Sede in merito. La Segreteria di Stato si era riproposta
di fare una sorta di resoconto di ciò che il Vaticano era stato
capace di produrre in termini di beni materiali e attività diplomatica,
in favore delle vittime della guerra in Grecia. La nota sulla Grecia rientrava
nel progetto più ampio di un documento che avrebbe riguardato tutta
l’opera di assistenza pontificia durante la guerra in Europa. Il momento
storico in cui il documento nacque vedeva grandi cambiamenti: le sorti
della guerra erano cambiate completamente; la supremazia tedesca non era
più tale ed aveva lasciato il passo a quella degli Alleati; la Russia
combatteva ormai al fianco degli anglo-americani; la resistenza comunista
si rafforzava in tutta l’Europa; la questione delle persecuzioni ebraiche
si imponeva sempre più forte. L’opera di carità pontificia
si stava concentrando sempre di più intorno al problema ebraico.
In Grecia l’interesse della Santa Sede per il problema della fame stava
per essere superato da quello per l’olocausto. Forse per tutti o alcuni
di questi motivi la Segreteria di Stato si ripropose di scrivere il documento
facendo il punto di ciò che era stato fatto fino ad allora, visto
che il presente, con tutti i suoi cambiamenti, rendeva il futuro pieno
di incertezze.
Nel documento erano riportate le prime iniziative pontificie in favore
della Grecia; queste erano state dirette principalmente ai bambini del
paese con i primi soccorsi in latte, proveniente da Berna. Dopo il latte,
la Santa Sede riuscì a reperire quindici tonnellate di cibi diversi
e medicinali, tutti provenienti ancora dalla Svizzera. Questi soccorsi
partirono per la Grecia nei primi giorni di agosto del 1941, quando la
Santa Sede ebbe le prime notizie sulle condizioni alimentari dei greci.
I primi aiuti svizzeri furono seguiti dai contributi ungheresi. Da
Budapest la Santa Sede inviò del grano, medicine e vitamine; lo
stesso fu fatto dall’Italia, dove il Vaticano sollecitò la partenza
di diversi generi di prima necessità. La nota riferiva che in favore
della Grecia erano stati aperti negoziati in Turchia, Bulgaria e Romania,
ma che questi non avevano dato i risultati sperati. Tra queste attività
diplomatiche si faceva un accenno anche ai contatti con la Gran Bretagna
tesi alla revoca del blocco; la Segreteria di Stato riconosceva che in
quella vicenda era stato decisivo l’intervento americano.
Le attività diplomatiche si erano affiancate all’assistenza
alimentare. Nell’autunno del 1941 erano stati istituiti i “Focolai della
Divina Provvidenza”, che utilizzavano il grano ungherese; essi finirono
mezzo milione di pasti costati otto milioni di dracme. Tra gli istituti
più utili fu menzionato anche l’Ufficio informazioni che, nato anch’esso
nell’autunno di due anni prima, aveva ricevuto cinquantamila messaggi in
un anno di lavoro.
Tutte queste attività avevano avuto un enorme successo. La diplomazia
aveva giocato un ruolo fondamentale, ma i soccorsi che essa garantiva sarebbero
stati inutili senza le organizzazioni preposte alla loro distribuzione.
La nota riportava notizie anche sull’attività diplomatica del
momento; essa si riferiva ad alcuni negoziati aperti con la Romania, grazie
ai quali si sperava di poter reperire dei soccorsi. La Santa Sede, infatti,
si era attivata presso il governo rumeno, con il fine di ottenere alcuni
carichi di prodotti agricoli. La risposta dei rumeni doveva ancora giungere,
ma si sperava che fosse positiva e che si potesse far fronte all’approvvigionamento
greco di quei primi mesi del 1943.
Il primo parziale bilancio dell’attività della Santa Sede in
favore della popolazione greca era del tutto lusinghiero. Ma esso testimoniava
anche che quest’attività non si fermava, anche se la situazione
in Grecia era migliorata molto. Gli avvenimenti che sarebbero intervenuti
e che già caratterizzavano quel momento, però, avrebbero
distratto la Santa Sede dal problema della fame nel paese. Il Vaticano
non abbandonò la Grecia, ma si dedicò maggiormente ai problemi
specifici di un “gruppo” di greci: gli ebrei. L’olocausto fu la tragedia
nella tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Non sta a noi occuparci
nel dettaglio del dramma degli ebrei greci, ma dobbiamo tracciare un rapido
quadro per rilevare come questo problema influì sull’atteggiamento
della Santa Sede nella questione della fame in Grecia.
Il problema ebraico si era presentato in Grecia più o meno all’inizio
di quell’anno. Le autorità italiane ne riferirono a Mussolini per
la prima volta in febbraio. In quel periodo esse si stavano occupando della
lotta contro le bande armate e dell’inefficienza del governo greco. I tedeschi
prospettarono loro anche l’impegno di dover pensare al reclutamento e alla
deportazione degli ebrei, ma questo compito sembrava troppo gravoso agli
italiani, presi dagli altri problemi. Essi avevano ritenuto, inoltre, che
un comportamento così ostile verso gli ebrei avrebbe provocato un
malcontento generale, e questa era un’eventualità troppo pericolosa.
Se si fossero minacciati dei cittadini greci ebrei, il governo probabilmente
avrebbe fatto ostruzionismo, mentre gli occupanti avevano bisogno del suo
appoggio nell’attività di opposizione agli andartes. Le stesse bande
armate avrebbero potuto prendere il pretesto di queste deportazioni per
nuovi attacchi e scontri. Inoltre, le risorse italiane necessarie all’organizzazione
di un’ operazione di rastrellamento e deportazione, come quella progettata
dai tedeschi a danno degli ebrei, non erano disponibili. Perciò
gli italiani comunicarono di non essere in grado di provvedere ad una simile
iniziativa.
Le resistenze italiane, che erano dovute a problemi politico-amministrativi,
non certo a questioni di ordine morale, tuttavia non bloccarono il processo
di rastrellamento e deportazione della popolazione ebrea. Gli ebrei greci,
memori di quanto aveva fatto la Santa Sede per il loro paese nel momento
più difficile della guerra, inviarono delle richieste di aiuto al
Santo Padre. All’inizio della primavera Testa si fece portavoce di queste
richieste. A Salonicco la situazione era diventata molto difficile per
gli ebrei, molti si offrirono volontari per andare a lavorare in Germania,
pur di non essere deportati nell’Europa dell’est; una simile richiesta
fu accordata solamente agli ebrei di origine italiana. Come era successo
per il problema dell’approvvigionamento alimentare, la Santa Sede si rivolse
nuovamente agli italiani, sperando che nei loro territori i fatti accaduti
a Salonicco non si ripetessero. In un primo momento le richieste pontificie
vennero accolte, ma in quel periodo la nuova crisi di governo greca distolse
gli italiani da questa vicenda.
Con l’aggravarsi della situazione militare dell’Asse il problema degli
ebrei in Grecia si impose sempre più all’attenzione del Vaticano.
Gli alleati sbarcarono in Sicilia ed il 25 luglio il fascismo cadde;
nei primi giorni di settembre il nostro paese firmò l’armistizio
con gli alleati: gli italiani stavano per ritirarsi dalla guerra e tentare
di cambiare fronte.
In Grecia le autorità di occupazione stavano preparando e predisponendo
il paese per il cambiamento; tutti ormai sapevano che solo un miracolo
avrebbe potuto far cambiare le sorti dell’Italia. La Santa Sede in Grecia
continuava ad occuparsi dei problemi che affliggevano la popolazione israelitica.
Le preoccupazioni per quello che sarebbe accaduto agli ebrei, una volta
che gli italiani avessero lasciato il paese nelle mani dei tedeschi e dei
bulgari, crescevano e superavano ormai quelle che la Santa Sede rivolgeva
al problema della fame. Il Vaticano aveva contato su un certo atteggiamento
di clemenza verso gli israeliti nei territori occupati dagli italiani,
ma queste zone sarebbero state presto divise tra bulgari e tedeschi, rendendo
la situazione per i non ariani molto più difficile, se non impossibile,
da affrontare.
Questo atteggiamento di totale sfiducia nei confronti delle proprie
capacità di persuasione verso i tedeschi appare palesemente da una
nota del Segretario di Stato; Maglione la scrisse per chiarire la posizione
pontificia verso gli ebrei in Grecia. Egli disse apertamente di non poter
fare nulla per gli israeliti residenti nei territori occupati dai tedeschi,
in quanto questi avevano già disposto ed eseguito tutte le misure
contro in non ariani. La Santa Sede, in questo caso, poteva limitarsi ad
ascoltare ciò che era avvenuto, senza poter intervenire. La disperazione
per l’impotenza del Vaticano emergeva nelle parole del Segretario: “E poi,
se non si è riusciti ad aiutare gli ebrei tedeschi e di altri paesi
attualmente occupati dalle truppe tedesche, che si potrà sperare
per la Grecia?”. Nonostante tutte le attività di sicuro effetto
positivo attuate in Grecia, con l’influenza che la Santa Sede aveva saputo
avere in un paese prevalentemente ortodosso, il Card. Maglione non poteva
fare nulla per la sorte degli ebrei greci. L’incomunicabilità tra
le autorità tedesche e la diplomazia pontificia era resa evidente
da questo documento, in cui emergeva tutta l’impotenza del Santo Padre
di fronte a certe questioni, collegate strettamente alla Germania. La nota,
tuttavia, si concludeva con l’espressione di un impegno, con la quale il
Segretario prometteva che il Vaticano avrebbe “continuato ad interessarsi”
degli ebrei in Grecia e nel mondo, “pur prevedendo tante e tante difficoltà”.
Gli appelli degli israeliti in Grecia, appartenenti anche ad altre
nazioni, continuavano a giungere in Vaticano attraverso l’uditore pontificio
Testa. A metà luglio i rappresentanti della colonia ebraica spagnola
in Grecia si fecero avanti con una supplica, nella quale chiedevano di
non subire la stessa sorte dei loro correligionari di nazionalità
greca, che sicuramente sarebbero stati deportati tutti. La Santa Sede si
attivò sia presso il nunzio apostolico a Madrid, sia presso il Direttore
Generale del Ministero degli Esteri spagnolo, Doussinague, perché
ci fosse un intervento in favore di queste vittime e si permettesse loro
di poter rientrare in patria. Il Direttore Generale spiegò che questi
ebrei durante la guerra civile si erano schierati in favore dei comunisti,
e, dopo la vittoria di Franco, erano espatriati all’estero. Nonostante
le avversioni del passato, tuttavia, Franco avrebbe permesso un immediato
rimpatrio, a causa della persecuzione cui questi erano sottoposti. La realizzazione
di questo piano richiedeva diversi mezzi di trasporto e risorse, che mancavano;
inoltre, questa risoluzione avrebbe incontrato l’opposizione dei tedeschi,
e prodotto una divergenza tra il governo spagnolo e il “Joint Distribution
American Committee”. Quest’organo giudaico era stato preposto all’assistenza
degli israeliti, impegnandosi in tutti i casi analoghi, a pagare le spese
per il trasporto degli ebrei di ritorno alla loro patria. I membri del
comitato, però, avevano notato che il caso di questi ebrei era diverso,
in quanto essi, prima di essere israeliti, erano cittadini spagnoli, dunque
spettava al governo di Franco pagare le spese del loro rimpatrio. Quest’ultimo
aveva risposto di fare già molto, permettendo agli ebrei di rientrare,
perché in Spagna erano ancora vigenti le leggi dei Re Cattolici.
Il governo spagnolo aveva manifestato la propria intenzione di superare
queste divergenze, pur di permettere agli ebrei spagnoli di far ritorno;
esso aveva anche predisposto la loro ubicazione in zone diversificate,
per prevenire in futuro l’opposizione organizzata degli israeliti contro
il regime, come in passato. In Grecia, intanto, i tedeschi andavano avanti
nella loro opera di deportazione e le notizie recate dagli ebrei spagnoli
non erano molto confortanti. Esse, infatti, riferivano di un rastrellamento
tedesco, riguardante i non ariani spagnoli posti in un campo di concentramento
del paese, in attesa della deportazione. Il Governo spagnolo allora si
affrettò a comunicare di non inviare gli ebrei né in Russia,
né in Polonia, “perché si sa che questo equivale ad un scomparsa
definitiva”. Quest’iniziativa, presa nonostante non si fosse ancora raggiunto
un accordo con il “Joint Distribution American Committee”, sembrava porre
la questione sulla via di una soluzione. La Santa Sede era enormemente
soddisfatta, perché non si era data per vinta ed aveva continuato
nella sua opera di assistenza.
L’attenzione della Santa Sede si era spostata da una questione che
investiva tutti i greci, ad una più specifica. La fame era stata
quasi sconfitta ed il paese, dal punto di vista alimentare, aveva subito
rilevanti miglioramenti. Testa, tuttavia, invitò la Santa Sede a
non abbandonare il problema, in quanto in alcune zone del paese il problema
della fame non era stato ancora superato. Il problema degli ebrei, però,
si imponeva come prioritario, e gli interventi della Santa Sede in Grecia
di quel periodo tralasciarono, quasi completamente, il problema della fame.
Le vicende greche andavano complicandosi: l’amministrazione italiana
stava per lasciare il paese, il governo greco minacciava nuovamente di
dimettersi e la resistenza stava prendendo il sopravvento. La Santa Sede
sarebbe tornata ad occuparsi delle vicende alimentari del paese solo dopo
la sua liberazione.
3.4 Le valutazioni politiche di Testa sulla situazione generale della Grecia.
Benché completamente preso dalle vicende delle comunità
israelitiche in Grecia, Testa non poté ignorare i cambiamenti, che
quella primavera carica di eventi estremamente importanti portò
anche in Grecia. In quel periodo, infatti, come abbiamo già ricordato,
la guerra vide la vittoria schiacciante degli Alleati in Africa settentrionale,
mentre le truppe dell’Asse si ritiravano in Tunisia e, in maggio, si arrendevano
agli anglo-americani.
Testa ritenne, in vista di questi avvenimenti, di analizzare la situazione
generale presente in Grecia, dopo molti mesi in cui l’attenzione della
Santa Sede era stata puntata su problemi più specifici. Egli descrisse
come i greci avevano passato tutto l’inverno ad attendere l’arrivo degli
Alleati. Tale attesa si era rafforzata man mano che le notizie delle vittorie
anglo-americane e sul fronte russo erano giunte. Dopo gli eventi in Tunisia
“l’esaltazione ha raggiunto il massimo”, scriveva Testa, tanto che si cominciava
a pensare al futuro, al ruolo politico della Grecia, alla sua sorte nella
ricostruzione dopo tante distruzioni e sofferenze. L’uditore espresse le
proprie preoccupazioni per questo misterioso ma splendente futuro, a cui
sembrava essere prossimo il paese. Le sue ansie si concentravano sulla
possibilità che il paese venisse liberato non solo dagli anglo-americani,
ma anche dai russi, che stavano avanzando sempre più velocemente
verso l’Europa centro-orientale. Questa avanzata militare era affiancata
a quella ideologica, tanto che, scriveva Testa, il comunismo, rimasto latente
in molti gruppi, stava coinvolgendo le bande armate degli andartes. Il
rappresentante pontificio parlò delle correnti comuniste presenti
nel paese, come di un cancro, che si insinuava tacitamente nelle carni
del popolo, nascondendosi dietro i suoi valori tradizionali, come l’indipendenza
nazionale. Questo male avrebbe mostrato solo alla fine, dopo aver seminato
morte e violenza, il suo vero volto. Testa scrisse che i comunisti si stavano
assicurando l’appoggio di molti greci che combattevano per la libertà
dagli oppressori nazi-fascisti, con il fine di raggiungere la rinascita
della loro nazione indipendente ed abbattere la violenza repressiva dell’Asse.
Le correnti della resistenza avevano contribuito a creare una forte confusione
all’interno del paese: da una parte c’erano gli andartes, i ribelli che
combattevano sulle montagne; dall’altra i comunisti, sparsi un po’ dovunque,
con la loro lotta e propaganda. Queste due forze man mano che si organizzavano
erano giunte ad un accordo, tanto da unirsi e cominciare a combattere insieme,
“per lo stesso scopo” . La resistenza si era rafforzata ed allargata a
macchia d’olio in tutto il paese. Le zone, in cui più forte era
la presenza dei ribelli, erano soprattutto quelle delle regioni montuose
del nord: la regione dell’Olimpo e quelle confinanti con la Serbia e l’Albania,
dove combattevano anche altri ribelli di diversa etnia, ma con uguali intenti
nazionalistici e libertari, alimentati dalla propaganda comunista. La resistenza
si era diffusa molto anche in Tessaglia, dove lo stesso Ghigi aveva riferito
di numerosi focolai di rivolte e di scontri con le truppe italiane, e nelle
montagne del Parnaso. Nelle zone dove i combattimenti erano più
aspri, la sorte delle truppe, dei ribelli e dei civili era stata tristissima.
L’uditore pontificio scrisse che molti soldati italiani persero la vita
in questi contrasti; altrettanti furono fatti prigionieri; c’erano state
“battaglie”, fra gli andartes e le truppe di occupazione nei luoghi dove
erano effettuati rastrellamenti di ribelli, comunisti, ma, soprattutto,
di ebrei. Naturalmente i combattimenti avevano portato i rapporti tra gli
occupanti ed i greci ad inasprirsi sempre di più. “I morti sono
sempre più numerosi, scriveva Testa, frequenti le rappresaglie contro
villaggi e città accusati di favorire gli uni o gli altri, specialmente
dura la sorte degli imprigionati sotto l’accusa di opposizione all’Asse,
di spionaggio, di comunismo”.
Nelle terribili difficoltà che stavano attraversando le forze
italo-tedesche, non solo all’interno della Grecia, ma su tutti i fronti
dove la guerra si svolgeva, le autorità di occupazione ebbero l’idea
di approfittare del fatto che tutti i conservatori nel paese criticassero
negativamente l’operato dei ribelli, attivando una grande campagna di propaganda
anticomunista. In quei giorni era cominciata una forte campagna di persecuzione
a danno dei bolscevichi anche in Germania, per sconfiggere il malcontento
e la sfiducia diffusasi a causa delle sconfitte del III Reich. Nel paese
si era diffusa la propaganda comunista alimentata dalle vittorie militari
dell’Urss. I tedeschi stavano facendo di tutto per contrastarla e per creare
un capro espiatorio con il fine di distrarre gli animi dalle sconfitte
dell’Asse e delle vittorie degli Alleati. La campagna anticomunista istigava
tutte le forze europee a riunirsi e creare un fronte unico contro il bolscevismo.
In Grecia gli occupanti attuarono la loro propaganda presso le organizzazioni
e le persone più autorevoli; essi si attivarono presso le università,
le personalità politiche, il Governo, gli alti prelati ortodossi,
e lo stesso Damaskinos. Questi alti personaggi avrebbero dovuto influenzare
in senso anticomunista il popolo, magari con delle dichiarazioni pubbliche.
Nonostante gli sforzi delle autorità di occupazione e le numerose
adesioni di coloro i quali temevano il comunismo, la collaborazione
a questo progetto non fu accordata. Il movimento comunista, infatti, si
era legato troppo a quello nazionalista, che rispecchiava il desiderio
di tutti i greci, non solo dei ceti popolari, di una liberazione dai nazi-fascisti
e di una rinnovata Grecia indipendente.
Le vicende interne non mancarono di ripercuotersi sulla stabilità
politica della Grecia. Testa riferiva della crisi governativa e della sostituzione
di Logothetopulos, che non era stato in grado di accordare quell’appoggio,
che in una situazione del genere gli occupanti si aspettavano. Testa considerava
il nuovo governo Rhallis più rappresentativo del precedente; inoltre,
egli nutriva una grande stima per il nuovo premier, che si dimostrava certamente
più esperto dei suoi predecessori. L’uditore pontificio sperava
che sia l’elemento della maggiore rappresentatività, sia l’esperienza
del Primo Ministro, avessero prodotto un governo più attento alle
esigenze del paese, e meno prodigo di servigi e favori per gli occupanti.
Egli giudicò, però, impossibile che i civili potessero tenere
in considerazione questo governo, poiché esso rimaneva comunque
servitore degli italo-tedeschi. L’uditore credeva, tuttavia, che il nuovo
governo sarebbe stato rispettato per l’utile attività amministrativa,
l’unica che gli fosse concessa, che date le sue potenzialità avrebbe
potuto mettere in atto. Testa sembrava guardare con favore a questo nuovo
esecutivo, perché questo non si poneva come vassallo diretto degli
occupanti, ma in una condizione di “tacita sopportazione dello stato attuale
di occupazione”. Questa convinzione derivava dal fatto che il Presidente
del Consiglio, nelle conferenze stampa fatte dopo la creazione del nuovo
governo, non si era dichiarato in aperta collaborazione con le potenze
dell’Asse in alcun punto del proprio programma. Il premier aveva asserito,
però, di aver formato il governo con il consenso degli occupanti,
ricordando che le condizioni attuali del paese erano state causate da “un
regime tirannico” , i cui componenti non erano intenzionati a fare vera
opera di governo. Le forze dell’Asse dunque, conducendo la battaglia
contro il bolscevismo, legittimamente pretendevano dai greci un atteggiamento
non ostile o ostruzionistico. Rhallis concluse le proprie dichiarazioni
con un pensiero per le categorie di lavoratori, operai, invalidi, ed un
ammonimento per chi avrebbe minacciato l’ordine pubblico. L’attenzione
del nuovo premier verso l’azione antibolscevica degli occupanti aveva una
spiegazione. Secondo Testa, nel paese c’erano stati dei moti di protesta
per la notizia di una prossima mobilitazione dei civili, che sarebbero
stati portati a lavorare in Germania. Era proprio in seguito a questi fatti
che il governo di Logothetopulos si era dimesso. Rhallis dunque aveva tentato
di calmare la popolazione, tranquillizzandola sugli intenti unicamente
antibolscevichi delle operazioni di polizia degli occupanti. In questo
modo egli era riuscito ad evitare una vera e propria guerra civile con
un enorme spargimento di sangue.
Le disposizioni delle autorità tedesche riguardo agli ebrei,
tuttavia, non si fermavano. L’uditore prese ad affrontare questo gravoso
problema, confrontando l’atteggiamento generale delle autorità tedesche,
rispetto alle italiane. Le prime avevano condotto i rastrellamenti di Salonicco,
a causa dei quali lo stesso Testa si era attivato due mesi prima. Le deportazioni
erano proseguite, tanto che, al momento in cui scriveva l’uditore riteneva
che a Salonicco non ci fosse più un solo ebreo. “Mi è stato
detto che in queste ultime settimane ben quarantasettemila ebrei sono stati
convogliati con treni espressamente preparati e nei quali venivano caricati
e pigiati come pacchi di mercanzie. Ad ogni partenza di treno erano scene
di orrore e di raccapriccio che si ripetevano”. Le autorità
italiane sembravano avere un comportamento meno duro nei confronti dei
non ariani. Testa disse che gli unici ebrei rimasti nel paese erano quelli
di origine italiana o comunque protetti dal Consolato Italiano. L’uditore,
così come in precedenza Roncalli, notava un atteggiamento più
malleabile ed umano delle autorità italiane, rispetto a quelle tedesche.
Ancora una volta un rappresentante della Santa Sede sembrava confidare
sul mito degli “italiani brava gente”. Molti israeliti chiesero a Testa
di intercedere presso gli italiani, affinché le deportazioni fossero
dirette verso l’Italia, dove erano disposti anche ad assumere il
titolo di prigionieri di guerra, pur di non cadere nelle trappole tese
dai nazisti.
L’inclinazione benevola dell’amministrazione italiana si rivelava anche
nei confronti dei greci ariani. “Gli italiani, civili e militari, diedero
in genere prova di molta comprensione e si mostrarono piuttosto ben disposti
alla clemenza e alla bontà; non sono mancate, è vero, alcune
esecuzioni capitali e numerosi imprigionamenti, non sempre giustificati,
nel complesso però, ed è opinione comune, l’Autorità
italiana ha finito per rendersi almeno non odiosa”. La situazione dei ribelli
rischiava, però, di cambiare le carte in tavola. L’uditore pontificio,
infatti, poté visionare alcuni proclami, emanati dalle autorità
italiane e dal governo Rhallis in quei giorni della prima metà di
maggio. In questi bandi si chiedeva ai ribelli e a chi li sosteneva di
arrendersi e di collaborare, smettendola con i loro combattimenti troppo
gravosi per la stessa Grecia. Le autorità non contavano molto sull’efficacia
di tali inviti, ma si trattava di una mossa temporeggiatrice in vista di
un’azione militare offensiva contro gli andartes, prevista per il 20 maggio.
Il personale del Comando Superiore delle Forze Armate italiane era
partito per Roma in quei giorni; alcuni dipendenti erano stati promossi
a cariche superiori, come il Generale Geloso, che fu nominato Comandante
Superiore delle Forze Armate dei Balcani, mentre al suo posto veniva posto
il Generale Vecchierelli. Molti altri, invece, erano stati destituiti dai
loro incarichi, perché erano stati scoperti a loro carico elementi
di corruzione. Alcuni esponenti delle forze armate si erano invischiati
in interessi ed affari non chiari e di dubbia onestà, oltre ad aver
intrapreso attività di guadagno personale collegate al mercato nero;
altri erano colpevoli di aver tollerato simili comportamenti, senza denunciarli.
Insieme a questi cambiamenti, ci furono dei controlli ed arresti presso
alcuni esponenti del mercato nero. Testa riferì anche di un collegamento
troppo stretto fra molti italiani e donne greche. Queste ultime erano spesso
collegate ai ribelli e allo spionaggio nemico, tanto che questi rapporti
avevano creato non pochi problemi alle autorità occupanti. In quei
giorni molte donne di Atene venivano arrestate e mandate a Roma.
Testa non volle entrare nel merito dell’autenticità di queste
voci, seppure sembravano suffragate dai fatti. Egli tendeva a sottolineare
come tutti questi cambiamenti ai vertici sia delle forze armate, sia nell’amministrazione,
avevano delle conseguenze negative per la popolazione greca. I civili italiani,
presenti nel paese, rimasero sconvolti da tanti stravolgimenti ed arresti.
I cambiamenti che avvenivano sul fronte della guerra avevano ripercussioni
anche all’interno della Grecia. In quei giorni di primavera, la psicosi
generata dalla paura dello spionaggio aveva provocato le retate, gli arresti
e la diffidenza generali. La situazione era determinata dall’andamento
della guerra, che sfavorendo le forze dell’Asse le istigava ad eliminare
tutto ciò che potesse rappresentare una minaccia o un pericolo.
Sicuramente parte degli arresti era realmente motivata, ma quel tipo di
psicosi collettiva aveva portato senz’altro anche ad arresti ingiustificati,
frutto di pettegolezzi e voci di corridoio, alle quali si prestava volentieri
orecchio con la speranza di debellare il male.
I rapporti con i civili greci andavano degenerando. La popolazione
aspettava solo l’arrivo dei liberatori anglo-americani, che avrebbero sconfitto
gli oppressori. Testa descrisse in quei giorni il clima di tensione e nervosismo,
che era palpabile in ogni angolo del paese. Da una parte gli occupanti
terrorizzati dal pericolo delle spie, che temevano fossero nascoste persino
nelle organizzazioni per i soccorsi alimentari internazionali; dall’altra
parte i greci, timorosi di poter fare anche solo una mossa che potesse
essere indice di una certa familiarità con i ribelli o con il nemico
e di essere arrestati. I morti, frutto di questo nervosismo, erano una
realtà con cui imparare a convivere.
Le comunicazioni erano rese ancora più difficili da controlli
spasmodici, alla scoperta del clandestino o dell’informazione segreta;
ciò contribuiva a rallentare i traffici tra una regione e l’altra
e tra le diverse province, comportando dei grossi ritardi e, dunque, dei
danni ai soccorsi per il vettovagliamento del paese. Secondo Testa, la
situazione alimentare nel suo complesso era migliorata, ma nelle isole
e nelle province più povere le condizioni di vita erano ancora difficili.
Bisognava continuare nell’opera di approvvigionamenti intrapresa, ma le
difficoltà del presente ponevano seri problemi anche a quest’attività
umanitaria.
Tutto quello che stava succedendo nel mondo e in Grecia, creava degli
stravolgimenti politici, militari, amministrativi e nella vita quotidiana,
tali da non poter essere più controllati o arginati. In soli cinque
mesi dall’inizio dell’anno in Grecia erano successe tantissime cose diverse:
il governo, appena insediato era caduto e, al suo posto, ne era stato creato
un altro completamente diverso; era cominciata la deportazione degli ebrei,
con l’incubo dei treni diretti ad est; la resistenza si era fatta sempre
più pericolosa e condizionata dall’influenza comunista; i greci
vi aderivano ribellandosi, dopo due anni di sopportazione, alla tirannia
degli occupanti; la campagna antibolscevica aveva portato gli arresti,
i rastrellamenti, le esecuzioni, comuni in tutta Europa; la guerra stava
cambiando le carte in tavola e i sentimenti di demoralizzazione dei civili
si tramutavano in speranze per il futuro. La Santa Sede rimaneva un punto
fermo per i sofferenti, ma cosa le rimaneva da fare _ si chiedeva Testa_
per alleviare le pene delle vittime della guerra? Testa: “ Restiamo _ scriveva_
ora ad attendere gli avvenimenti con le stesse disposizioni finora mantenute
di fare cioè quanto dipenderà da noi per alleviare, in nome
del Santo Padre e della carità cristiana, il più possibile
di sofferenze”.
3.5
...............
3.6 L’Italia lascia la Grecia.
Le autorità di occupazione italiane cominciarono a prepararsi
ad abbandonare la Grecia nel luglio 1943. L’amministrazione tedesca, di
contro, rafforzò i propri presidi e accentrò l’amministrazione.
I contingenti bulgari furono preparati ad entrare nel paese per l’8 luglio
a Salonicco, in parziale sostituzione dei tedeschi. L’arrivo dei bulgari
non costituì una buona notizia per i greci. Nei territori già
occupati dalla Bulgaria, i greci, infatti, avevano subito una dura persecuzione,
tanto che la maggior parte di essi fu espulsa nei territori che rimanevano
sotto l’amministrazione greca. Molti greci morirono durante le persecuzioni
e i rastrellamenti, che furono estremamente violenti; altri furono uccisi
perché si opposero ad una simile oppressione. I bulgari avevano
saputo attivare anche una propaganda denigratoria contro i greci ed il
loro spirito nazionalistico, rendendo la loro presenza sempre più
odiosa. Alla base di questi violenti comportamenti c’erano le rivendicazioni
territoriali e nazionalistiche, che da sempre avevano opposto i due paesi.
Era facile comprendere lo stato d’animo dei greci, al pensiero che la Bulgaria
stesse per estendere la sua occupazione.
Il Primo Ministro Rhallis minacciò più volte di dimettersi
con le autorità italiane, che stavano predisponendo la loro evacuazione,
e tedesche, che si stavano preparando ai cambiamenti annunciati. Il premier
si faceva portavoce delle preoccupazioni e dell’indignazione del suo popolo,
in vista dell’entrata delle truppe bulgare. Egli ribadì a Ghigi
le proprie intenzioni, quando seppe che Altenburg aveva approvato il nuovo
schieramento delle truppe bulgare in Grecia. Il plenipotenziario italiano
tentò di dissuadere il premier dal prendere questa decisione, e
questi decise di soprassedere. L’intervento del plenipotenziario riuscì
positivamente; infatti, due giorni dopo Alfieri, ambasciatore italiano
a Berlino, scriveva: “Rhallis rimane al potere, siamo positivi sullo sviluppo
della crisi”.
La crisi ministeriale sembrava sventata, tuttavia altri problemi si
presentavano sulla scena politica greca. La resistenza dei partigiani si
faceva ogni giorno più forte, estendendosi in tutte le regioni del
paese. Le autorità italiane cominciarono a comunicare con quelle
bulgare, per riuscire a superare il problema. La Bulgaria, infatti, stava
cominciando a rappresentare per tutti i partigiani comunisti un ponte,
attraverso cui le informazioni, i rifornimenti e gli uomini, potevano passare
dalla Russia all’Europa occidentale. Questo traffico era stato allestito
soprattutto tra la Russia e i Balcani, ma ora ne usufruivano anche i partigiani
comunisti greci. La Bulgaria aveva tutto l’interesse a sconfiggere questa
nuovo canale di comunicazioni sia perché questo aggravava la propria
situazione interna, rafforzando e coadiuvando l’azione dei partigiani
bulgari, sia perché il problema si presentava con violenza anche
in Grecia, dove loro sarebbero andati ad occupare dei presidi. Babuscio
Rizzo, Capo di Gabinetto italiano, scrisse in proposito a Mameli, ambasciatore
italiano in Bulgaria, riferendogli informazioni riguardo la resistenza
greca e i suoi partigiani, con il compito di fare indagini. Egli riferì
che i ribelli greci, ormai definiti tutti indiscriminatamente comunisti,
combattevano soprattutto nella regione della Tessaglia e nel Parnaso orientale.
L’organizzatore di queste bande corrispondeva al nome di Zacharaddea, il
quale sembrava comunicare con Mosca attraverso la Bulgaria.
Nel frattempo i preparativi per la sostituzione delle truppe italiane
con quelle bulgare proseguivano. Altenburg e Ghigi avevano incontrato ancora
il primo Ministro greco, il quale aveva detto loro che avrebbe atteso ancora
prima di dare le dimissioni, nonostante l’entrata in Macedonia delle truppe
bulgare avesse destato una profonda commozione ed un grande disagio nel
paese. Sistemata la questione governativa, Altenburg inviò Parisius,
Capo degli affari e dell’amministrazione civili, presso il Comando
delle Forze Armate tedesche di Salonicco, per accordarsi con Rhallis sulle
nuove modalità di organizzazione della zona. Rhallis fece in proposito
delle richieste a Parisius e i tedeschi, in risposta, mandarono un comunicato,
nel quale lo mettevano al corrente dei loro progetti. Questi ultimi prevedevano
il rafforzamento delle truppe d’occupazione del paese, per affrontare e
sconfiggere la resistenza; in proposito le truppe bulgare sarebbero state
sistemate ad est del fiume Axeos, per controllare Salonicco e dintorni.
Il Comando militare tedesco sarebbe stato rinforzato, insieme all’apparato
poliziesco, nelle regioni dove la Bulgaria sarebbe stata assente; i tedeschi
chiedevano ai greci di rimanere tranquilli e di collaborare. Il momento
era fra i più difficili e drammatici della storia greca durante
la Seconda Guerra Mondiale, tanto che Rhallis ebbe dei contrasti con Tzironicos,
un altro membro del governo, ma l’opinione pubblica greca non era più
interessata alle vicende legate al proprio governo. I greci sentivano il
governo del paese molto lontano dai loro problemi e dalla loro realtà.
L’esecutivo greco era stato messo in vita per le esigenze delle autorità
di occupazione, nemiche della Grecia. I suoi rappresentanti non erano stati
scelti dal popolo, ma dai suoi stessi avversari; le azioni governative
non tenevano in alcun conto i bisogni dei civili, e, se lo avessero fatto,
non sarebbero stati comunque in grado di provvedervi. Questo governo doveva
combattere i partigiani, cioè gli stessi greci che combattevano
per l’indipendenza della loro patria e per i diritti di cui avrebbero beneficiato
gli stessi membri del Consiglio dei Ministri. Mentre il premier e i ministri
accondiscendevano alle richieste di sfruttamento ed oppressione degli occupanti,
i partigiani morivano in nome della loro libertà. Il governo Rhallis
si era dimostrato sin dal principio migliore degli altri per l’efficienza,
la maggiore attenzione che aveva mostrato nei confronti dei civili, le
proprie capacità di saper mantenere tranquilla la popolazione, ma
per i greci si trattava pur sempre di un fantoccio nelle mani degli occupanti.
La popolazione greca era interessata agli sviluppi militari degli Alleati,
alla loro avanzata nel Mediterraneo, ai loro successi contro l’Asse, ma
erano anche preoccupati per l’arrivo dei bulgari nel paese e per le conseguenze
che ciò avrebbe comportato. Molti greci combattevano per la resistenza,
altri vi collaboravano marginalmente, alcuni la deprecavano, ma tutti erano
impegnati in tutt’altre vicende, più importanti rispetto ai problemi
del governo. Quest’ultimo attraversava un periodo di grande fragilità;
i cambiamenti, che dovevano sconvolgere il paese, avevano provocato una
nuova crisi.
I preparativi per un cambio amministrativo e militare, intanto, continuavano;
la situazione delle truppe italiane in Grecia, però, diveniva precaria.
Neubacher riteneva la caduta di Mussolini e la formazione del governo Badoglio
responsabili dello stato di disfacimento morale e organizzativo dei militari.
Lo stato d’animo delle truppe italiane per Neubacher era preoccupante:
“Si nota una generale stanchezza, insoddisfazione, manifestazioni di un
affratellamento con il popolo greco, ed un’opposizione generale alla guerra”.
I tedeschi erano molto preoccupati per ciò che avveniva; l’atteggiamento
dei soldati italiani lasciava pensare ad una volontà di diserzione,
ma anche all’eventualità di unirsi ai partigiani. Quest’ultima ipotesi
costituiva una minaccia per i tedeschi, in quanto i soldati italiani possedevano
ancora le armi, e c’era un vago pericolo che queste potessero finire in
mano ai partigiani greci. L’atteggiamento dei soldati italiani era comprensibile:
essi avevano pian piano perso fiducia in tutti quei valori, ai quali erano
stati educati; Mussolini ed il fascismo erano caduti, distruggendo l’illusione
di una grande Italia, dominatrice dell’Europa; l’Italia stava combattendo
una doppia guerra, da cui sarebbe comunque uscita sconfitta. Mentre la
truppa italiana doveva affrontare una nuova realtà, era possibile
che Neubacher avesse esagerato un po’ nella sua versione dei fatti. I tedeschi
si sentivano minacciati da ciò che avrebbe potuto succedere, perché
le decisioni italiane erano contrarie ad ogni loro interesse. Le trattative
tra italiani e tedeschi per una nuova sistemazione amministrativa in Grecia,
tuttavia, continuavano. La Germania avrebbe optato per un trasferimento
di poteri all’autorità militare tedesca, che avrebbe collaborato
strettamente con Neubacher. I tedeschi avrebbero rafforzato unicamente
l’apparato militare, senza badare molto ai problemi amministrativi, in
quanto il loro unico fine, da allora alla fine della guerra, sarebbe stato
quello di sconfiggere i bolscevichi ed eliminare gli ebrei. I tedeschi
volevano assicurare alla Germania un controllo diretto della penisola ellenica,
per fare ciò da tempo era cominciata l’affluenza delle truppe greche
presso le zone di occupazione italiane. Le truppe italo-tedesche, dal punto
di vista operativo, erano agli ordini del Comando tedesco, capeggiato
dal Generale Lohr; anche il Generale Vecchierelli, Comandante delle Forze
Armate italiane, era ai suoi ordini. Era chiaro che in Grecia non sarebbe
rimasta traccia degli italiani, nonostante alcune questioni amministrative
e giudiziarie rimanessero insolute, come l’amministrazione separata delle
isole Ionie e delle Cicladi.
Alla fine di agosto alcuni rappresentanti italiani si riunirono a Roma
per un incontro interministeriale sulla situazione greca. L’Italia era
alla vigilia della firma dell’armistizio. Il Presidente della riunione
era Pietromarchi, mentre fra gli altri partecipanti c’era anche Ghigi.
Lo scopo di tale incontro era la discussione sui mutamenti intervenuti
in Grecia. Il plenipotenziario Ghigi intervenne, dicendo che i tedeschi
avrebbero potuto assumere i pieni poteri nel paese, ponendosi al posto
dello stesso governo greco. Egli riferì che essi avevano l’intenzione
di sopprimere l’Ufficio politico, per lasciare attivo solo quello economico.
Gli italiani avevano più volte chiesto ai tedeschi se erano disposti
a lasciare qualche zona sotto l’amministrazione italiana, ma essi avevano
sempre eluso la domanda; quindi agli italiani rimase il dubbio di chi si
sarebbe assunto i poteri decisivi in Grecia. Il silenzio della Germania
e la preparazione tedesca ai cambiamenti, che stavano per sopraggiungere,
lasciavano presagire una risposta negativa al quesito italiano.
I problemi più urgenti che la riunione affrontò in vista
dell’evacuazione italiana erano i seguenti: la sistemazione degli ebrei
italiani nel paese da non abbandonare ai tedeschi, che li avrebbero immediatamente
spediti nei campi di concentramento dell’Europa nord-orientale determinandone
la scomparsa; i trasferimenti degli italiani presenti nel territorio greco
, le modalità del trasporto e le risorse occorrenti; liberare i
detenuti, relegati nei campi di concentramento costruiti in Grecia, e i
prigionieri di guerra che non avevano più motivo di essere tali.
Una volta esaminate queste questioni, si passò a problemi militari,
soprattutto si tornò ad affrontare la questione dei rapporti italo-tedeschi.
La Germania negli ultimi tre mesi, cioè per tutta l’estate del 1943,
aveva lavorato per rafforzare la propria amministrazione militare, imponendo
la sua assidua presenza in molte zone, anche italiane. I tedeschi avevano
creato una sorta di occupazione mista in alcune regioni greche: come nel
Peloponneso, in Attica ed ad Atene. Tuttavia nel rapporto sulla riunione
stilato per il governo, Pietromarchi sostenne di doversi dissociare dalla
politica tedesca, perché era necessario lasciare un buon ricordo
dell’amministrazione italiana ai greci, anche se l’Italia avesse dovuto
abbandonare completamente il paese senza governarne alcun territorio. Con
questi propositi l’Italia lasciava la Grecia, dopo ventotto mesi di occupazione,
molta sofferenza e tante difficoltà. I Comandi tedeschi della Grecia
del nord, cioè quello della regione di Salonicco, e del sud, cioè
di Atene, furono unificati formando un unico Comando che avrebbe collaborato
con il Comando dell’isola di Creta. La Germania rimaneva così la
potenza indiscussa in Grecia. La Grecia si era liberata della spiacevole
presenza italiana, ma la strada verso la liberazione era ancora lunga.
3.6 La fine dell’occupazione tedesca.
L’occupazione tedesca, è noto, fu tutt’altro che clemente, nei
confronti di una popolazione già estremamente provata. Nel periodo
dell’occupazione tedesca, che durò fino all’autunno del 1944 nella
maggior parte dei territori greci, la Germania si servì dell’aiuto
bulgaro per sedare la resistenza. Nell’estate del 1943 i tedeschi annunciarono
che, per ogni loro soldato morto, ci sarebbero stati cinquanta greci fucilati;
quest’ordine fu eseguito in diverse occasioni ad Atene. Nei villaggi la
repressione era più dura, rispetto alle città; molte case,
dopo l’uccisione dei loro proprietari, furono bruciate, tanto che un’indagine
americana effettuata dopo l’occupazione stabilì che, durante l’occupazione,
un quarto delle case fu danneggiata. La resistenza comunista rappresentava
una questione da tenere sotto controllo anche per la Santa Sede. All’inizio
del 1944, Godfrey, nunzio apostolico a Londra, manifestò delle forti
preoccupazioni per l’avanzata del movimento comunista in Grecia, sia ad
opera della resistenza stessa, sia a causa delle vittorie militari dell’Urss
e della sua espansione nell’Europa dell’est. Questo tipo di preoccupazione,
come dimostrano le valutazioni di Testa, si era già manifestato
in precedenza, ma in quel momento certamente si faceva più vivo.
Il problema si presentò sempre più forte nel paese, man mano
che le vittorie degli Alleati avvicinavano il momento della liberazione.
Nel mese di settembre alla Santa Sede giunsero notizie sul timore degli
stessi greci, per la vicinanza dell’Armata Rossa e per le sue conseguenze
per il paese.
La lotta dei tedeschi contro i partigiani greci fu condotta sulla base
della convinzione che i ribelli fossero legati all’Urss; dunque essa rientrava
nella strategia di lotta al bolscevismo divenuto ormai il nemico numero
uno. Quest’idea però si dimostrò errata, infatti la leadership
comunista greca si collegò direttamente agli interessi russi unicamente
dopo l’estate del 1944, quasi al termine dell’occupazione. La lotta era
condotta dai nazionalisti greci, che si erano uniti ai comunisti, per combattere
un unico nemico: gli occupanti italo-tedeschi. Tuttavia, non fu certamente
questo disorganizzato gruppo di ribelli, il cui operato risentiva delle
influenze esterne e dell’andamento generale della guerra, a cacciare i
tedeschi dal paese. Il bolscevismo da una parte e la propaganda anglosassone
dall’altra non resero i ribelli così forti da poter condurre da
soli una campagna vittoriosa contro le forze germaniche. L’evacuazione
tedesca fu provocata dall’avanzata delle armate russe nei Balcani attraverso
la Romania e dalla progressiva conquista alleata dell’Italia. Inoltre,
il fatto che la Grecia non ricoprì più un ruolo centrale
nella strategia di guerra fu un vantaggio inaspettato per la lotta contro
al fame. Godfrey, delegato apostolico a Londra, definì la situazione
della Grecia eccezionale rispetto ad altri contesti europei, in cui si
presentava altrettanto forte il problema della fame. L’eccezionalità
greca derivava dal fatto che la posizione geografica del paese non creava
giovamento o vantaggi particolari all’Asse nel contesto delle operazioni
militari. Questo fatto aveva contribuito all’atteggiamento indulgente degli
inglesi, che avevano da ultimo permesso ai soccorsi di giungere più
abbondantemente nel paese. L’eccezionalità della situazione politica
e militare aveva quindi provocato un comportamento positivo da parte
della Gran Bretagna e degli Stati Uniti nei confronti della questione del
passaggio dei viveri in Grecia. I greci inconsapevolmente dovevano la loro
vita agli interessi militari, che ormai si erano spostati su fronti diversi
rispetto al Mediterraneo.
In poco più di un anno di occupazione tedesca nel paese si avvicendarono
tre diversi governi, che, con i loro organi, servirono gli interessi degli
occupanti, collaborando al loro operato. La lotta alla resistenza fu talmente
dura, che i civili stessi ne subirono l’efferatezza. Furono presi alcuni
provvedimenti, come le punizioni esemplari, le fucilazioni in piazza, l’incendio
della casa di chi si sospettava collaborasse con gli andartes, tutto per
scoraggiare ulteriori rappresaglie contro gli occupanti. Queste severe
misure repressive, però, non servirono a molto. In Grecia dunque
si continuava a morire e a soffrire. L’autunno del 1944 fu caratterizzato
dalla paura dell’avanzata comunista e dai preparativi per l’evacuazione
dei tedeschi. Testa descrisse l’atmosfera di trepidazione, che si respirava
fra i greci, in quei giorni, perché si sapeva che gli Alleati sarebbero
sbarcati nel paese da un momento all’altro. Insieme ai festeggiamenti,
alle manifestazioni nelle piazze e per le vie delle città, condotte
dai partigiani “alla maniera greca, cioè senza ordine e controllo”,
si affermava una fiera condanna dell’occupazione italo-tedesca. I greci
manifestavano tutte le loro rivendicazioni e risentimenti, per un’occupazione
troppo onerosa, irrispettosa dei bisogni reali del popolo greco, sanguinosa
e rovinosa per la Grecia e per i suoi abitanti. In questo clima i tedeschi
preparavano l’uscita dalla Grecia. Gli uomini e le armi venivano caricati
su treni diretti verso il nord d’Europa, mentre il resto prendeva il mare
o altre strade. I greci stavano ben attenti a non creare disordini, che
avrebbero potuto provocare la reazione dei tedeschi, tuttavia ciò
non fu sufficiente ad evitare le distruzioni, che, immancabilmente, colpirono
alcuni porti, aeroporti, ed impianti di altro genere.
La fine dell’occupazione tedesca fu segnata da alcune tappe fondamentali:
il 6 giugno 1944 l’operazione Overlord cominciava la liberazione della
Francia; tra agosto e settembre la Bulgaria, insieme ad altri alleati della
Germania, firmava l’armistizio; in ottobre gli inglesi sbarcavano in Grecia.
La popolazione greca poteva considerarsi liberata nell’autunno 1944, tuttavia,
fino alla resa della Germania, il 7 e l’8 maggio 1945, alcune isole dell’Egeo
rimasero sotto il controllo delle truppe tedesche. Al momento della liberazione
la situazione era estremamente disordinata, la polizia e la forze partigiane
monopolizzavano il controllo del paese, che versava in condizioni alimentari
molto difficili. Inoltre mancava l’acqua e la luce, perché gli impianti
elettrici e gli acquedotti erano stati distrutti, in parte dai tedeschi
nella ritirata, in parte dalla resistenza e dagli anglosassoni durante
i combattimenti. Testa scrisse che “la situazione è difficile per
tutti”: i generi di prima necessità mancavano, la fame era ricomparsa
già da alcuni mesi, ma il caos e l’anarchia generali non facevano
che peggiorare la situazione. La liberazione non apriva il periodo di pace,
benessere e tranquillità sociale che tutti immaginavano, ma dava
inizio ai combattimenti e alle dispute tra le diverse frange della resistenza
e la polizia. Anche il governo, capeggiato da Papandreu, sembrava avere
un destino incerto, per la volubile volontà delle organizzazioni
partigiane. La Santa Sede non era riuscita a mettersi in contatto con il
primo Ministro, né con altri personaggi del governo, tanto era il
disordine di quel momento. Attraverso l’uditore pontificio, il Vaticano
apprese delle difficili condizioni del paese e il delegato apostolico a
Washington, Cicognani, in previsione dell’annuale appello per la colletta
generale, chiese ulteriori “informazioni e notizie sulle misere condizioni
e i bisogni delle nazioni vittime di guerra”. Tra queste nazioni c’erano
la Francia, il Belgio, la Grecia, ma soprattutto l’Italia. La Grecia era
considerata una delle nazioni che più aveva subito la guerra, ed
il suo popolo era ritenuto vittima di guerra. Il Vaticano non dimenticò
le sofferenze dei greci, alle quali aveva cercato di dare conforto con
tutti i mezzi possibili. Nelle testimonianze raccolte, tuttavia, la Grecia
stessa, quando si trovò a rammentare la fame durante l’occupazione,
omise di indicare l’aiuto della Santa Sede fra quelli determinanti alla
sua salvezza. All’inizio del nuovo anno la Grecia non era più la
vittima innocente delle oppressive forze nazi-fasciste, ma la sua fame,
i suoi problemi e le sue difficoltà venivano comunque prese in considerazione
dal Vaticano, che si proponeva nuovamente di aiutare il paese. L’opera
di carità cristiana andava, dunque, oltre la guerra, per guardare
anche alle sue conseguenze e al futuro incerto che si presentava.
Conclusioni.
I documenti relativi all’operato della Santa Sede in Grecia in favore
delle vittime di guerra si fermano con la fine del conflitto. Non sappiamo,
dunque, se e come il Vaticano continuò la sua opera di assistenza,
né abbiamo delle statistiche o ricerche ufficiali che possano quantificare
i benefici apportati dall’opera del Santo Padre e dei suoi collaboratori
alla popolazione greca. Dalla nostra ricerca, tuttavia, crediamo emerga
una descrizione sufficiente dei risultati ottenuti dall’attività
assistenziale della Santa Sede per risolvere il problema della fame in
Grecia durante la Seconda Guerra Mondiale. La Santa Sede cercò di
operare al di sopra delle parti, tentando di superare le difficili controversie
del momento per aiutare la popolazione greca.
Le condizioni alimentari della popolazione si presentarono gravi sin
dai primi giorni dell’occupazione italo-tedesca-bulgara; la guerra aveva
debilitato il popolo greco; inoltre, gli occupanti avevano sottoposto i
porti, fonte di pesca e commerci, a severi controlli; il turismo era sparito;
la Tracia non produceva più grano per la Grecia. Le requisizioni
degli occupanti si aggiunsero a tutto ciò; per far fronte ai propri
bisogni, le autorità italo-tedesche avevano rilevato tutti i giacimenti
minerari, gli impianti industriali, e i granai del paese. Il cibo diventò
presto una merce rara. Ma questo comportamento degli occupanti, in palese
contravvenzione con il diritto internazionale di guerra, che imponeva loro
di provvedere al vettovagliamento del paese sottoposto ad occupazione non
fu l’unica causa d’indigenza che ben presto afflisse la popolazione greca.
Altra causa determinante fu il blocco immediatamente posto dagli inglesi,
che impediva ogni passaggio verso i porti greci e in particolare verso
il Pireo, il più importante porto del paese. Il blocco aggravava
ogni giorno di più le condizioni dei greci, che cominciarono ad
appellarsi agli occupanti e, in un secondo momento, alla Santa Sede,
per un intervento risolutivo. Gli appelli d’aiuto dei greci, per la maggior
parte ortodossi, destarono grande meraviglia in Vaticano, aprendo anche
la strada alla speranza di un miglioramento dei futuri rapporti fra le
due Chiese. Roncalli, delegato pontificio ad Istanbul, ricevette per primo
le richieste d’aiuto dei greci. Ascoltati i numerosi appelli diretti al
Santo Padre, le sue prime riflessioni furono improntate allo spirito di
carità cristiana, al quale si uniformava tutto l’operato della Santa
Sede. Roncalli si mostrò, dunque, estremamente prodigo di buone
speranze e progetti concreti per i greci che gli si rivolgevano, anche
se non mancò in lui qualche diffidenza nei confronti di un’opinione
pubblica da sempre ostile alla Chiesa di Roma. Egli sottopose gli appelli
ed il suo progetto di aiuto alla Santa Sede. La sua proposta, che ricalcava
le richieste dei greci, prevedeva di attivare la diplomazia pontificia
presso Londra, al fine di ottenere la revoca del blocco. Quest’ultimo,
infatti, impediva a trecentociquantamila tonnellate di grano, già
pagato con enormi sacrifici dal governo greco, di giungere a destinazione.
Roncalli suggerì di intraprendere anche un’attività di assistenza
interna al paese, con organizzazioni pontificie che avrebbero sfruttato
le forze cattoliche disponibili. In proposito egli trovò la collaborazione
piena di Calavassy, esarca apostolico per i cattolici di rito bizantino
in Grecia, che organizzò le risorse disponibili al fine di predisporre
le istituzioni necessarie al vettovagliamento del paese.
La Santa Sede fece propria la proposta di Roncalli, sostenuta anche
dal Metropolita di Atene, Damaskinos, anche se la sua attuazione presentava
non poche difficoltà. Si decise di attivare immediatamente tutti
i canali necessari, affinché la situazione potesse trovare una soluzione
positiva. A questa decisione la Santa Sede era spinta dallo spirito di
carità, dall’opportunità che una simile iniziativa avrebbe
dato al miglioramento futuro dei rapporti con la Chiesa ortodossa greca
e dall’aumento di prestigio che avrebbe potuto derivare da un’iniziativa
presa in favore di quelli, come gli ortodossi greci, considerati i tradizionali
nemici del papato. L’aiuto ad un paese ortodosso, infatti, avrebbe anche
migliorato le relazioni fra la Santa Sede e tutti quei paesi non esclusivamente
cattolici, come l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Questi avevano un ruolo
chiave nella guerra, ma nutrivano forti dubbi sulla natura dell’attività
pontificia, compresa l’assistenza alle vittime di guerra. Il miglioramento
di questi rapporti avrebbe potuto produrre dei vantaggi anche in favore
dell’attività della Santa Sede verso tutte le popolazioni che subivano
la guerra, oltre che per i cattolici nei paesi anglosassoni.
La diplomazia pontificia si attivò presso il governo inglese
per la revoca del blocco nell’autunno 1941, ma, per tutto il mese di novembre,
l’Inghilterra continuò a negare il passaggio di navi attraverso
il Pireo. L’atteggiamento britannico era la logica conseguenza di una diffidenza
annosa nei confronti del Vaticano, che si riteneva legato agli interessi
italiani. Il governo britannico credeva che la Chiesa di Roma avesse ceduto
alle richieste di intercessione provenienti dagli italiani, più
che dai greci stessi. La Gran Bretagna, inoltre, invocando il diritto internazionale
di guerra, riteneva preciso dovere degli occupanti occuparsi della
fame dei greci, che, secondo gli inglesi, era il risultato di un’occupazione
depredatrice di tutte le risorse del paese. L’Inghilterra dunque era convinta
di agevolare le autorità di occupazione, permettendo al grano fermo
a Suez di giungere in Grecia. La battaglia diplomatica con Londra fu vinta
grazie all’appoggio determinante degli Stati Uniti. Nei primi giorni del
1942 giunse notizia della revoca del blocco. Ci volle del tempo per accertare
l’informazione, e quando essa lo fu, si seppe che si sarebbero fatte passare
solo ottomila tonnellate di grano. L’Inghilterra rimaneva, quindi, ancora
molto diffidente.
In questo clima di aperta ostilità non fu affatto facile organizzare
gli aiuti attraverso la Croce Rossa internazionale. Una commissione di
controllo internazionale fu nominata per superare le divergenze, e l’organizzazione
degli aiuti cominciò a funzionare alacremente nella primavera del
1942.
La Santa Sede tuttavia non si fermò all’attività diplomatica;
l’inverno tra il 1941 ed il 1942 fu uno dei più duri per la popolazione
greca: la mortalità crebbe, fino a raddoppiarsi, e i forni rimasero
vuoti per giorni. I preti e le suore cattolici insieme agli ortodossi greci
si impegnarono nelle diverse organizzazioni preposte dalla Santa Sede,
con l’aiuto di Roncalli e la preziosa collaborazione di Calavassy. Queste
istituzioni pontificie garantirono cibo, medicinali, vestiti, e tutto ciò
di cui la popolazione potesse avere bisogno, senza distinzione di razza
o religione. I rifornimenti che alimentavano queste organizzazioni e istituzioni,
fra cui le più imponenti furono i “Focolai della Divina Provvidenza”,
provenivano dalla Svizzera, dall’Ungheria, dalla Bulgaria e dalla Romania,
ed erano frutto di numerose azioni diplomatiche condotte dalla Santa Sede.
Il periodo tra la seconda metà del 1942 e la prima del 1943,
vide la Grecia in preda all’instabilità di governo e all’incapacità
degli occupanti di scegliere un Consiglio dei Ministri in grado di far
fronte non solo alle esigenze degli occupanti, ma anche ai bisogni del
paese. Una grave crisi finanziaria si aggiunse ai problemi politici, con
un’inflazione galoppante che rese i generi di prima necessità inaccessibili
a tutti. L’Italia, sollecitata dalla Santa Sede e dalla Croce Rossa, che
organizzavano i soccorsi per il paese, tentò di adottare una politica
fiscale più morbida nei confronti del governo greco, ma i tedeschi,
che non subivano le stesse influenze, decisero di non cedere, mantenendo
la politica fiscale di sempre.
La guerra cambiò il proprio andamento favorevole all’Asse alla
fine del 1942, quando la Santa Sede cominciò ad interessarsi sempre
di più ai problemi legati alle comunità israelitiche d’Europa.
Questo cambiamento ebbe delle conseguenze anche in Grecia, dove una forte
resistenza, ricalcando gli stereotipi comunisti, si manifestò, preoccupando
anche le autorità pontificie. I soccorsi della Croce Rossa continuarono
fino alla primavera del 1943, insieme ad un meno assiduo interesse della
Santa Sede al problema della fame.
Non abbiamo, quindi, molti elementi per definire la natura del contributo
pontificio alla fame nel paese in questo periodo, che va dalla metà
del 1943 alla fine della guerra. Roncalli fu lontano dalla Grecia dai primi
mesi del 1943; in seguito le notizie riguardanti la situazione greca pervennero
alla Santa Sede dall’uditore pontificio, Testa. Questi continuò
l’opera d’informazione e di collaborazione al soccorso delle vittime di
guerra nel paese. Il suo operato, però, si rivolse maggiormente
agli ebrei, perché cominciavano le deportazioni in massa degli israeliti
verso l’Europa nord-orientale. Il pericolo dell’avanzata comunista e soprattutto
la questione dell’olocausto distrassero la Santa Sede dal problema della
fame. Solo dopo la liberazione della Grecia, quando la fame ricominciò
a mietere vittime, il Vaticano decise di attivarsi nuovamente in favore
delle vittime greche; si trattava, però, dell’ultima iniziativa
in Grecia, di cui abbiamo notizia dalla documentazione esaminata.
La fine della guerra, la divisione dell’Europa in due grandi blocchi,
il pericolo comunista, le polemiche sul silenzio di Pio XII furono le grandi
questioni che interessarono lo stato pontificio nel dopoguerra. L’attività
caritatevole del Santo Padre ebbe numerosi riconoscimenti, ma altrettante
critiche negative. I rapporti con la Grecia non subirono immediate svolte
positive; gli stessi greci, quando si trovarono a parlare di ciò
che la fame aveva rappresentato per il paese durante l’occupazione, non
dettero alcun merito all’aiuto pontificio. Quest’aiuto è stato pure
quasi dimenticato dalla storiografia sulla Grecia durante la Seconda Guerra
Mondiale. E non se ne occupano nemmeno le opere italiane e straniere che
riguardano le vicende più strettamente militari. Anche nelle monografie,
che più specificatamente si occupano della politica vaticana di
quegli anni, la questione è solamente accennata. Solo Angelo Martini
e, in parte, Alberto Melloni si sono occupati significativamente del problema.
Mentre lo studio che affronta la questione in modo più completo
è quello di Owen Chadwick. Vista la scarsità della bibliografia
a nostra disposizione, la nostra ricerca non può fare calcoli precisi
su quanti benefici, in termini concreti, l’opera della Santa Sede portò
in Grecia. Fonti ufficiali, riportate nell’opera di Chadwick, hanno sottolineato
che i morti per fame nel paese durante l’inverno 1941-1942 furono centomila;
chissà quanti avrebbero potuto essere, se non ci fosse stato l’intervento
pontificio? A questa domanda non possiamo rispondere. Tuttavia, dalla nostra
ricerca, possiamo evincere che lo sforzo fatto dalla Santa Sede fu molto
grande e molto nobile, visto che operò in favore di un popolo ortodosso.
Nonostante le simpatie, non celate, del Vaticano nei confronti delle autorità
italiane, l’opera pontificia fu estremamente imparziale. Chadwick sostiene
che la politica di aiuti alla Grecia, messa in atto dal Vaticano, coincise
con gli interessi italiani nel paese; questo è senz’altro vero,
ma si trattò di una pura coincidenza. Mentre la Santa Sede non fu
influenzata dai bisogni degli occupanti italiani, questi ultimi lo furono
dall’operato stesso del Vaticano, che con le proprie raccomandazioni, le
sue promesse d’aiuto e l’attività diplomatica stimolarono gli italiani
a venire incontro alle necessità della popolazione greca. Al contrario,
non riuscì alla Santa Sede di avere una stessa influenza sui tedeschi
che, d’altra parte, si trovavano in condizioni politiche e militari ben
diverse, rispetto all’alleato. La Germania riteneva l’Italia maggiormente
responsabile del territorio greco, in quanto occupava le zone più
vaste ed aveva intrapreso l’iniziativa di attaccare il paese per prima.
Non fu facile operare in un clima di aspre controversie, come quello
determinatosi in Grecia durante la Seconda Guerra Mondiale. La Santa
Sede riuscì con successo nel suo intento che, nonostante le polemiche,
era semplicemente quello di sfamare migliaia di greci che vivevano nell’indigenza.
L’obbiettivo fu raggiunto, nonostante le difficoltà derivanti soprattutto
dalle diffidenze fra i diversi schieramenti. L’attività assistenziale
fu efficiente e molto trasparente, tanto da potersi confrontare anche con
le più pesanti accuse, che il governo inglese lanciò verso
l’organizzazione degli aiuti dopo la revoca del blocco. Queste accuse
non riuscirono ad intaccare ciò che la Santa Sede aveva e avrebbe
fatto per il paese.
Quanto alle relazioni tra la Chiesa di Roma e quella ortodossa, la
freddezza, se non ostilità esistente nei loro rapporti spiega il
perché dopo la liberazione del paese l’aiuto della Santa Sede, in
relazione al problema della fame, non venne mai menzionato. Dai documenti
della Santa Sede risulta che Damaskinos era il portavoce del “ novantacinque
per cento della popolazione” mentre si appellava alla carità del
Santo Padre ed esprimeva la propria gratitudine per l’interesse che il
Vaticano, ma tutto ciò non dette mai luogo a una pubblica manifestazione
di riconoscenza da parte della gerarchia della Chiesa ortodossa.
Nonostante il mancato riconoscimento dei meriti della Santa Sede, anche
da parte di chi fu protagonista di quella vicenda, crediamo che l’attività
dispiegata dal Vaticano in favore del popolo greco sia stata rilevante
anche per i rapporti tra la Chiesa ortodossa greca e la Chiesa cattolica.
In proposito è giusto ricordare l’avvicinamento tra le due Chiese
operato nel Concilio Vaticano II, non a caso diretto da Papa Giovanni XXIII.
L’apertura del Concilio a tutti i cristiani fu emblematica di quella politica
di carità, che tanta parte trovò nell’opera di Roncalli verso
i greci.
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