Università di Roma “La Sapienza”
Facoltà di Scienze politiche
 
 
Tesi di Laurea
 
La Santa Sede ed il problema della fame in
Grecia durante la Seconda Guerra Mondiale
 
 
 
Laureanda                                                    Relatore
    Silvia Giugno                                      Prof. Pietro Pastorelli
 
 
 
Anno Accademico 1999-2000
 
 
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Indice:
 

Introduzione
 

Cap.1  La Grecia occupata e il problema della fame.

1.1 Il problema della fame in Grecia durante i primi mesi dell’occupazione Nazi-fascista.
1.2 Gli appelli greci alla Santa Sede.
1.3 La Santa Sede risponde: la sua politica e gli occupanti.
1.4 Il braccio di ferro tra la Santa Sede e l’Inghilterra.
1.5 I primi soccorsi internazionali e delle organizzazioni pontificie.
 

Cap.2  Gli aiuti internazionali.

2.1 La revoca del blocco.
2.2 Gli accordi tra le autorità d’occupazione e la Croce Rossa.
2.3 I problemi finanziari greci.
2.4 Le dure polemiche tra Gran Bretagna e Santa Sede sugli aiuti alla Grecia.
2.5 La crisi politica in Grecia.
2.6 Le sgradite sorprese di Roncalli.
 

Cap.3  La fine dell’occupazione.

3.1 Una nuova crisi politica in Grecia.
3.2 La gestione degli aiuti in Grecia tra sospetti e rivalità.
3.3 Un primo parziale bilancio della Santa Sede sugli aiuti alla Grecia e l’intervento a favore degli ebrei greci.
3.4 Le valutazioni politiche di Testa sulla situazione generale della Grecia.
3.5 L’Italia lascia la Grecia.
3.6 La fine dell’occupazione tedesca.
 

Conclusioni
 

Bibliografia
 
 

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Introduzione.

Oggetto di questa ricerca è l’esame dell’operato della Santa Sede in favore delle vittime della fame in Grecia durante l’occupazione italo-tedesco-bulgara. Il problema della fame si manifestò quasi contemporaneamente all’inizio dell’occupazione con tutta la sua gravità, tanto  da risultare fra i temi che più occuparono la Santa Sede fra l’estate del 1941 e l’inverno del 1942. La soluzione di questo problema, d’altra parte, non comportò solo la messa in opera di meccanismi di approvvigionamento ed assistenza alla popolazione greca, poiché essa toccava altri temi estremamente delicati, quali quelli militari, strategici, politici e diplomatici della guerra.
L’attività della diplomazia italiana contro il flagello della fame in Grecia è documentata dalla raccolta  “Actes et documents du Saint Siege relatifs a la Second Guerre Mondiale”, curata da Pierre Blet, Robert A. Graham, Angelo Martini, Burkahart Schneider e pubblicata a Roma dalla Libreria Editrice Vaticana a partire dal 1969. La pubblicazione di questa raccolta di documenti, come è noto, è stata decisa dal Vaticano al fine di rendere noto l’operato della Santa Sede durante l’ultima guerra mondiale, con la speranza di poter dissipare le polemiche sorte sui “silenzi” e la condotta  di Pio XII negli anni più bui della storia del ventesimo secolo.
Per la nostra ricerca abbiamo utilizzato i documenti presenti nelle sezioni “La Santa Sede e la Seconda Guerra Mondiale” e “La Santa Sede e le vittime di guerra”. Della prima abbiamo consultato: il quinto volume riguardante il periodo tra il giugno 1941 e l’ottobre 1942, pubblicato nel 1969; il sesto volume concernente il periodo tra il dicembre 1942 e il dicembre1943, pubblicato nel 1973; l’undicesimo volume che riguarda il lasso di tempo tra il gennaio 1944 e il maggio 1945, pubblicato nel 1981. La serie sulle vittime della guerra è stata utilizzata più ampiamente; in particolare i volumi ottavo, riguardante documenti redatti tra il gennaio del 1941 e il dicembre 1942, pubblicato nel 1974; nono sul periodo che va dal gennaio al dicembre del 1943, pubblicato nel 1975; e decimo concernente gli atti datati fra il gennaio 1944 ed il giugno 1945, pubblicato nel 1980.
Accanto ai documenti della Santa Sede ci siamo giovati de “I Documenti Diplomatici Italiani”, pubblicati a cura della Commissione per il riordinamento e la pubblicazione dei Documenti Diplomatici italiani, dall’Istituto Poligrafico e Zecca di Stato; di questa raccolta abbiamo consultato i volumi della nona serie ed il primo volume della decima serie, che complessivamente coprono l’intero arco di tempo da noi trattato e che sono stati pubblicati tra il 1987 e il 1992. I documenti italiani sono indispensabili per seguire la politica di occupazione praticata dall’Italia, ma sono anche ricchi di informazioni sia sulla situazione greca, sia sull’attività della Santa Sede nei confronti del governo italiano e delle autorità di occupazione ad Atene.
Per quanto riguarda le fonti tedesche abbiamo fatto riferimento alla raccolta “Documents on German Foreign Policy”, pubblicata a Londra dall’Her Mejesty’s Stationery Office. Di questa raccolta abbiamo consultato i volumi XII e XIII della serie D, pubblicati rispettivamente nel 1962 e nel 1964.
 

 Cap. 1    La Grecia occupata e il problema della fame.

1.1 Il problema della fame in Grecia durante i primi mesi dell’occupazione nazi-fascista.

Il 27 aprile 1941 le truppe tedesche ed italiane entravano ad Atene ed innalzavano sull’Acropoli la bandiera con la croce uncinata, dando inizio ad una lunga e pesante occupazione militare, che si sarebbe conclusa tre anni e mezzo più tardi.
A seguito dell’occupazione, il territorio nazionale greco veniva smembrato, secondo le diverse esigenze dei vincitori. Le zone assegnate alla Bulgaria, che aveva contribuito alla vittoria dell’Asse, rivestivano un ruolo economico e strategico fondamentale per la regione. La Bulgaria, infatti, annetté parte della Tracia, considerata il granaio per eccellenza della Grecia, e la zona più centrale della Macedonia con lo sbocco sul mar Egeo; inoltre, riuscì a garantirsi un’influenza sul litorale con le isole di Thaso e Samotracia. Su questi territori, da parte bulgara fu imposta una durissima nazionalizzazione in tutti i campi della vita civile e politica, espellendo gran parte della popolazione greca.
La Germania occupò la zona ad ovest della Macedonia fino all’Olimpo, inclusa Salonicco con il suo golfo e la sua costa e la parte restante della Tracia fino alla Turchia con le isole limitrofe, Lemno, Lesbo, Chio, e Creta. L’organizzazione dell’occupazione tedesca dipendeva dall’Alto Comando Militare Tedesco in Europa sud-orientale, con sede a Belgrado. Per la Grecia erano stati creati tre diversi nuclei specifici di comando: il primo per il controllo della Grecia del nord, con sede a Salonicco; il secondo a sud, con sede ad Atene; il terzo a Creta. Inizialmente il Primo Alto Comandante fu il Maresciallo List, che fu sostituito in un secondo momento da Kunze. Le autorità tedesche avevano preposto diverse istituzioni con il compito di organizzare e dirigere l’occupazione. Queste istituzioni eseguivano gli ordini e le direttive di organi amministrativi, che risiedevano nel Reich, competenti a legiferare nei territori occupati. I tedeschi erano riusciti a creare una capillare ed efficiente organizzazione, fortemente centralizzata.
L’Italia non era stata in grado di sconfiggere la Grecia da sola e, suo malgrado, aveva dovuto ricorrere all’aiuto tedesco. Al momento della resa, la sua influenza militare e politica fu surclassata da quella tedesca, ma, quando si giunse a definire la spartizione dei territori occupati, fu l’Italia ad avere la meglio. Essa, infatti, annetté le Isole Ionie e occupò i territori lasciati liberi da Bulgaria e Germania, comprese tutte le isole del Mar Egeo ed una delle quattro province di Creta. Le forze armate italiane in Grecia dipendevano dal Comando del Generale Geloso, mentre l’amministrazione politica era affidata ad un incaricato per gli Affari Interni di Atene, che in un primo momento fu Fornari, sostituito poi da Venturini. L’organizzazione politica e militare dell’Italia fu meno efficiente e funzionale di quella tedesca. Quest’ultima, infatti, disponeva di un grande apparato organizzativo centrale, che,amministrando tutti i territori occupati, mirava a fare dell’occupazione un’arma da poter sfruttare a proprio vantaggio. Perciò, nonostante giuridicamente l’Italia avesse maggior influenza in Grecia, di fatto fu sempre l’autorità tedesca a prendere le decisioni più importanti. Inoltre, nonostante vi fosse una distribuzione dei poteri politici fra gli occupanti  italo-tedeschi, e che questo di fatto avvantaggiasse la Germania, gli oneri amministrativi ricadevano unicamente sull’Italia, che risultava l’occupante ufficiale.
La città di Atene fu sottoposta ad un’amministrazione a tre, italiana, tedesca e bulgara, che il plenipotenziario tedesco in Grecia Altenburg definì un “complicato condominio per le potenze dell’Asse”.
Nonostante l’occupazione militare dell’Asse, il governo greco e la sua vecchia macchina amministrativa rimanevano virtualmente al loro posto. In Grecia, al momento della sconfitta, Re Giorgio, il suo governo e alcuni membri dell’esercito erano fuggiti. Le autorità d’occupazione avevano contribuito a costituire un nuovo governo. Esse avevano scelto come primo ministro il Generale Tsolakoglu, uno dei firmatari dell’armistizio, ed influenzato la designazione degli altri membri del governo, in modo che questo risultasse totalmente favorevole all’Asse e agli ideali nazi-fascisti. La vita e le attività del governo dipendevano unicamente dalla volontà degli occupanti.
Il governo greco, appena insediato, si trovò ad affrontare molte difficoltà, prima fra tutte quella di dover far fronte alle ingenti spese dei lavori pubblici, per opere di vario genere e interesse,  che gli occupanti ritenevano indispensabili. Per riuscire a far fronte agli oneri fiscali e ai costi dei lavori pubblici imposti dagli occupanti, il governo greco era costretto ad emettere più dracme sul mercato, innescando un processo inflazionistico che portò il paese alla crisi finanziaria.
La crisi economica e finanziaria aggravava gli innumerevoli problemi della Grecia sotto l’occupazione. Le spese per le opere di ricostruzione delle strade, dei ponti, delle ferrovie e dei porti, considerate indispensabili dai tedeschi più che dagli italiani si aggiungevano alle altre costose pratiche, svolte dalle autorità di occupazione. Queste ultime procedettero, infatti, alla requisizione di tutte le materie prime, di solito attraverso l’acquisto a prezzi irrisori dei diversi giacimenti minerari del paese, ed a sottoporre al loro controllo tutte le attività industriali: ogni stabilimento era acquistato e sfruttato dagli occupanti, ed ogni prodotto inviato, per esigenze di guerra, in patria. In questa pratica di razionale sfruttamento delle risorse, i tedeschi superavano gli italiani, avendo maggiori risorse e godendo di un organizzazione più efficiente. Ciano, dopo meno di un mese di occupazione, scriveva all’ambasciatore a Berlino, Alfieri, lamentandosi dell’intraprendenza tedesca nell’accaparramento delle risorse minerarie ed industriali, che rischiava di danneggiare gli interessi italiani in Grecia.
I beni agricoli ed il bestiame, già scarsi a causa della guerra, che aveva allontanato i civili da tutte le normali attività, subivano il medesimo trattamento dei beni di produzione industriali, tanto che a pochi giorni dall’occupazione tutti i granai della Grecia erano stati svuotati, ed era impossibile trovare un orto con i propri frutti o una fattoria con il proprio bestiame.
La penuria di cibo, provocata dalla guerra e dalle requisizioni arbitrarie delle truppe italo-tedesche, era aggravata dal fatto che il mare non poteva più offrire le risorse che, fino al momento dell’occupazione, erano state vitali per il paese. L’articolo quattro dell’armistizio sanciva, infatti, che il traffico navale doveva essere sospeso, e, dunque, le attività commerciali, turistiche e della pesca erano impedite. Il paese, ancora poco industrializzato e con un’economia agraria arretrata, era privato di risorse essenziali per la sua sopravvivenza. I tedeschi e gli italiani, per motivi di sicurezza, non facevano passare alcuna nave o carico, che non fosse appartenuto a loro.  Qualora, però, avessero voluto aprire il passaggio al porto del Pireo, non avrebbero potuto, perché questo era stato chiuso fin dai primi giorni di aprile dagli inglesi, durante la loro ritirata. La chiusura del porto rendeva la situazione ancora più grave per i greci, privati della loro risorsa di comunicazione più grande. Naturalmente anche la pesca, attività assai produttiva per il paese, era impedita dal blocco. L’azione inglese costituiva, dunque, un'altra causa di penuria alimentare ed economica per il popolo greco. Secondo gli occupanti, anzi, il blocco era il principale responsabile dei problemi del paese. Quanto ai greci, essi non credevano che revocando il blocco la questione della fame si sarebbe risolta totalmente, ma ritenevano che una revoca avrebbe potuto risollevare in parte la situazione.
Le privazioni descritte, sommate una ad una, complicavano lo stato d’indigenza in cui versò il paese durante l’occupazione. La Grecia non poteva sostentarsi autonomamente senza le risorse del mare, il grano della Tracia, le poche industrie e i piccoli giacimenti minerari. Durante l’occupazione il paese soffrì la fame, come non era mai accaduto.
Nel periodo del conflitto, gli inglesi avevano assicurato ai greci gli approvvigionamenti necessari, ma, una volta che essi furono sconfitti, non giunse loro alcun aiuto anglosassone. L’Inghilterra, infatti, riteneva che fosse dovere degli occupanti preoccuparsi dell’approvvigionamento alimentare delle popolazioni assoggettate. Il problema della fame apparve subito con estrema forza, ma, fin dai primi giorni dell’occupazione, si comprese la difficoltà di una sua soluzione, perché esso era il risultato di una serie di fattori, come l’occupazione stessa e il blocco britannico. La Santa Sede, dunque, avrebbe dovuto affrontare un problema molto spinoso dal punto di vista politico.
Già a partire dal primo mese dell’occupazione, il plenipotenziario italiano in Grecia, Ghigi, e quello tedesco, Altenburg, testimoniarono ai loro governi la difficile situazione alimentare del paese. Nei primi giorni di maggio, l’ambasciatore Altenburg scriveva al ministro degli esteri tedesco, comunicandogli i propri timori riguardo il pericolo costituito dalla carenza di cibo nelle zone occupate dagli italiani. Questa penuria di viveri poteva creare problemi di sicurezza, vista la debolezza delle truppe italiane. Altenburg  chiese una soluzione della questione. Il 16 maggio Ghigi scriveva a Ciano di aver discusso con Altenburg e List delle difficoltà alimentari del paese, soprattutto della città di Atene, alle quali la Germania stava facendo fronte grazie alla requisizione dei viveri inglesi. Una settimana più tardi il plenipotenziario  italiano manifestava di nuovo la sua preoccupazione per una situazione tale da far temere una crisi imminente, chiedendo ancora che venisse presa una decisione e trovata una soluzione al problema.
I plenipotenziari dell’Asse si rendevano conto della gravità del problema sia sotto l’aspetto politico sia sotto quello giuridico. Le autorità d’occupazione, infatti, avevano dei doveri sanciti dal diritto internazionale di guerra, fra i quali provvedere alle necessità primarie dei popoli sottoposti ad occupazione. La Convenzione dell’Aja del 1907, firmata anche da Italia e Germania, aveva stabilito i diritti e i doveri degli occupanti e di coloro i quali subivano l’occupazione. L’affermazione di tali regole era scaturita dalla necessità di rendere più umana la condotta della guerra, e di affermare la valenza dei diritti umani, anche durante i conflitti più duri. Fra i doveri degli occupanti, ai quali si contrapponevano sempre i diritti degli occupati, c’era quello di garantire il diritto alla vita delle persone. Questo diritto comportava il dovere di occuparsi delle necessità primarie di coloro i quali erano sottoposti ad occupazione, affinché non venisse messa in pericolo la loro vita; a questo proposito erano stati vietati il saccheggio, le espropriazioni indebite e l’imposizione arbitraria di tasse e tributi. Le autorità tedesche ed italiane avrebbero dovuto rispettare queste norme, ma spesso, per soddisfare le necessità che la guerra imponeva loro, infransero le regole imposte dalla Convenzione dell’Aja. Essi ricorrevano sia al saccheggio, col fine di reperire cibo e materie utili per la patria e le truppe d’occupazione, sia all’introduzione misure fiscali estremamente gravose per le possibilità del governo greco. Le suddette iniziative erano attuate anche per portare a termine tutte le opere, che avrebbero garantito loro maggiore sicurezza e agevolazioni. Quest’atteggiamento, apertamente contrario al diritto internazionale di guerra, era testimoniato sovente da alcuni rappresentanti delle autorità italo-tedesche. Dopo soli venti giorni di occupazione giungevano notizie sulle requisizioni italiane di viveri e provviste provenienti dalla Germania, destinate alla Grecia. A questi atti arbitrari seguirono le denunce dei greci ad Altenburg. Nello stesso periodo il capo del governo collaborazionista, Tsolakoglu, presentò una nota sul cattivo comportamento delle truppe italiane nel paese, nota che poi sarà ritirata dallo stesso primo ministro, dietro le sollecitazioni di Ghigi. Le denunce di comportamenti iniqui in territorio greco non riguardavano solo gli italiani, ma anche i tedeschi. Lo stesso ambasciatore italiano a Berlino descrisse a Ciano la povertà greca, dovuta alle continue rappresaglie tedesche, che avevano tolto al paese ogni sua ricchezza.
Le risorse prodotte in Grecia, inoltre, non erano sottoposte solo ad uno sfruttamento sistematico, ma anche ad una distribuzione razionalizzata, che rientrava nella logica dei controlli sulla produzione. Le distribuzioni, definite dagli occupanti, avrebbero dovuto far fronte sia alle esigenze alimentari del paese, sia ai doveri stabiliti nella convenzione dell’Aja. Questa politica alimentare, però, non avrebbe dovuto ripercuotersi negativamente sui carichi di materie requisite, che partivano per la Germania. In Grecia la razionalizzazione interessò prima le città, perché esse  avevano maggiori problemi di rifornimento, mentre le aree rurali erano autosufficienti nella distribuzione del cibo. Gli occupanti introdussero delle quote di derrate da produrre e da consegnare, regolarono le semine, fissarono i prezzi e i sussidi. Gli adulti avevano una razione giornaliera garantita di base, mentre priorità era data ai lavoratori manuali, alle infermiere, alle gestanti e ai ricoverati negli ospedali, cui spettava una razione supplementare. Per le categorie suddette il latte doveva avere il 2,5% di grassi, mentre agli altri consumatori era accessibile solo il latte in polvere. Questi provvedimenti non ebbero degli effetti positivi, poiché le razioni di cibo giornaliere restavano molto ridotte, ed i prezzi di tutti i generi alimentari salivano costantemente.
Per i greci divenne pressoché impossibile reperire il cibo al di fuori delle quote stabilite, ma queste erano insufficienti. I canali commerciali illegali, attraverso i quali chi possedeva ancora qualcosa da scambiare poteva acquistare beni divenuti rarissimi, si sostituirono a quelli tradizionali. Il fenomeno del mercato nero divenne una nuova piaga sociale, poiché arricchiva solo pochi eletti, spesso legati alle stesse autorità italo-tedesche, ed acuiva le privazioni di coloro ai quali non era rimasto nulla.  La situazione precipitava ogni giorno di più e si era solo a pochi mesi di occupazione. Nel luglio del 1941 Altenburg riferiva al Dipartimento di Politica Economica di Berlino la “drammatica situazione alimentare”, comunicando le richieste di assistenza del governo greco alla Germania. Egli si riferì soprattutto alle città di Salonicco ed Atene, costatando l’impossibilità di poter dare del pane alla popolazione, e indicando la necessità di dieci o quindicimila tonnellate di grano per il mese di settembre. I civili greci intanto si erano ribellati a questa situazione, creando dei piccoli focolai di protesta ad Argo. Da ciò che riferì Altenburg emersero le difficoltà degli occupanti nel reperire il cibo; il blocco navale rendeva i rifornimenti più complicati di quanto già lo fossero a causa della guerra. Le preoccupazioni crescevano in vista dell’inverno. Anche il delegato pontificio in Turchia, Roncalli, che in quel periodo si trovava in visita in Grecia, esprimeva i propri timori per la popolazione greca, descrivendo l’indigenza in cui era costretta a vivere, perché ogni cosa veniva requisita e spedita in Germania. La testimonianza del delegato apostolico rendeva nota anche alla Santa Sede la questione della fame in Grecia, facendone un problema non più solo interno alle potenze d’occupazione, ma allargandolo a sfere d’interessi ben lontani dalla guerra. Le autorità governative greche continuavano a rivolgersi agli occupanti, sperando in una risoluzione, ma gli intellettuali, i professionisti e i politici esclusi dal governo videro  nell’interesse di Roncalli una reale possibilità di salvezza.
 

1.2 Gli appelli greci alla Santa Sede.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’opera della Santa Sede fu tutta tesa a stabilire ed intrattenere rapporti con le diplomazie dei paesi coinvolti nel conflitto e neutrali, perché il fine ultimo della sua attività era contribuire alla causa della pace. L’attività diplomatica non era legata unicamente a problemi politico-militari, ma soprattutto a questioni umanitarie. Il Vaticano si proponeva di alleviare le sofferenze dei popoli oppressi dalla guerra. L’attività assistenziale non poteva dispiegarsi, se non con l’ausilio dei canali diplomatici, sui quali la Santa Sede investì gran parte dei propri sforzi e delle iniziative più importanti.
Fu Pio XII il promotore di questa politica, il papa che fece “la guerra alla guerra”, come lui stesso disse, grazie alla convinzione che “…la Chiesa rinnegherebbe se stessa cessando di essere Madre…”, una Maternità che era carità senza limiti, “carità fino in fondo” , fino a dare la vita. Negli occhi dei milioni di sofferenti, che subivano giorno dopo giorno la guerra, la Santa Sede si confondeva in questo messaggio di carità cristiana. Il Papa diveniva una presenza reale, portatore sia di aiuti morali, del conforto e della preghiera, sia di aiuti concreti, del pane, del latte, dei medicinali, dei vestiti, dei posti letto e del denaro. Tutte le vittime di guerra ricevettero uguale trattamento dalla Santa Sede, la cui opera assistenziale si dimostrò imparziale nei confronti di tutti i sofferenti. Pio XII non rinunciava a chiedere un continuo intervento in favore delle vittime della guerra, e, proprio per questo, intratteneva rapporti con gli opposti schieramenti: “…perché la stella della pace, la stella di Betlemme spunti di nuovo su tutta l’umanità…(per la sorte di)… centinaia di migliaia di persone, le quali senza alcuna colpa, talora solo per ragioni di nazionalità o di stirpe sono destinate alla morte o a un progressivo deperimento…”.
Il concetto di Chiesa-Madre, di Carità Cristiana e Misericordia, su cui si basava tutta la politica della Santa Sede, soprattutto durante la guerra, era condiviso da tutti gli uomini che lavoravano a stretto contatto con il Papa. L’azione del Santo Padre fu sostenuta da personaggi chiave nella storia del Vaticano durante la guerra. Domenico Tardini, a quel tempo Segretario per gli Affari Straordinari della Segreteria di Stato, fu uno di questi personaggi. Egli contribuì, con il proprio pensiero, a delineare il ruolo della Chiesa durante gli anni del totalitarismo in Europa: “ La Santa Sede deve fare di tutto per non confondersi con i prepotenti. E ciò perché così vuole la giustizia, perché così vuole il bene delle anime…, perché così impone una ragionata previsione per l’avvenire. Ormai i piccoli oppressi sono troppi. Sommiamo Polacchi, Norvegesi, Danesi, Belgi, Olandesi, Albanesi, Greci, Austriaci, Cecoslovacchi, Romeni… ed avremo una cifra imponente. Non è possibile che questa enorme massa sia perennemente tenuta schiava. Lo è attualmente perché Germania e  Italia sono organizzate da una ferrea dittatura: ma ciò non può durare a lungo. La Chiesa sa prevedere e provvedere…”.
Il ruolo del delegato apostolico Roncalli fu altrettanto vitale ed importante per tale politica. Egli, infatti, era esecutore di una missione diplomatica all’estero, tutta tesa a trasmettere la parola della pace e della carità per i sofferenti. Sin dall’inizio del proprio mandato, Roncalli si dimostrò degno di perseguire questa missione. Egli fu delegato apostolico ad Istanbul fra il 1935 e il 1944, portando la parola e la volontà di Pio XII nei luoghi dove operò, con solerzia e con passione. Roncalli riuscì ad alleviare le sofferenze dei greci e dei turchi, in numerosissime occasioni, organizzò la vita delle comunità cattoliche in Turchia ed in Grecia, si adoperò per salvare molte vite con le proprie forze e con l’aiuto della Santa Sede, fornendo assistenza materiale e spirituale. Nel corso della guerra italo-greca si era prodigato per alleviare gli stenti dei militari ellenici; nonostante questi sforzi, tuttavia, il governo greco si era mostrato sempre piuttosto freddo verso l’opera caritatevole della Santa Sede. Questo atteggiamento ostile, però, era destinato a cambiare con il peggioramento delle condizioni di vita dei greci sotto l’occupazione.
Come ricordavo, Roncalli, giunto in Grecia nell’estate del 1941, aveva subito notato gli innumerevoli problemi che rendevano la vita dei greci estremamente penosa sotto l’occupazione nazi-fascista; descrisse le privazioni che affliggevano i cittadini, e, suo malgrado, previde un peggioramento della situazione, paventando il pericolo della fame, della carestia e delle epidemie. Il delegato dovette accettare la proposta di Ghigi di comperare due razioni alimentari giornaliere per uso personale; queste ultime corrispondevano ad un certo quantitativo di cibo predisposto da Roma per i soldati presenti in Grecia. Il fatto di dover privare due soldati di una razione quotidiana e di dover pagare personalmente per reperire cibo, ci fa comprendere la gravità della situazione. In questa ed in altre occasioni, infatti, Roncalli si  rese conto ogni giorno di più della durezza dell’occupazione e ne comunicò le conseguenze al Segretario di Stato Maglione.
L’esperienza di Roncalli in Grecia era destinata ad arricchirsi. Durante la propria permanenza nel paese cominciò a ricevere le visite di numerose personalità del luogo: intellettuali, medici, politici, nonché uomini di chiesa, i quali si rivolgevano a lui chiedendo un intervento del pontefice per alleviare le sofferenze dei greci. Il ruolo del delegato sarebbe stato, nei progetti dei suoi visitatori, quello dell’intermediario tra i bisogni urgenti del popolo greco, e la carità della Chiesa di Roma. Indotto dalle condizioni in cui versava il paese, che egli stesso aveva potuto costatare di persona, e dagli appelli degli stessi greci, che avevano finalmente mutato il loro atteggiamento di diffidenza verso il Vaticano,  Roncalli maturò l’idea che l’unico a poter alleviare le sofferenze del popolo greco fosse il Papa. Il Santo Padre, con la sua intercessione, avrebbe potuto sbloccare la situazione di chiusura del Pireo, conseguenza prima dell’indigenza greca. Il 6 agosto 1941, egli mandava una lettera al Card. Maglione, nella quale esprimeva quest’idea, mettendo in luce come alcuni personaggi greci più o meno illustri, appartenenti a diverse categorie e schieramenti, fossero forti sostenitori di essa: “Sin dai primi giorni il dott. Lorando, uno dei medici più distinti di Atene e mia conoscenza, mi venne a dar conto delle nascoste sofferenze specialmente dei poveri e che presto diventeranno generali, e a dirmi, lui ortodosso, che nessuno poteva salvare la Grecia fuori di un intervento diretto della Santa Sede. Lo pregai di farmi un progetto ben preciso circa la natura ed i contorni di questo intervento, e gli proponevo, non potendo il Santo Padre provvedere a tutto, di fissarmi le linee di un’opera di assistenza e di aiuto che si sarebbe potuta organizzare a vantaggio di una classe speciale di bisognosi, per es. i bambini. Mi promise di lavorare in questo senso associandosi ad altre persone, ma non si fece più vedere”.
Anche Mons. Calavassy, esarca apostolico per i cattolici di rito bizantino in Grecia, “sempre attivo e dinamico” gli parlò della necessità di suscitare un’iniziativa in nome del Santo Padre nel senso sopra indicato. Egli dichiarò al nunzio di poter disporre di tutto il necessario per l’opera di assistenza.
Roncalli riferiva che l’idea di un aiuto del Papa si faceva ogni giorno più convincente e diffusa presso i pochi diplomatici rimasti ad Atene: “e (la conversazione) vi torna con la conclusione che non resta che il Papa indicato e capace di toccare il cuore delle grandi potenze belligeranti a favore delle nazioni vinte e messe fuori combattimento”.  Queste opinioni facevano da sfondo ai progetti concreti, già delineati dagli uomini politici greci, la cui richiesta d’aiuto doveva colpire molto il Vaticano. Alcuni personaggi come Antonio Negroponte, uomo politico cattolico, Sayas, avvocato, ex deputato di Patrasso, e il prof. Luvaris, deputato di Tinos, ministro dell’Istruzione e  dei culti, benché rappresentanti di diverse idee politiche, vennero in visita da Roncalli, al fine di poter sensibilizzare il Santo Padre sulla situazione presente in Grecia. Tale delegazione chiese udienza con la speranza che il Vaticano potesse intercedere presso le potenze belligeranti, che impedivano il vettovagliamento della Grecia attraverso il porto del Pireo. Il blocco inglese, infatti, impediva a qualsiasi nave di accedere al porto, costringendo il governo greco a rinunciare a trecentocinquantamila tonnellate di grano, acquistate con sacrificio dall’Australia e ferme a Suez, nell’impossibilità di giungere in Grecia. Il blocco stava causando la morte per fame di migliaia di greci, uomini, donne, anziani e bambini, senza che nessuno potesse fare qualcosa. La soluzione di tutti i problemi, paradossalmente, rischiava di marcire nel mare. Gli uomini politici greci, le autorità d’occupazione e i rappresentanti del Governo, non avevano alcuna speranza di poter toccare la coscienza degli inglesi, e, dunque, di far sì che il grano già acquistato giungesse a destinazione.
Il Governo britannico riteneva che la responsabilità della penuria di cibo fosse da imputarsi alle autorità di occupazione ed alle loro rappresaglie. Lo scioglimento del blocco, quindi, a suo giudizio, non solo non avrebbe potuto risolvere il problema, ma lo avrebbe aggravato, concedendo ai tedeschi e agli italiani un’ altra fonte di arricchimento. La Santa Sede, mediante la sua diplomazia, rappresentava per tutti l’unica autorità che poteva far vedere agli inglesi le cose sotto una luce diversa. Essa sola poteva dimostrare a Londra che gli aiuti umanitari sarebbero stati destinati ai sofferenti, ai civili e non alle autorità occupanti.
Roncalli conosceva la difficile situazione del paese e le stesse autorità di occupazione italiane lo avevano informato dell’insufficienza degli sforzi italiani e della necessità di un intervento presso gli altri belligeranti per sbloccare la situazione. La questione di un intervento del pontefice era complicata a causa dell’inimicizia secolare che aveva separato, fino ad allora, la Grecia ortodossa dal Vaticano. Un aiuto pontificio correva il rischio di essere interpretato come un’indebita interferenza dai più duri ortodossi, sia uomini politici che prelati, e avrebbe potuto risolversi in un inasprimento dei rapporti, già così precari. In proposito è lo stesso Roncalli a dire a Calavassy: “ Ho creduto di dovergli rispondere che bisognava far onore alla carità del Santo Padre e mettere in valore la Santa Sede: ma guardarsi subito dal mettere in vista etichette ed elementi che avrebbero suscitato, per quanto degnissimi, diffidenza ed antipatia nello spirito greco, perverso fin che si vuole su questo punto, ma che bisogna prendere tal quale è”.
I fattori che ostacolavano la realizzazione di questo ambizioso progetto erano molti, ma il delegato pontificio non rinunciò a chiedere un intervento del Santo Padre e a prodigarsi affinché la Grecia avesse almeno ciò che aveva già pagato. Per tutto il mese di agosto del 1941, egli continuò a ricevere le lettere contenenti gli appelli, le richieste d’aiuto, i piani e i ringraziamenti, per la carità del Santo Padre. I greci e lo stesso Roncalli mostravano di avere fiducia in Pio XII e nella sua azione sempre generosa: “Ma essi si mostrano così profondamente compresi della bontà assoluta di questo gesto da rivolgersi, loro Greci ortodossi e dopo tutto quello che è accaduto, al Capo di tutta la Cristianità, che io li assicurai di trasmettere tutto il loro pensiero al Santo Padre, come mi affretto a fare con questo rapporto”. Con il passare dei giorni aumentavano i nomi di coloro i quali, spinti dalla disperazione, si rivolgevano a Roncalli, per chiedere l’ultimo aiuto possibile: G. Calafandris, appartenente allo schieramento progressista ed ex Presidente del Consiglio dei Ministri; L. Maximos, ex Vicepresidente del Consiglio dei Ministri e Ministro degli Esteri, Governatore della Banca Nazionale di  Grecia e rappresentante del partito popolare conservatore;Y. Teotoki, anch’egli ex Vicepremier e Ministro degli Esteri; H. Eulambios, professore, Presidente della Camera di Commercio, redattore di un memoriale sulla situazione economica greca. Tutte queste persone erano state messe da parte con il regime di Metaxas, ma ora ritornavano ad interessarsi attivamente alla situazione del loro paese. Accanto a questi appelli ci fu anche quello di T. Sophoulis, il più vecchio e alto rappresentante del partito di Venizelos, Presidente della Camera dei deputati ed ex Primo Ministro. Le lettere dei suddetti personaggi giunsero al Santo Padre, insieme ad un memorandum del prof. H. Eulambios sulla situazione alimentare e sanitaria greca. Roncallì spedì anche una la copia della risposta del Reich alla richiesta del Metropolita di Atene, Damaskinos, che i tedeschi lasciassero libero il passaggio ai vascelli inglesi, recanti il grano per i civili. Il delegato apostolico inviò, inoltre, alcune informazioni riguardanti l’atteggiamento favorevole delle autorità d’occupazione tedesche e italiane verso l’iniziativa, a cui si aggiungeva la piena adesione di Damaskinos, mentre estraneo al progetto era l’attuale governo del paese.
Il Metropolita di Atene, massimo rappresentante della Chiesa ortodossa in Grecia, fu un altro personaggio chiave in questa situazione. Egli, infatti, riuscì a rivolgersi al Santo Padre, superando ogni diffidenza,  nonostante la sua condizione di capo dell’ortodossia nel paese, rendendo possibile un intervento del Vaticano nella questione. Damaskinos aveva già dimostrato il proprio favore di fronte agli appelli ed ai progetti di Roncalli e dei più illustri personaggi greci. In questo atteggiamento di apertura verso la Chiesa di Roma il legato pontificio aveva percepito la possibilità di poter riallacciare i rapporti con tutto il mondo ortodosso greco. Roncalli si  rendeva conto dell’importanza che quell’intervento poteva avere sull’azione della Santa Sede in quel frangente. In un incontro, il 9 settembre 1941, Damaskinos raccontò al delegato apostolico di aver contattato inutilmente entrambe le autorità di occupazione, facendo loro la richiesta di far passare il carico con le provviste alimentari. Era stato lo stesso governo greco a pregarlo di interessarsi alla risoluzione del problema, lui, che godeva ancora di qualche libertà in più e che aveva i titoli giusti per poterlo fare, in quanto pastore della volontà di Dio. Egli, quindi, si era recato dai tedeschi e dagli italiani, ritenendo con ciò di adempiere alla promessa di interessarsi alla misera sorte dei suoi figlioli, fatta al momento della sua intronizzazione. Agli occupanti aveva chiesto l’incolumità per quei vascelli che avrebbero potuto recare il grano già acquistato, ma tedeschi e italiani gli avevano risposto che l’unico a poter trascendere le contese belliche e a far sì che la situazione rientrasse nell’ambito delle manifestazioni umanitarie era il Santo Padre. Damaskinos affermò di essersi reso conto dell’inevitabilità e della necessità di una richiesta d’aiuto al Vaticano, tanto più che nel frattempo molti altri avevano avuto quest’intuizione, e l’avevano preceduto. Roncalli rimase colpito dalle parole del capo della Chiesa ortodossa e in merito all’incontro scriverà: “Damaskinos mi mostrò vera passione” .
Tutte le richieste di aiuto e collaborazione giungevano, attraverso il delegato apostolico, al Card. Maglione, e successivamente arrivavano sul tavolo di Pio XII. Che fare? Era opportuno intervenire in una situazione così complessa? Il Santo Padre sarebbe riuscito a muovere a compassione il cuore degli inglesi? Durante la guerra la Santa Sede si era già trovata in situazioni simili, in cui si era rivelata tutta l’abilità diplomatica dei legati pontifici e del Papa. Il Vaticano si era sempre dimostrato prodigo di benevolenza anche nei confronti dei cristiani non cattolici, senza discriminazioni di sorta. Di fronte alle richieste greche tuttavia Roncalli ebbe qualche titubanza. Egli si interrogò sulle reali intenzioni dei vecchi politici greci: “Sovente fui molestato dalla tentazione di giudizio temerario circa le intenzioni vere e profonde determinanti queste mosse. Vero amore dei fratelli minacciati di morir di fame?; oppure mani tese innanzi per riprendere, ciascuno per conto personale, o del proprio partito, nel dopo guerra che dovrà pur venire, l’intrigo politico che ha sempre avvelenato l’atmosfera di questo paese?”. I dubbi erano legittimi, ma non c’era tempo per riflettere, bisognava agire, perché l’inverno era alle porte e la fame diveniva già una piaga che cominciava a fare le sue vittime. Conforme allo spirito caritatevole del pensiero di Pio XII, che superava anche le più dure controversie, il delegato pontificio risolse le sue perplessità, argomentando: “Lasciando andare le intenzioni, a nessuno sfugge peraltro il fatto che in un gesto di indiscussa bellezza spirituale, come il rivolgersi al capo della cristianità in un’ora così tragica, tutti abbiano voluto trovarsi d’accordo e tutti aver parte, come a farsene un merito domani innanzi ai loro partigiani”.
 Il Vaticano analizzò, attraverso la riflessione di Mons. Tardini, la questione, dando la risposta, ancora mancante, agli appelli ricevuti. Egli rifletté sulla guerra e sulle requisizioni degli occupanti, cause prime del malessere in Grecia, e pensò che l’unico possibile rimedio a ciò fosse rappresentato dalla possibilità di far affluire una quantità indefinita di generi alimentari in Grecia. Il paese aveva acquistato i viveri di cui necessitava, con grande sforzo economico, versando somme di denaro all’Australia e alla Turchia e trasportando l’oro greco in America, come ulteriore credito. Alle normali difficoltà, che poteva presentare il vettovagliamento di un intero popolo, si era aggiunto l’ostacolo maggiore: il blocco inglese. Gli inglesi avevano un atteggiamento molto duro nei confronti della situazione, perché ritenevano preciso dovere delle forze di occupazione nutrire le popolazioni dei territori occupati. Tardini si chiese cosa poteva fare la Santa Sede in quella situazione. L’unica risposta che seppe darsi fu quella che occuparsi di un problema simile era già cosa ottima, perché si trattava di “un’opera caritatevole”, ancor di più verso la Grecia eterna nemica del papato. Egli esaminò tre possibili azioni fondamentali, attraverso le quali l’opera della Santa Sede poteva prendere corpo:
“a) mandare del denaro. E’ cosa poco utile perché, costatando molto le cose, anche con molto denaro si compra poco e, quindi, poco si aiutano i bisognosi;
b) inviare generi che non vengono dal mare e, quindi, non sono soggetti al blocco inglese. Si possono prendere in considerazione, per esempio, i seguenti paesi: la Svizzera, la Turchia, la Bulgaria, l’Ungheria. E non è difficile fare dei passi presso questi paesi: difficile è riuscire. La stessa Svizzera, che , se non altro, poteva dare del latte condensato per i bambini (e che cosa più simpatica per la Santa Sede che venire in aiuto ai bambini?), ha concluso un recente accordo commerciale con la Germania, in forza del quale gli stessi svizzeri sentiranno la fame: tanta è la roba che dovrà partire per la Germania! Ad ogni modo si potrebbe tentare di acquistare del latte condensato (e altre cose per i bambini) in Svizzera e mandare in Grecia come offerta della carità pontificia;
c) interessare l’Inghilterra per un’attenuazione del blocco nei riguardi della Grecia e allo scopo determinato di far giungere viveri e medicine, specialmente per i bambini. …”.
 L’ultimo punto era quello più difficile da realizzare. Gli inglesi avevano la preoccupazione che gli aiuti umanitari finissero nelle mani degli italiani e dei tedeschi. E vi era il rischio che essi considerassero il Vaticano complice degli italiani. La Santa Sede doveva far superare questi timori, facendosi garante essa stessa delle truppe d’occupazione e del loro comportamento, per dimostrare agli inglesi l’assoluta imparzialità dell’operazione, diretta unicamente ad alleviare le sofferenze dei civili. La diplomazia pontifica avrebbe agito allora in una duplice direzione: da una parte verso il riottoso governo inglese, persuadendolo della gravità ed urgenza della questione della fame in Grecia, e garantendo un regolare svolgimento delle operazioni umanitarie, dall’altra verso le autorità occupanti, facendosi promettere aperta collaborazione e non interferenza nelle operazioni umanitarie.
Il compito era arduo, ma sia Roncalli, che conosceva da vicino la situazione, sia Tardini, che la analizzò con scrupolosa attenzione, giunsero alla conclusione che fosse dovere della Chiesa di Roma agire in modo da aiutare la Grecia. Il contributo benefico del Vaticano avrebbe rappresentato un bene per il mondo cattolico e per la figura di Pio XII di fronte all’opinione pubblica mondiale cattolica e non, soprattutto in vista dei rapporti con gli inglesi e gli americani: “L’intervento caritatevole e sollecito della Santa Sede -scrisse Tardini- fatto con documenti che domani dovranno essere pubblici, anche se votato ad insuccesso o a scarsi risultati, gioverebbe sempre a mettere in buona vista la persona e l’opera del Papa. Con grande vantaggio della religione”; mentre Roncalli aggiunse: “Parmi superfluo aggiungere considerazioni sull’immensa portata benefica sullo spirito di questi orientali che un intervento del Santo Padre in loro favore potrebbe avere”, sottolineando un altro fattore determinante, cioè la possibilità che un intervento del genere potesse generare una futura apertura nei rapporti tra le due Chiese. Quest’idea comunque era poco condivisa da Tardini: “Quali vantaggi- annotò- trarrebbe la Santa Sede da questo interessamento. Oltre a compiere un tradizionale e nobile dovere, la Santa Sede ritrarrebbe, come s’è detto enormi vantaggi di ordine morale. Non metto tra questi la conversione degli scismatici greci e, forse, neppure un’attenuazione dell’ostilità di questi verso la Santa Sede”. Lo spirito della politica di carità e misericordia verso tutti coloro che soffrivano, cristiani, protestanti, cattolici, ortodossi, liberi e prigionieri, vincitori e vinti, doveva infine prevalere su ogni considerazione di tipo politico e religioso della Santa Sede.
 

1.3  La Santa Sede risponde: la sua politica e gli occupanti.

Quando le richieste d’aiuto greche giunsero in Vaticano, la Santa Sede rimase estremamente colpita, sia dalle descrizioni di Roncalli, che davano un’idea piuttosto chiara della difficile situazione in cui versava il paese, sia dagli appelli accorati dei greci ortodossi e cattolici. Il Card. Maglione rispose a Roncalli di aver ricevuto il suo rapporto e di essere rimasto profondamente commosso, come il Santo Padre, dal “quadro pietoso descritto dall’E.V.”. Egli aggiunse che il Papa aveva dato immediatamente l’ordine di cercare a tutti i costi i mezzi per poter soddisfare le richieste e mandare gli aiuti necessari. L’atteggiamento favorevole, nei confronti della Grecia, portò il Vaticano ad intraprendere quattro iniziative diverse: la prima fu di attivarsi con la diplomazia inglese per ottenere la revoca del blocco; la seconda di agire nei confronti di altri paesi, che potevano mandare rifornimenti via terra; la terza di influire sulle autorità d’occupazione in Grecia, per tentare di avere maggiore collaborazione nell’approvvigionamento del paese; infine, la quarta di prodigarsi, con l’ausilio delle proprie Commissioni, per costruire tutte le istituzioni caritatevoli possibili all’interno del territorio greco, col fine di poter sconfiggere il flagello della fame. Le quattro azioni furono intraprese contemporaneamente, come lo stesso Mons. Tardini aveva prospettato, ma solo la seconda e la quarta diedero risultati immediati.
I tentativi di sensibilizzare le autorità di occupazione italiane erano iniziati nell’estate del ’41, durante la visita di Roncalli in Grecia. Egli incontrò Ghigi nei primi giorni di agosto, e rimase estremamente colpito dalla sua disponibilità e preoccupazione nei confronti della sorte del popolo greco. Il plenipotenziario italiano disse al delegato apostolico che ogni sforzo italiano era teso a risollevare la Grecia dalla grave situazione d’indigenza, ma ricondusse le enormi difficoltà a cui quest’operazione andava incontro, alla “voracità” delle armate tedesche. Ghigi concluse l’incontro con Roncalli con la speranza in un intervento del Vaticano nella questione. La speranza del diplomatico italiano faceva presagire le difficoltà insormontabili dell’Italia nel far fronte al problema del vettovagliamento greco. Da parte loro le autorità tedesche ritenevano di non poter fare nulla per la Grecia. Due memorandum, uno redatto dal Direttore del dipartimento di Politica Economica tedesco e l’altro dal Ministro Eisenlohr, giungevano a questa conclusione dopo aver riportato le pessime condizioni di vita della popolazione greca, i calcoli riguardanti i carichi di grano previsti per l’autunno, i contributi alimentari della Bulgaria e i problemi dell’approvvigionamento. In novembre, la Santa Sede si attivò, attraverso il nunzio Orsenigo, anche a Berlino, per sollecitare gli aiuti alla popolazione greca,  ma le fu risposto che la Germania si stava già prodigando molto per i territori ellenici.  Da due settimane mandava il proprio contingente di viveri per scopi umanitari. I tedeschi dissero di essersi attivati anche presso la Bulgaria, ed espressero benevolenza nei confronti dell’iniziativa pontificia presso la Gran Bretagna. Le autorità germaniche, tuttavia, non erano disposte a fare di più, perché ritenevano l’Italia maggiormente responsabile. Gli alleati italiani, infatti, avevano occupato la maggior parte della Grecia, e formalmente avevano maggiori doveri. Poiché al livello territoriale l’Italia era più potente, i tedeschi la ritenevano in dovere di contribuire di più all’approvvigionamento alimentare. La risposta tedesca non fu troppo confortante per la Santa Sede. Essa ribadiva chiaramente ciò che i tedeschi avevano già più volte detto, cioè che la Grecia apparteneva ad una zona d’interessi inferiore, rispetto ad altri territori occupati in Europa, e, dunque, per essa non erano disposti a sacrificare le loro necessità primarie di guerra.
Le previsioni ed i calcoli compiuti dai tedeschi rivelavano una situazione alimentare catastrofica per l’autunno in Grecia. Anche gli italiani cominciavano fortemente a preoccuparsi: Ghigi, infatti, scrisse del pericolo che la situazione in Grecia potesse precipitare, causando enormi problemi di ordine pubblico. Egli riferì anche delle richieste di grano fatte al Generale Geloso, che tuttavia aveva dichiarato di poter rifornire la zona Atene-Pireo solo per quattro giorni e con il grano destinato alle truppe.
 In questa drammatica situazione, i rapporti tra le due autorità d’occupazione cominciavano ad incrinarsi, in quanto gli italiani chiedevano aiuto ai tedeschi, ma questi ritenevano prioritarie le esigenze di paesi come il Belgio, la Norvegia, l’Olanda, e che il vettovagliamento greco spettasse all’Italia, avendo questa maggiori interessi nel Mediterraneo. Ciano ricordò nel suo diario “ una nota (tedesca) verbale piuttosto forte per segnalare che in Grecia il popolo è alla fame e che noi abbiamo la responsabilità di quanto colà possa avvenire. Il meno che posso dire è che si tratta di un documento alquanto originale”; e Mussolini riguardo alla nota disse: “I tedeschi dopo aver portato via ai greci anche i lacci delle scarpe adesso pretendono di accollare a noi la responsabilità della situazione economica. Possiamo anche prendercela ma a condizione che tolgano del tutto i piedi da Atene e da tutto il paese”. Nei primi giorni di ottobre Ghigi scriveva a Ciano che la razione giornaliera di pane diminuiva sempre di più ed era arrivata a novanta grammi. La soluzione della questione non appariva chiara, ma da parte italiana si manifestava il convincimento che se il condominio italo-tedesco avesse cessato di esistere e gli italiani sarebbero rimasti soli nel paese, i consumi avrebbero potuto ridursi, e l’approvvigionamento alimentare avrebbe potuto essere più facile. D’altra parte la questione della fame in Grecia investiva anche preoccupazioni di pubblica sicurezza, in quanto si temevano le conseguenze della fame: “epidemie, rivolte feroci di coloro che sanno di non aver più nulla da perdere”. Proprio per scongiurare queste conseguenze Mussolini dispose di far partire settantacinque tonnellate di grano per la Grecia, seppur cosciente che erano un “magro fabbisogno per il mese di novembre. Ma non si può fare di più. Anche gli italiani stanno tirando la cinghia”.
Le autorità di occupazione insomma non riuscivano o non volevano fare molto per la Grecia. L’unica soluzione al problema della fame restava l’eliminazione del blocco posto dalla Gran Bretagna. E’ verso questo paese che si diressero contemporaneamente gli sforzi diplomatici della Santa Sede.
 

1.4   Il braccio di ferro tra la Santa Sede e l’Inghilterra.

Il Segretario di Stato inviò una prima missiva al ministro inglese in Vaticano, Osborne, il 20 settembre 1941, per richiamare l’attenzione del governo britannico sulla difficile situazione presente in Grecia. Il Card. Maglione rilevò come il Santo Padre fosse disposto a fare tutto ciò che era possibile per alleviare le sofferenze greche, viste le numerose richieste d’aiuto provenienti da politici e religiosi del paese. A Londra veniva richiesto di facilitare gli approvvigionamenti dei greci, sia attraverso il mare, sia attraverso la terra ferma, e prima di tutto di lasciar passare le trecento cinquanta mila tonnellate di grano australiano. Maglione, inoltre, scrisse di aver fatto dei passi presso le autorità di occupazione, affinché garantissero l’immunità del vettovagliamento. Il  Segretario di Stato concludeva ponendo in rilievo la nobiltà del popolo greco e il legame tradizionale fra l’Inghilterra e la Grecia, che rendeva doveroso l’intervento inglese nella questione della terribile fame che stava investendo il paese. Questo era il primo passo della Santa Sede verso l’Inghilterra. La risposta di Osborne si fece attendere; essa giungeva al Card. Maglione dieci giorni dopo la prima lettera, ed esprimeva l’ottimismo del Ministro inglese riguardo l’iniziativa del Santo Padre. Egli dichiarò che in quest’iniziativa emergeva la totale imparzialità pontificia nell’occuparsi “di un paese non cattolico e non amico dell’Asse”. Osborne chiese ulteriori assicurazioni dalle autorità d’occupazione, attraverso l’intermediazione della Santa Sede, poiché doveva essere garantita l’assoluta incolumità delle navi, che  avrebbero trasportato le vettovaglie.  Il Segretario di Stato si occupò immediatamente di avere queste assicurazioni sia dalla Germania, sia dall’Italia. Alla metà del mese di ottobre erano state ottenute le dovute garanzie dai tedeschi, mentre Roncalli stava per contattare l’ambasciatore italiano. Le procedure furono tanto veloci che il giorno dopo il Card. Maglione inviò la propria risposta ad Osborne: “mi reco premura di portare a Sua conoscenza che il Plenipotenziario della Germania ad Atene, sig. Altenburg, con lettera del 26 agosto u. s. diretta al Metropolita di Atene e da lui stesso trasmessa in copia al Delegato Apostolico in Grecia, S. E. Mons. Roncalli, comunicava di essere autorizzato dal suo governo a dichiarare: 1) che per la questione del vettovagliamento della popolazione civile greca con grano australiano il Governo del Reich dà l’assicurazione che detto grano sarà esclusivamente destinato alla popolazione civile; 2) che tutte le necessarie facilitazioni saranno accordate alle navi trasporto all’andata e al ritorno”. Le assicurazioni tedesche sembravano eloquenti e complete; esse furono subito seguite da quelle italiane: le autorità italiane confermavano che gli aiuti sarebbero stati destinati unicamente alla popolazione civile, garantivano l’immunità alle navi e si impegnavano ad occuparsi di questi aiuti, sia nel viaggio di andata, che al ritorno.
La Santa Sede si era mossa in fretta, perché la fame in Grecia si estendeva a ritmo elevato, mietendo ogni giorno nuove vittime, mentre l’inverno era alle porte, e si prospettava il collasso del paese. Nonostante l’iniziale ottimismo di Osborne, la risposta inglese non fu affatto positiva; essa ribadì l’inviolabilità del blocco e spiegò le ragioni di questa rigida presa di posizione: le potenze occupanti avevano il dovere e la responsabilità di occuparsi dell’approvvigionamento del paese, ma la Germania aveva costretto la Grecia a subire il suo costante saccheggio, tanto da aggravare la situazione di penuria generale del paese. L’Inghilterra era cosciente del fatto che, una volta giunto l’inverno, la questione sarebbe divenuta ancora più precaria. Il governo di Sua Maestà voleva evitare la catastrofe facendo giungere alcune risorse alimentari dalla Turchia, visto che la Grecia poteva comunicare con questa via terra, senza dover trovare l’ostacolo del blocco.
Londra propose alla Santa Sede di invitare le autorità italiane a far fronte ai loro doveri di occupanti, e, dunque, di provvedere all’approvvigionamento della Grecia; se ci fosse stato un miglioramento il governo di Sua Maestà si sarebbe impegnato a migliorare il trattamento dei civili italiani in Africa orientale. La reazione pontificia a questa risposta fu molto dura. La Santa Sede sapeva che la proposta inglese non aveva valore, in quanto l’Italia non poteva sfamare il paese neanche dietro condizione. Malgrado il duro trattamento tedesco verso le popolazioni dei territori occupati, l’Italia non poteva indurre gli alleati a fornire i viveri necessari, dunque, anche se gli occupanti avevano contribuito alla depauperamento del paese, ora non potevano rimediare. Vista la risposta inglese il Card. Maglione pensò: “a tanta povera gente che soffre la fame e che la decisione del Governo inglese espone alla più orribile sorte”, ed invitò ancora gli inglesi a ricordare che la Grecia era una loro antica alleata.
Il Vaticano non si dette per vinto e attraverso Osborne continuò ad appellarsi al Governo inglese. Inoltre venne intrapresa un’iniziativa  diplomatica presso gli Stati Uniti. Mons. Tittmann, incaricato d’affari statunitense presso la Corte pontificia presso l’ambasciata statunitense, aveva portato un appunto a Mr. Taylor, ambasciatore americano presso la Santa Sede, nel quale si affrontava la questione degli aiuti da portare alla Grecia. Mons. Tittman, inoltre, dopo la risposta inglese, si riprometteva di fare ulteriori tentativi a Washington, per sensibilizzare anche gli Stati Uniti alla questione greca. Il piano era di indurre anche gli americani ad intervenire in favore dei rifornimenti e in favore dell’eliminazione del blocco.
L’impegno diplomatico della Santa Sede fu costante per tutto l’autunno e l’inverno dell’anno 1941-1942, ma il Governo di Sua Maestà non accennò a ripensamenti riguardo la sua decisione di non revocare il blocco. Il Vaticano non comprendeva la diffidenza degli Inglesi nei confronti della propria iniziativa umanitaria, che riteneva essere ancora più imparziale e neutrale delle altre, visto che si riferiva ad un paese non cattolico, proprio come l’Inghilterra. Il Governo britannico, però, sospettava che dietro alle pressioni pontificie ci fossero le autorità fasciste italiane, pronte a cogliere l’opportunità di svincolarsi dagli obblighi generati dall’occupazione e godere degli aiuti umanitari. Vi era anche il rischio, secondo gli inglesi, che quest’iniziativa celasse una manovra dello spionaggio italiano. Le assicurazioni che il Vaticano si era preoccupato di raccogliere non bastavano a tranquillizzare gli inglesi e a convincerli della totale imparzialità dell’iniziativa. Osborne manifestò apertamente i suoi sospetti alla Santa Sede, che si difese. Il Card. Maglione, infatti, rispose che le illazioni inglesi non avevano alcun fondamento, in quanto non poteva esserci alcun collegamento tra l’iniziativa caritatevole verso i greci e le necessità delle autorità italiane. In quel momento storico la situazione greca era di una gravità estrema, dunque la Santa Sede riteneva doveroso concentrarsi sui problemi del paese. Il motivo di tanta premura derivava unicamente dalle gravi condizioni dei greci, senza avere altre implicazioni. Per l’ennesima volta la Santa Sede aveva dovuto difendersi e rispondere alle accuse inglesi.
Le autorità italo-tedesche garantivano l’immunità dei viveri, delle navi che li avrebbero trasportati e di chi li avrebbe organizzati, ma il governo inglese continuava a diffidare di chi aveva sempre trovato il modo per sfruttare a suo vantaggio qualsiasi risorsa. Lo sfruttamento indiscriminato di cui era capace l’occupazione nazi-fascista era un ulteriore motivo, per cui l’Inghilterra si rifiutava di revocare il blocco. I britannici, infatti, ritenevano che non fosse stato proprio il blocco inglese a ridurre la Grecia alla fame, ma le requisizioni delle truppe italo-tedesche, e, dunque, a maggior ragione, erano gli occupanti a dover far fronte alle loro responsabilità. In questo modo il Governo britannico accusava gli occupanti di essere gli unici responsabili della situazione, condannandoli e denunciandoli per i crimini di guerra più efferati, ivi compresa la morte per fame  e stenti di migliaia di persone. Alla base di queste accuse stavano le norme del diritto internazionale di guerra, la cui violazione da parte dei nazi-fascisti era stata più volte testimoniata. L’occupazione italo-tedesca non solo era stata incapace di far fronte ai propri doveri, ma li aveva disattesi totalmente, depredando tutto ciò che poteva offrire il paese. Il governo inglese non era disposto perciò a sottovalutare la cosa, e ad agevolare chi si era macchiato di tali crimini. La legge non imponeva nulla all’Inghilterra nei confronti della Grecia, mentre imponeva obblighi e doveri precisi agli occupanti.
Ma la Santa Sede non voleva che il governo inglese ragionasse in termini di diritto, ma alle disgrazie che subivano i greci. Il Papa propose di fare un appello in questo senso a re Giorgio II, chiedendo ad Eden, capo del Foreign Office, di volerrendersene latore. L’opinione pubblica inglese doveva sapere che  molte persone soffrivano a causa dell’irremovibilità del Governo britannico. Gli inglesi dovevano comprendere la gravità del loro atteggiamento che rappresentava una delle preoccupazioni maggiori del Santo Padre, il quale cercava di aiutare anche le popolazioni non cattoliche amiche della Gran Bretagna. Tardini continuò a sollecitare Osborne di fare pressioni sul segretario del Foreign Office e di nuovo sul suo Governo, ma la situazione era immutabile. Il governo britannico mandò altre comunicazioni recanti l’ennesimo rifiuto alla sospensione del blocco, ma il Vaticano non continuò ad insistere. La difficoltà maggiore per la Santa Sede era rappresentata dalla consapevolezza che la diffidenza inglese rischiava di provocare una catastrofe irreparabile, a causa di sospetti infondati. Per l’ennesima volta la Segreteria di Stato stilò un documento destinato alla legazione inglese, nel quale si spiegava nuovamente l’intento che l’aiuto pontificio perseguiva. Il fine ultimo dell’attività di assistenza in Grecia rientrava unicamente negli interessi della carità cristiana. Quest’ultima si riferiva sia “a fratelli cattolici, che non cattolici”, a maggior ragione se in una situazione di penuria di cibo disperata. La Santa Sede informò che il proprio intervento, fin dal primo momento, non era stato solo mirato all’eliminazione del  blocco, ma che essa si era mobilitata anche presso altri governi come la Svizzera e l’Ungheria, al fine di reperire cibo e materie necessarie alla popolazione greca. Essa si riferì all’appello di Damaskinos al Santo Padre, riguardante anch’esso una richiesta di intervento presso l’Inghilterra. Il Metropolita di Atene aveva detto di rivolgersi alla Chiesa di Roma in nome del novantacinque per cento dei greci e ciò dimostrava il consenso e la legittimità sul quale si basavano le richieste pontificie. Lo stesso Tardini aggiunse una nota al suddetto documento, nella quale sottolineava il fatto che fossero i greci per primi a chiedere l’aiuto inglese. Le necessità della Grecia erano l’unico motivo valido che spingeva la popolazione ellenica a fare tali richieste. La Santa Sede si muoveva su queste stesse orme, chiedendo un aiuto per i greci, senza riferimento alcuno all’Italia. Il Segretario per gli Affari Straordinari, inoltre, dichiarò di non gradire l’atteggiamento del capo del Foreign Office, Eden, nei confronti dell’attività pontificia. L’atteggiamento poco cordiale non si addiceva ad un’attività di carità totale, come quella della diplomazia vaticana. Le accuse stavano generando un inasprimento dei rapporti, mentre l’Inghilterra non accennava a mutare i propri intendimenti.
L’urgenza di una soluzione si faceva impellente, considerate le condizioni in cui versava la Grecia. La fine dell’anno si avvicinava, tuttavia l’Inghilterra non sembrava avere intenzione di mutare i suoi piani. La Santa Sede stava facendo di tutto per aiutare la Grecia con i propri mezzi, con l’invio di cibo e medicinali, ma era cosciente che ciò non bastava. Il Segretario di Stato decise allora di attivarsi nuovamente presso gli Stati Uniti, che tanta influenza avevano sulla Gran Bretagna. L’America rappresentava l’ultima risorsa utile, sia nei confronti degli inglesi, che per poter raccogliere altri viveri e generi di prima necessità. Quell’ultimo scorcio dell’anno, però, recava con sé le convinzioni e le diffidenze inglesi, che andavano oltre ogni comprensione e solidarietà.
 

1.5   I primi soccorsi internazionali e delle organizzazioni   pontificie.

Parallelamente all’attività diplomatica svolta presso la Gran Bretagna e le autorità occupanti, la diplomazia pontificia si attivò anche presso quei paesi che potevano garantire dei rifornimenti per la Grecia via terra. Fra questi paesi c’erano la Svizzera, la Bulgaria e l’Ungheria. La prima diede subito il suo assenso, affinché, per mezzo della Commissione mista di soccorso di Ginevra, si potessero ottenere alcune quantità di cereali, di latte condensato o in polvere e di medicinali. Gli approvvigionamenti sarebbero stati consegnati a Roncalli, attraverso il sig. Brunet della Croce Rossa Internazionale ad Atene.
La Bulgaria invece non rispose positivamente al Santo Padre, affermando di avere già fornito del grano alla Grecia, per mezzo delle autorità di occupazione, e di doversi occupare anche della sussistenza dei greci in Tracia.
Intanto da parte greca, per bocca di Tsolakoglu  si esprimeva grande riconoscenza, per l’operato di Roncalli e del Papa, nella cui azione il governo greco confidava molto. Tsolakoglu e Roncalli discussero anche dei futuri sviluppi del rapporto tra Santa Sede e Chiesa ortodossa greca, concordando che nulla di ciò che sarebbe accaduto era certo, se non il fatto che l’opinione pubblica greca si sarebbe ricreduta di fronte alla carità pontificia.
Nell’ottobre 1941 Roncalli fu sostituito nella sua opera di delegato e rappresentante da Testa, in veste di uditore pontificio. Egli, però, proseguì nella sua opera di assistenza, soprattutto durante l’autunno e l’inverno di quell’anno, che furono particolarmente duri per la popolazione. Nel mese di novembre tornò ad Atene per organizzare e coadiuvare le opere assistenziali della Santa Sede, attivate con l’aiuto dei prelati cattolici greci. Egli sostenne tutte le iniziative pontificie e, in alcuni casi, ne fu promotore; a lui erano affidati sia il denaro inviato dal Papa, per il vettovagliamento e le opere assistenziali, che i generi provenienti da altri paesi tramite la Croce Rossa.
Roncalli fu senz’altro uno dei protagonisti positivi principali, nella storia di quel terribile inverno, ma egli riuscì nel suo intento grazie all’operato della Santa Sede, dei suoi collaboratori e delle strutture, che questi ultimi con enormi sforzi riuscirono a garantire. In questo modo  furono istituiti numerosi e utili servizi a vantaggio dei civili. Uno dei primi fu l’Ufficio Informazioni di Atene, a cui nel 1942 giunsero quarantamila lettere. Quest’istituto fu organizzato in tutta l’Europa, con l’intento di dare una risposta a tutte le richieste di familiari che non avevano più notizie dei loro congiunti. In Grecia l’ufficio svolse le normali attività di ricerca e informazione, collaborando con il governo, la pubblica amministrazione e le autorità di occupazione. Il successo di quest’organizzazione era testimoniato dal cospicuo numero di richieste che ricevette.
Roncalli collaborò con un padre cappuccino, P. R. Liebel, per l’organizzazione del “Monte dell’abbondanza”, un istituto che vendeva diversi generi alimentari a prezzi equi e, nei casi più gravi, provvedeva affinché le vettovaglie fossero distribuite gratuitamente. Quest’istituto permetteva a tutti i bisognosi di poter avere ciò di cui avessero più bisogno, senza dover ricorrere al mercato nero, che era divenuto una piaga sociale, in cui le merci erano vendute a prezzi proibitivi. Il “Monte dell’abbondanza”, dunque, fu un istituto fondamentale nella lotta alla fame in Grecia.
Le tessere alimentari non permettevano di sfamarsi; inoltre l’organizzazione degli approvvigionamenti messa a punto dalle autorità di occupazione era estremamente precaria e risentiva dei continui accaparramenti che avvenivano nel paese. La Santa Sede cercò di provvedere a queste lacune con numerosi servizi dedicati al problema alimentare. Mons. Calavassy riuscì a dirigere “L’opera dei focolai della Divina Provvidenza”, che organizzava cucine economiche in tutta la Grecia. Quest’istituto raggiungeva la povera gente di ogni origine e religione ovunque, fornendo pasti caldi. I sacerdoti e le suore di rito greco non si tiravano indietro, collaborando alacremente a queste attività. Iniziative speciali erano istituite all’interno dei “Focolai”, in favore dei bambini. Nel 1942 fra Atene e Salonicco c’erano sedici “Focolai”, che si mantenevano grazie ai finanziamenti della Santa Sede e agli aiuti che essa era riuscita a garantire dalla Svizzera, dall’Ungheria, e ovunque si potesse sollecitare un po’ di generosità. I “Focolai”, queste mense ambulanti sparse in tutto il paese, garantivano una scodella di minestra a chi aveva più bisogno; attraverso la concreta carità molte persone conoscevano il Papa per la prima volta. Alcune pietanze, fra quelle cucinate nelle cucine dei Focolai, divennero popolari, come i famosi “maccheroni del Papa”.
L’opera di assistenza alimentare era affiancata ad altre attività, come l’assistenza sanitaria. I medicinali, infatti, erano divenuti introvabili come il cibo, ma l’assenza di questo aveva provocato l’insorgere di numerose malattie, alle quali era difficilissimo far fronte. La Santa Sede si prodigò affinché un cospicuo quantitativo di farmaci giungesse dal Principato di Monaco al più presto. In particolar modo i medicinali più ricercati furono quelli per l’infanzia.
Il Santo Padre ed i suoi collaboratori si preoccuparono anche di non trascurare il campo dell’assistenza morale e spirituale. Questa doveva riferirsi a tutti e soprattutto ai detenuti nei campi di lavoro o nelle carceri, molti dei quali appartenenti a minoranze etniche, come gli armeni, ed ai ricoverati negli ospedali. Tra questi ultimi erano presenti numerosissimi soldati inglesi, che in Grecia vivevano come prigionieri. Ad Atene l’animatrice di tante attività fu suor Elena Capart, che attivò una ricerca nelle carceri e nei campi di concentramento, ispezionandoli e rendendo noti i risultati di tale lavoro a Mons. Calavassy. In seguito a questa ricerca fu fondata “L’opera di conforto ai detenuti”, un centro che dipendeva dai “Focolai”, la cui azione si mostrò subito efficace: trentaquattro tonnellate di viveri furono distribuiti nei campi di concentramento e tre tonnellate alle prigioni, unitamente a indumenti di lana, calze, calzature, sapone, medicinali, libri e molte altre cose. Le suddette distribuzioni furono effettuate personalmente da Mons. Calavassy e da suor Elena, i soli autorizzati. In questo modo l’opera assistenziale assunse continuità attraverso l’istituzione pontificia, dalla quale si dipanavano le più diverse attività e un complesso eterogeneo di servizi vitali.
Nonostante le molte iniziative in favore dei più deboli intraprese dalla Santa Sede e grazie alle quali furono risparmiate molte sofferenze, l’inverno fra il 1941 e il 1942, tuttavia, fu estremamente penoso per tutti i greci. Le condizioni della popolazione rimanevano stazionarie, senza subire rilevanti miglioramenti. Ancora una volta era Roncalli a descrivere le condizioni del paese e della gente: “La situazione è divenuta e diviene sempre più grave. Preghiamo il Signore e fate pregare i ragazzi perché ci vengano risparmiati gli orrori della guerra, come quello che soffrono oggi in Grecia. La guerra è brutta, brutta come la peste, ma la fame, sapete, è pur qualcosa di orribile a dirsi e a sopportarsi… . Insieme con Mons. Testa ho organizzato parecchie opere di assistenza. Il Santo Padre mi ha mandato mezzo milione di lire per cominciare. Ma ci vorrebbe il dono dei miracoli”.
I Focolai e le altre organizzazioni avevano cominciato ad essere pienamente operative da un mese circa, ma la situazione non era migliorata, nonostante gli sforzi di tutti. Alla fine di ottobre il Card. Maglione scrisse a Sophoulis che la Santa Sede stava facendo anche l’impossibile per far passare il cibo necessario in Grecia. Gli sforzi in questo senso erano molteplici, tuttavia non erano ancora sufficienti per le esigenze della Grecia.
Roncalli sperava in un miracolo riferendosi alla possibilità che gli inglesi revocassero il blocco, permettendo l’affluenza dei generi necessari al paese. Ma questa era una possibilità molto remota dato che in quel momento le trattative con Londra erano ad un punto morto.  Le sole attività di assistenza non riuscivano a mantenere l’intero paese e gli aiuti sollecitati all’estero non erano sufficienti. La guerra era gravosa per tutti, così alcuni paesi come la Bulgaria si trovavano nella condizione di dover respingere gli appelli del Papa. Il Vaticano mandò del denaro, che venne sapientemente amministrato dai collaboratori pontifici, tuttavia non c’era molto da comprare. Le merci dovevano giungere da altri paesi via terra, ma la guerra non permetteva viaggi molto veloci, sebbene tutti i carichi fossero trasportati sulle navi della Croce Rossa Internazionale. Nonostante gli evidenti ostacoli, le autorità di occupazione si affidavano quasi totalmente all’operato del Santo Padre, così come i politici, gli intellettuali e la gente comune in Grecia.
Gli occupanti erano estremamente preoccupati, soprattutto perché nelle loro zone si stavano verificando alcuni disordini, tali da mettere in pericolo le truppe e la loro amministrazione. La ribellione si era collegata direttamente al problema della fame, che l’Italia sperava si sarebbe risolto grazie all’intervento della Santa Sede, come Ghigi riferì a Roncalli.  Le stesse autorità italiane tenevano in alto conto il parere del Vaticano, nei confronti del loro operato, tanto che , fin dai primi contatti con la Santa Sede, esse si mostrarono estremamente solerti nei confronti dei greci e delle loro condizioni di vita. Roncalli stesso sembrò subito convinto che gli italiani si prodigavano quanto potevano per la sorte della popolazione greca, mentre considerava i tedeschi, con i quali era molto più difficile comunicare, gli unici affamatori della Grecia .
Durante l’autunno di quell’anno, le condizioni della guerra resero sempre più difficili i già esigui contributi italiani e tedeschi, così, se da una parte gli aiuti pontifici si facevano sempre più organizzati ed efficienti, quelli degli occupanti divennero quasi inesistenti. I tedeschi avevano già delineato le loro priorità e quantificato gli aiuti oltre ai quali non potevano andare per l’autunno; gli italiani avevano mandato qualcosa nel mese di novembre, sperando di poter arginare le rivolte. Ma ciò non era sufficiente e il 5 novembre Ghigi riferiva a Ciano della necessità di misure di controllo e repressione eccezionali. Mussolini in quel momento dispensava solo “buone parole: forse non poteva di più” alla proposta del ministro italiano ad Atene sull’eventualità di risolvere il problema greco eliminando la convivenza con i tedeschi nel paese. Le previsioni su quanto sarebbe successo, se la questione non fosse stata risolta in tempo, erano le più fosche: “il paese non è ancora alla fame ma ci sarà tra breve. Le sommosse avranno luogo quando i bambini saranno sopraffatti dall’inedia”.
A fine novembre Ciano, incontratosi con Ribbentrop e Goering per parlare delle più diverse questioni della guerra, affrontò anche il problema della fame in Grecia. Mentre Ribbentrop “non ne sapeva un gran che e non mostrava un interesse attento”, il Goering fu chiaro nel dichiarare l’impotenza della Germania di fronte alla questione, perché la guerra si faceva ogni giorno più dura e per i vettovagliamenti ai territori occupati c’erano delle priorità da seguire: “ E’ chiaro che se l’umanità è condannata a morire di fame, gli ultimi a morire saranno i nostri due popoli”.
L’Italia era molto più vicina al Vaticano rispetto alla Germania. Essa confidava nell’intervento pontificio, che avrebbe risolto non solo un problema greco, ma l’avrebbe sollevata da un onere troppo gravoso. La Germania invece aveva avuto contatti con il Vaticano solo attraverso le autorità d’occupazione tedesche che avevano incontrato Roncalli, ma l’influenza del nunzio era stata scarsa. L’intervento pontificio avrebbe agevolato anche la Germania, ma questa non era disposta a piegarsi o a sacrificare il suo tempo per una questione che riteneva secondaria. La Grecia apparteneva ad una sfera d’interessi minori rispetto ad altri paesi. L’Italia mostrò una solerzia ed un interesse maggiori, avendo maggiore necessità d’aiuto, forse perché sapeva di poter sensibilizzare ancor di più la Santa Sede verso il problema o per i suoi stessi rapporti con essa. La situazione, tuttavia, sembrava non trovare un punto di svolta e quel Natale fu il più terribile che la storia greca ricorda. Nell’omelia di Natale al Pireo Roncalli chiese ai turchi di fare una colletta per i bambini greci, perché le sole forze pontificie non erano sufficienti. Il 1941 si concluse con un gran numero di morti per fame sepolti nelle fosse comuni, che molto spesso si erano trovati per le strade a mendicare un po’ di cibo. In pochi mesi di occupazione la Grecia  era stata ridotta alla fame, tanto che lo scorbuto divenne una malattia frequentissima, nel paese dell’olio d’oliva. Non rimaneva più neanche la dignità, perché ci si vendeva per una razione supplementare e  per lo stesso motivo  spesso non si dichiarava neanche la morte di un parente. La speranza di poter risolvere la situazione era sempre più lontana.
 

Cap. 2 Gli aiuti internazionali.

2.1  La revoca del blocco.

La situazione si sbloccò inaspettatamente alla metà di gennaio 1942, quando il legato pontificio ad Atene si trovò ad ascoltare una comunicazione di Radio Londra che dava la notizia della sospensione del blocco. Roncalli notò subito che l’annuncio non aveva fatto alcun riferimento all’attività svolta dalla Santa Sede, e mandò immediatamente un telegramma al Card. Maglione, perché accertasse la veridicità del comunicato. Per più di dieci giorni non si ebbero conferme o smentite della notizia. Intanto le autorità di occupazione continuavano ad ignorare il fatto, mentre la Grecia precipitava sempre più nel baratro della fame; alla fine di gennaio Mussolini aveva ordinato che alcuni quintali di generi alimentari diversi salpassero per il paese. All’inedia, che attanagliava la vita della popolazione greca, si era aggiunta una forte ostilità nei confronti delle autorità di occupazione. Come abbiamo detto, gli italiani erano notevolmente preoccupati per ciò che avrebbe potuto comportare questa situazione; essi, infatti, erano coscienti della debolezza delle proprie truppe di occupazione e del fatto che la resistenza greca avrebbe potuto sottrarre alla guerra forze indispensabili su altri fronti. Il 28 gennaio, finalmente,  la notizia di Radio Londra fu confermata. Il delegato apostolico a Londra, Godfrey, infatti, era stato interpellato da Maglione per avere ulteriori informazioni su quanto aveva udito Roncalli. Godfrey riferì che il Governo inglese aveva revocato il blocco per lasciare libero il passaggio di ottomila tonnellate di grano verso la Grecia, che dovevano essere trasportate dalle navi della Croce Rossa internazionale. Il Governo britannico, però, ribadiva la fermezza dei suoi propositi riguardo i principi del diritto internazionale di guerra,  sottolineando ancora i doveri degli occupanti. Il Governo inglese si lamentava del fatto che i tedeschi non avessero dato alcuna garanzia per le merci destinate allo sbarco, ammettendo comunque che, anche se l’avessero fatto, non sarebbero stati creduti.
Il telegramma di Godfrey non dispensava molte note positive, nonostante la Santa Sede avesse a lungo operato per la sospensione del blocco: il governo inglese intendeva ribadire l’immutabilità della sua posizione nei confronti degli occupanti, nonostante la decisione di revocare il blocco. La diffidenza britannica avrebbe comportato la necessità di un’ulteriore attenzione sulla questione dei rifornimenti alimentari, perché questi non cadessero nelle mani delle truppe e delle autorità d’occupazione, né fossero motivo di facili illazioni britanniche. Il riferimento ai doveri degli occupanti lasciava presagire che gli inglesi non avevano alcuna intenzione di separare la questione del vettovagliamento greco dai doveri italo-tedeschi nel paese. Il governo britannico avrebbe fatto di tutto perché gli occupanti cooperassero all’approvvigionamento, contribuendo con propri aiuti alimentari. I rapporti tra le autorità di occupazione in Grecia e coloro che avevano permesso l’approvvigionamento del paese erano, dunque, destinati a rimanere estremamente tesi. La Santa Sede sapeva che era necessaria una piena cooperazione da entrambe le parti, per far sì che il vettovagliamento  avesse potuto dare i risultati sperati. Il Vaticano si era duramente prodigato, affinché sia gli italiani che i tedeschi dessero preventivamente le loro assicurazioni riguardo lo sbarco e lo svolgimento delle operazioni umanitarie. Le garanzie promesse dalle autorità di occupazione, però, non avevano avuto alcun peso per gli inglesi, che diffidavano di ogni iniziativa dell’Asse. La mediazione del Santo Padre in questo contesto si era mostrata totalmente inutile. Quando il blocco fu revocato, la situazione continuò a presentare molte difficoltà, dato che era probabile che le diffidenze di entrambi gli schieramenti avrebbero portato ad incomprensioni e a polemiche. Un irrigidimento inglese avrebbe potuto provocare una reazione degli occupanti, la cui collaborazione nella distribuzione delle derrate alimentari era fondamentale: la missione rischiava, dunque, di fallire miseramente.
Il legato pontificio non aveva menzionato le trecentocinquantamila tonnellate di grano già pagato fermo a Suez, sul quale la Santa Sede aveva puntato tutta la sua azione diplomatica. Questo notevole carico di grano rappresentava una legittima restituzione, che avrebbe potuto alleviare le sofferenze del paese. Gli stessi greci, che si erano appellati al Papa tramite Roncalli, avevano menzionato fin dal principio il grano australiano, rivendicando unicamente un intervento diplomatico, senza chiedere aiuti alimentari. Probabilmente l’orgoglio greco si sentiva meno ferito da una richiesta di restituzione, che da un appello d’aiuto gratuito. Comunque, in una situazione economica di guerra difficile per tutti, avrebbe potuto risultare più facile richiedere ciò che si era legittimamente acquistato, piuttosto che contributi gratuiti. Le trecentocinquantamila tonnellate di grano australiano erano state l’oggetto della contesa diplomatica tra Santa Sede e Gran Bretagna. L’Inghilterra si manteneva ancora molto diffidente verso la Santa Sede e verso il destino che gli aiuti, una volta giunti in Grecia, avrebbero potuto subire. Essa non intendeva far passare più di quanto stabilito, certo per evitare di “aiutare” le autorità d’occupazione e per esortarle a fare di più nel paese, anche cessando le requisizioni o le imposizioni fiscali che avevano ridotto i greci alla fame.
L’attività che la Santa Sede aveva svolto nei mesi precedenti non era stata menzionata, né era stata valorizzata dando credito al trasporto pontificio, che veniva sostituito dalle navi della Croce Rossa. La Santa Sede, infatti,  seppure non avesse apertamente prospettato l’eventualità che gli aiuti potessero giungere attraverso navi battenti bandiera del Vaticano, non era estranea all’idea. Roncalli, durante i primi colloqui e i primi appelli dei greci al Santo Padre, aveva parlato della possibilità di far transitare i soccorsi attraverso navi con bandiera pontificia, in quanto vedeva in questa prospettiva un’ulteriore garanzia di imparzialità. La Germania, per esempio, avrebbe potuto considerare le vettovaglie più sicure, senza arrestare il passaggio delle navi.  L’Inghilterra, tuttavia, non prese neanche per un momento in considerazione quest’eventualità; d’altro canto la Santa Sede non era contraria alla Croce Rossa, a cui spesso si era affiancata per il trasporto dei viveri o dei medicinali in favore delle vittime della guerra. Ma l’atteggiamento inglese denotava ancora una volta diffidenza. Nonostante il comportamento ambiguo del Governo britannico, il 27 gennaio 1942 il Ministro dell’economia di guerra, Dalton, annunciò ufficialmente la decisione di revocare il blocco alla Camera dei Comuni.
Il 31 gennaio fu comunicato a Ciano che Maglione stava accertando la revoca del blocco, e quindi la possibilità che la Gran Bretagna facesse passare dei viveri per la Grecia. L’Italia ne ebbe notizia solo in quel momento. Intanto la situazione alimentare del paese precipitava; dalla Grecia giunse l’annuncio che la vendita del pane era stata sospesa. La Santa Sede contattò il governo americano, tentando di sensibilizzarlo al problema greco; il Vaticano sperava che gli Stati Uniti avrebbero esercitato la loro influenza sugli inglesi, convincendoli a far passare i viveri necessari. Gli statunitensi dichiararono di voler intervenire presso gli inglesi, per accelerare il passaggio dei soccorsi dall’Egitto. Essi intervennero nella vicenda con successo, tanto che diedero un  contributo notevole alla decisione inglese di revocare il blocco. L’influenza americana fu determinante più di quella pontificia.
Nel febbraio 1942 in una lettera di Osborne indirizzata al Card. Maglione si spiegava sia l’atteggiamento inglese verso le autorità di occupazione, sia la decisione di liberare il porto del Pireo dal blocco. L’atteggiamento negativo nei confronti degli occupanti era giustificato dal loro comportamento illegittimo in Grecia, che aveva portato il paese al collasso. Oltre a condannare le pratiche di estorsione, saccheggio e sfruttamento, che caratterizzavano l’occupazione nazista, Osborne definì i tedeschi indifferenti al triste destino che attendeva la popolazione greca, ed incuranti del fatto che le risorse del paese non erano sufficienti per sostenere la macchina bellica tedesca. Il Governo e l’opinione pubblica inglesi non erano stati soli in queste riflessioni, a loro si erano affiancati gli Stati Uniti d’America. Essi avevano sostenuto la Gran Bretagna, sicuri che la Germania non era disposta a fare nulla per porre rimedio ai saccheggi e alle estorsioni cominciate nella primavera del 1941. Queste convinzioni rimanevano invariate, tanto che gli anglo-americani erano propensi a pensare che gli occupanti, avendo violato le norme del diritto internazionale di guerra, potevano infrangere le loro stesse assicurazioni e garanzie, sfruttando a loro favore anche gli aiuti umanitari.
La decisione di lasciare libero il passaggio alle navi della Croce Rossa Internazionale per il trasporto del grano _continuava la lettera di Osborne_ era scaturita constatando la situazione di emergenza maturata in Grecia. Il Governo britannico, con l’appoggio statunitense, aveva stabilito il passaggio di ottomila tonnellate di grano. Queste, aggiunte ai rifornimenti provenienti via terra dalla Turchia, dovevano essere più che sufficienti al soddisfacimento dei bisogni primari in Grecia. Nel documento era, dunque, espressa la ferma decisione inglese di mantenere i vecchi propositi nei confronti degli occupanti.
L’atteggiamento anglosassone era comprensibile, vista la situazione politica e militare che contrapponeva l’Italia e la Germania all’Inghilterra e all’America. L’idea di poter in qualche modo favorire le forze dell’Asse, sia sollevandole dai loro doveri, sia correndo il rischio che esse arrivassero ad approfittare di tali aiuti, non era congeniale agli anglo-americani. I sospetti erano naturali, ma per la Santa Sede l’opera di carità alla Grecia non rientrava nelle dispute politico-militari. Essa si rivolgeva solo ed esclusivamente agli innocenti, che nulla avevano a che fare con gli interessi di parte. Questa posizione non era compresa dagli Alleati, che invece sospettavano che l’attività pontificia puntasse ad aiutare l’Italia e temevano che dietro la sua azione si nascondesse lo spionaggio italo-tedesco.
L’attività della Santa Sede non finì con la liberazione del passaggio al Pireo. La diplomazia pontificia doveva tentare di calmare gli animi anglo-americani, perché i vettovagliamenti non fossero messi a repentaglio dalle questioni politico-militari della guerra. Il Vaticano avrebbe sorvegliato le potenze di occupazione, garantendo uno svolgimento indisturbato dell’organizzazione degli aiuti. Esso, inoltre, doveva organizzare i carichi e la loro distribuzione; accordarsi con la Croce Rossa Internazionale; appellarsi a tutti coloro i quali potevano donare ciò di cui le vittime della guerra potessero avere bisogno; garantire che nessuno tra occupanti e non potesse accusare di iniquità o di corruzione la gestione degli aiuti. Il pericolo di una simile accusa non poteva essere sopportato da chi agiva per il bene dell’umanità, senza secondi fini o interessi reconditi, né una simile iniziativa poteva essere infangata in nome di interessi assai meno nobili.
 

2.2

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2.3 Gli accordi fra le autorità d’occupazione e la Croce Rossa.

All’inizio di marzo la Croce Rossa informò le autorità di occupazione su quanto si intendeva fare per il vettovagliamento in Grecia. Gli occupanti, nel frattempo, avevano preso degli impegni con il governo greco per la fornitura di trentaseimila tonnellate di grano. Gli italiani, tuttavia, ebbero l’impressione che i tedeschi non volessero far fronte agli impegni presi e decisero di contare solo sulle loro forniture di grano, con il proposito di farle durare più a lungo possibile. La Croce Rossa, però, continuava ad esortare le autorità di occupazione, al fine di poter avere il loro contributo. La collaborazione delle forze occupanti era determinante, per poter sperare in un aiuto costante e concreto della Croce Rossa, senza il quale, d’altra parte, l’Italia non poteva provvedere al vettovagliamento delle proprie zone.
Numerosi incontri fra i rappresentanti della Croce Rossa internazionale, una delegazione svedese e le autorità che occupavano la Grecia si susseguirono in quella  primavera. La Svezia era divenuta una diretta interessata nella questione del vettovagliamento greco, perché avrebbe fornito il grano e soprattutto le navi per il suo trasporto.
Al primo incontro furono presi degli accordi sul trasporto dei viveri da portare in Grecia. Questi accordi prevedevano: la creazione di una commissione per la distribuzione del cibo; il passaggio attraverso il blocco al fine di sfamare la popolazione; l’organizzazione dei vettovagliamenti, destinati unicamente alla popolazione, concernenti quarantacinque o cinquantamila tonnellate di grano, posti sotto la protezione della Croce Rossa internazionale. Inizialmente le trattative non presentarono problemi particolari, anche perché i primi carichi di cibo erano già sbarcati, migliorando la situazione alimentare della Grecia. Geloso riferì a Ciano in proposito: “ Ordine pubblico: buono.  Salute pubblica (in particolare le prospettive alimentari): un po’ migliori per il futuro”. La convivenza tra occupanti e occupati era migliorata, grazie agli aiuti. L’Italia, che tanto aveva temuto la resistenza greca, assunse, dunque, un atteggiamento molto positivo nei confronti degli accordi per l’approvvigionamento greco.
L’intermediazione della Croce Rossa nell’organizzazione degli aiuti ebbe effetti positivi, tanto che anche il Canada fu pronto a contribuire con grano proprio all’opera di vettovagliamento in favore della Grecia. Questo intervento canadese doveva essere seguito da alcune trattative, che ponessero in essere delle garanzie da parte degli occupanti atte a favorire il passaggio del grano canadese. I governi italiano e tedesco assentirono alla creazione di salvacondotti per le navi provenienti dal Canada; il controllo della Croce Rossa internazionale garantiva l’organizzazione della spedizione. Naturalmente l’accordo ribadiva che i soccorsi, stabiliti congiuntamente, sarebbero andati esclusivamente alla popolazione civile. La Germania, tuttavia, fu meno solerte dell’Italia nel considerare validi simili trattative. Essa, infatti, non fu d’accordo sulla decisione di porre in essere una commissione di controllo, composta anche da elementi svedesi. I tedeschi ritenevano che dietro quest’iniziativa potesse nascondersi lo spionaggio anglo-americano.  La Santa Sede intervenne in questa disputa, intuendo che la situazione avrebbe potuto precipitare a danno della Grecia e della sua salvezza. L’ambasciatore presso la Santa Sede, Guariglia, riferì a Ciano che l’Inghilterra e gli Stati Uniti avevano acconsentito a che le navi trasportassero un carico di quindicimila tonnellate di grano svedese  ogni mese. L’Italia, però, assumendo la posizione diffidente della Germania, non colse la positività della notizia. Ciano rispose al nunzio chiedendo un cambiamento dell’atteggiamento anglo-americano, poiché l’Italia non era pienamente favorevole alla presenza di componenti svedesi all’interno della commissione di  controllo internazionale. La Croce Rossa internazionale tentò una mediazione fra  gli Alleati e la Svezia, fino a che Junod, delegato generale della Croce Rossa di Ginevra, propose la creazione di una commissione per il controllo dei soccorsi, composta da alcuni membri svizzeri e svedesi. La proposta piacque agli occupanti, che acconsentirono a lasciar passare i viveri in Grecia. Un mese più tardi arrivò l’assenso  degli anglo-americani.
La commissione di controllo, presieduta dal delegato della Croce Rossa internazionale in Grecia, cominciò ad operare nel mese di giugno. La sua attività prevedeva un rigido controllo della distribuzione dei viveri alla popolazione. Il controllo dava delle garanzie a chi beneficiava degli aiuti, in quanto la loro distribuzione avveniva in modo uguale per tutti; in questo modo, inoltre, anche gli organizzatori dei soccorsi erano lontani dalla possibilità di essere corrotti dagli stessi occupanti. Le stesse assicurazioni venivano date anche a quelli che temevano che gli occupanti potessero essere favoriti dalla situazione. L’eventualità che essi potessero utilizzare i rifornimenti per le loro truppe, o che, dietro l’organizzazione degli aiuti, si nascondessero le attività di spionaggio bellico, erano sventate. Queste diffidenze accomunavano un po’ tutti coloro che partecipavano all’iniziativa. La commissione, quindi, avrebbe potuto svolgere un ruolo imparziale ed essenziale per la tranquillità delle operazioni di rifornimento alimentare.
 

2.4

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2.5 I problemi finanziari greci.

La Grecia non poteva trovare pace sotto un’occupazione dissanguante, come quella dell’Asse. Il problema della fame si stava risolvendo gradualmente, ma altre questioni non meno gravi si affacciavano, come conseguenza di  un’amministrazione troppo onerosa, che non teneva conto delle reali possibilità del paese. Nell’estate del 1942, Ghigi scrisse a Ciano che la Grecia non era in grado di andare avanti nel far fronte agli oneri fiscali che gli occupanti le avevano imposto. Nel paese si dovevano creare le condizioni per uno sviluppo economico costante. Le uniche possibilità lavorative, però, erano rappresentate dall’impiego nella costruzione delle opere pubbliche militari, che la Germania aveva intrapreso. La crisi finanziaria era già molto avanzata, tanto che l’inflazione rischiava di diventare un flagello peggiore della fame. Ghigi proponeva alcune iniziative, per cercare di risolvere la situazione: vietare alle autorità militari di fare acquisti evadendo il fisco; creare un bando di denuncia dei lavori militari; disporre i salari per gli operai, affinché il governo greco potesse prendere adeguate misure fiscali. A queste proposte avrebbe dovuto aderire la Germania, ma essa riteneva la situazione finanziaria greca secondaria, rispetto alle esigenze di costruzione delle opere pubbliche, dunque era molto difficile giungere ad un compromesso.
Gli italiani erano coscienti del fatto che i soccorsi umanitari che stavano risollevando la Grecia dalla fame avevano l’effetto di aiutarli, sostituendosi ad essi nel vettovagliamento del paese. I soccorsi rappresentavano un indubitabile vantaggio, perché gli italiani stavano attraversando momenti molto difficili, sia economicamente che  militarmente. La soluzione del problema greco assorbiva numerose forze militari e civili, richiedendo anche contributi di carattere alimentare, divenuti sempre più rari nella stessa Italia. Le autorità italiane venivano liberate da un’ulteriore preoccupazione, lasciando che forze utili venissero impiegate in altre zone dell’Europa. Gli interessi della carità cristiana coincisero con gli interessi italiani; il Vaticano, risolvendo la questione greca, aiutò molto anche l’Italia e la Germania. Quest’ultima, tuttavia, si trovava in una posizione diversa rispetto all’Italia. Essa disponeva di più cibo e mezzi e, quando la questione della fame in Grecia emerse, le sorti della guerra erano totalmente favorevoli alla Germania. Dunque essa non si preoccupò di favorire gli aiuti pontifici, non avendone bisogno.
Al momento della crisi finanziaria, nell’estate 1942, l’andamento bellico non era mutato, la Germania era ancora vincente, mentre l’Italia era sempre fra mille difficoltà. Gli aiuti umanitari in Grecia erano stati accolti molto benevolmente dalle autorità italiane, che avevano creato meno problemi di ordine burocratico, rispetto ai tedeschi. Gli inglesi, che con il loro consenso avevano permesso il passaggio degli aiuti, avevano tuttavia ribadito la loro intenzione di non rinunciare a far sì che anche le autorità di occupazione intervenissero nell’operazione di vettovagliamento con propri contributi. La Croce Rossa stessa, fin dai primi soccorsi, aveva continuato a sollecitare gli occupanti di proseguire nella loro opera di approvvigionamento, impedendo loro di abdicare ai doveri imposti dal diritto internazionale. Se gli inglesi avessero avuto il sentore che gli occupanti stavano approfittando della situazione, avrebbero potuto ripristinare il blocco. La Santa Sede cercò di sensibilizzare l’opinione internazionale al problema greco, ponendo gli italiani in una posizione più favorevole, rispetto ai tedeschi. Essa cercò di mettere in luce i loro sforzi per approvvigionare il paese, senza menzionarli fra i dilapidatori delle risorse greche. Ghigi aveva cercato di contribuire alla creazione di quest’immagine positiva dell’occupazione italiana negli incontri con Roncalli, il quale si era mostrato molto sensibile a questo tipo di visione. Gli inglesi naturalmente non avevano creduto alla buona fede italiana, né avevano revocato il blocco ritenendo di dover far passare tutto il grano necessario, ma avevano cercato di far leva anche sui doveri degli occupanti. La Croce Rossa, fortunatamente, non prestava orecchio alle diffidenze inglesi, tanto che dalla primavera del 1942, superati gli ostacoli degli accordi sull’organizzazione degli aiuti, i carichi di viveri giunsero copiosi in Grecia. La crisi finanziaria però rischiava di far precipitare la situazione.
Il 22 luglio Mussolini, di ritorno da un viaggio in Libia, si fermò  a visitare  la Grecia, dove incontrò il plenipotenziario tedesco, il Presidente del consiglio greco e il suo Ministro delle finanze. Questi gli fecero rapporto sulla situazione del paese, ma il loro resoconto era disastroso: “la Grecia è sull’orlo di una catastrofe finanziaria e quindi economica e politica”. Mussolini ritenne di dover attirare l’attenzione del Fuhrer su questa situazione, richiamandolo all’analisi dei seguenti dati: “l’inverno scorso i morti per fame sono stati ventiquattromila, le entrate dello Stato raggiungono faticosamente i trenta miliardi di dracme, ma la circolazione è di centodieci miliardi. I prezzi sono saliti alle stelle…”. Il Duce rilevava una situazione alimentare migliore rispetto al passato, ma era estremamente preoccupato per quella finanziaria, che si aggravava ogni giorno di più. La soluzione alla crisi prospettata dal capo del governo italiano era rappresentata dall’alleggerimento delle spese di occupazione. Egli scrisse di essere disposto a ridurre le spese al minimo necessario, anche perché non era possibile trovare un altro rimedio, visti i precedenti tentativi “in sede tecnica”. Mussolini temeva una ribellione della popolazione, che fino ad allora era stata relativamente tranquilla, contro le autorità occupanti. Quest’apprensione era nata in seguito al commento del Ministro delle finanze greco, Gotzamanis che, preoccupato per il futuro, gli aveva detto: “La fame è una cattiva consigliera” . La crisi economica rischiava di provocare una nuova crisi alimentare in una popolazione che era già fortemente debilitata, vanificando gli sforzi di vettovagliamento del paese. Il pericolo che tale situazione portava con sé era enorme, perché rendeva la Grecia più facilmente influenzabile da Londra e dal comunismo che alimentavano l’ideologia della nascente resistenza greca.
La visita di Mussolini aveva dato nuove speranze ai greci di poter ridurre le spese di occupazione, risollevandosi dalla crisi finanziaria. La risposta di Hitler, però, non confermò tali speranze. Il Fuhrer, infatti, non considerava spese di occupazione quelle che gravavano sul governo greco, perché quest’ultimo non provvedeva al sostentamento delle truppe di occupazione. Le spese, per lui tanto limitate, erano sorte per il ripristino di strade, ponti, porti, ferrovie ed aeroporti. Tutti i lavori pubblici erano assolutamente necessari, non solo per le operazioni militari delle forze di occupazione, ma anche per il benessere della Grecia, che in primis avrebbe goduto di tali opere. L’impossibilità di trasportare i materiali necessari al ripristino degli impianti dalla Germania o dall’Italia, insieme alla difficoltà di pagarli in marchi, avevano imposto l’esigenza che questi venissero pagati dal governo greco. Le necessità descritte da Hitler dimostrarono, ancora una volta, l’irremovibilità tedesca nei confronti di misure rivolte al risollevamento della Grecia. Tuttavia, alcuni giorni dopo la risposta del Fuhrer, il governo di Berlino trasmise un memorandum sul punto di vista tedesco circa il risollevamento della Grecia. I tedeschi erano pronti a diminuire le spese di occupazione in Grecia, anche se quantificare la diminuzione degli oneri fiscali era molto difficile, perché i lavori che avevano provocato queste spese erano necessari per motivi militari e pagabili solo in dracme. Nel documento era definito l’importo delle spese che gravavano sugli occupanti, superato il quale la differenza sarebbe stata colmata dal governo greco: si trattava di una condizione iniqua per la Grecia, che non poteva sapere di volta in volta quale cifra avrebbe rappresentato questo disavanzo. Essa non avrebbe potuto difendersi da cifre addebitabili troppo alte, perché la regola non prevedeva un tetto massimo, oltre il quale agli occupanti non era permesso spendere. I tedeschi ritenevano che i materiali necessari alla creazione delle opere pubbliche dovessero  essere forniti dal governo greco, perché in questo modo la Grecia avrebbe ridotto i debiti contratti con gli occupanti e lo svolgimento delle opere sarebbe stato molto più economico. Queste condizioni erano estremamente gravose per i greci, che non possedevano più molti giacimenti, da cui poter ricavare i materiali necessari, in quanto erano stati acquistati dagli occupanti. La Germania e l’Italia si impegnavano ad aumentare le loro forniture alla Grecia di prodotti essenziali alimentari e industriali. Per attuare un simile proposito, i tedeschi prevedevano la creazione di una società monopolistica, che avrebbe favorito il commercio tra la Grecia e la Germania. In cambio di queste iniziative, il governo greco doveva impegnarsi a fermare l’aumento dei prezzi e, quindi, il progredire dell’inflazione. I tedeschi erano disposti a collaborare in questa direzione, mandando alcuni esperti, per appoggiare e coadiuvare il governo greco nell’intraprendere tale politica. Il documento voleva essere una dimostrazione dell’accondiscendenza e della disponibilità tedesca nei confronti delle necessità greche, ma ribadiva il rifiuto di rinunciare alle proprie esigenze. La Germania non aveva preso in considerazione le proposte dell’alleato sul miglioramento della questione, ritenendo le proprie più efficaci sotto tutti i punti di vista.
La situazione non accennava a migliorare. Dopo aver visto rifiutata una riduzione della pressione fiscale per luglio, chiesta ai tedeschi da una delegazione governativa greca coadiuvata da alcuni rappresentanti italiani,  la Grecia era sul punto di veder annullato il potere di acquisto della dracma. Le proposte tedesche non lasciavano presagire un attenuamento concreto della crisi. Anche Ghigi la pensava in questo modo. Egli esaminò i progetti tedeschi per la  soluzione dei problemi finanziari del paese, senza riuscire a trovare una sola proposta positiva per la Grecia. Il governo greco non poteva trovare tutti i materiali necessari per la costruzione delle opere; per reperirli avrebbe dovuto acquistarli. Inoltre, in questo frangente era inevitabile l’aumento dei prezzi e dei salari, che avrebbe a sua volta comportato un aumento delle spese di occupazione. La proposta di inviare altri esperti per esaminare ulteriormente la situazione sembrava ancor più inutile, in quanto la Grecia aveva bisogno di iniziative concrete, volte alla riduzione delle spese, e non di altri studiosi. L’esperienza acquisita dalle autorità di occupazione, che avevano analizzato la situazione approfonditamente vivendoci in prima persona, era sufficiente. Ghigi sottolineava il timore che la questione potesse portare ad una crisi politica, e ad “uno stato di inevitabile panico”, compromettendo la sicurezza degli stessi occupanti.
I timori di Ghigi aumentarono in quegli ultimi giorni di agosto: se il comando militare tedesco avesse chiesto la riscossione delle tasse di settembre, come era prevedibile, la crisi politica sarebbe stata inevitabile. Il Presidente del Consiglio aveva prospettato l’intenzione di dimettersi; nell’eventualità della riscossione di settembre la minaccia sarebbe divenuta un fatto concreto. Le dimissioni di Tsolakoglu avrebbero aperto una crisi politica difficile da risolvere, in quanto nessun politico greco si sarebbe preso la responsabilità di formare un nuovo governo in una situazione finanziaria catastrofica come quella greca. In questo caso l’Italia avrebbe auspicato una assunzione diretta del potere politico, ma la condizione in cui era amministrato il territorio greco, cioè la “mezzadria” con i tedeschi, non lo avrebbe mai permesso.
Il governo dimissionario avrebbe potuto rifiutarsi di ordinare un’ulteriore emissione di denaro alla Banca di Grecia, per far fronte alle spese di occupazione. L’unica soluzione possibile per il plenipotenziario rimaneva quella prospettata da Mussolini. Egli consigliava anche una conferenza tra le forze politiche greche e le autorità italo-tedesche, per cercare di ovviare alla crisi politica e per rimediare alla crescente inflazione. Ciano dimostrò di comprendere le preoccupazioni di Ghigi. In quel periodo l’unica eventualità accettata dai tedeschi, fra quelle proposte, era quella di indire una conferenza, nella quale fossero presenti tutte le rappresentanze politiche. Il Ministro degli esteri italiano non sembrava convinto della reale efficacia di una simile prospettiva, ritenendo che se la conferenza avesse fallito si sarebbe trattato di un colpo di grazia per l’economia greca. Tuttavia, essendo questa l’unica soluzione accettata anche dai tedeschi, Ciano predispose la riunione di alcuni esperti, affinché studiassero la situazione greca e portassero il loro contributo tecnico alla conferenza. La fine del mese di agosto era, quindi, contrassegnata dalla preparazione della conferenza, che, come sperava Ghigi, avrebbe rimandato la crisi ministeriale di qualche mese.
Mentre si organizzava la conferenza, le condizioni della vita della popolazione greca rimanevano estremamente precarie. L’aumento vertiginoso dei prezzi provocò una serie di proteste da parte della popolazione. Impiegati pubblici e operai cominciarono una serie di scioperi “totalitari”, che preoccuparono ulteriormente le autorità di occupazione. Si temeva il dilagare dei fenomeni di protesta, perché sempre più larghe fasce della popolazione non avevano accesso ai beni di prima necessità. Le rivolte avrebbero potuto essere strumentalizzate dalla propaganda anglosassone e comunista, creando forti ostacoli alla riuscita di iniziative militari, che dalla Grecia si indirizzavano principalmente verso l’Africa. A questo proposito Ciano chiedeva che i tedeschi facessero la loro parte, per impedire che le condizioni greche peggiorassero. Egli si riferì, come già aveva fatto Mussolini, soprattutto alla necessità di ridurre le spese di occupazione. L’ambasciatore italiano a Berlino, però, confermò che, sebbene i tedeschi avessero fatto proprie le preoccupazioni italiane, dichiarandosi disposti a fare quanto era in loro potere per limitare i danni, avevano ribadito la necessità di non ridurre le spese militari.
La conferenza italo-greco-tedesca iniziò i suoi lavori all’inizio di ottobre. Ma già dal primo giorno si manifestarono quelle difficoltà che avevano impedito più volte il dialogo fino ad allora, e che avrebbero reso la vita della conferenza estremamente difficile. In realtà la questione presentava la solita disputa fra gli interessi delle forze di occupazione e quelli del paese occupato. Si stabilì che il fabbisogno mensile delle truppe dell’Asse fosse di cinquantatre miliardi di dracme, ma la Grecia poteva fornire solo un miliardo e mezzo di dracme per le truppe. Gli esperti italo-tedeschi ritenevano che il governo greco avrebbe potuto aggiungervi altri sei miliardi e mezzo, in più avrebbe potuto fornire nove miliardi e arrotondare con dei prestiti, ma rimaneva comunque una grossa differenza da coprire. Chi avrebbe potuto e dovuto colmare questa differenza? Con quali mezzi? Se si fosse provveduto a questa differenza con l’emissione di nuove dracme, si sarebbe peggiorata l’inflazione. A questo punto fu proposta la creazione di tre sottocommissioni, che avrebbero analizzato tre diversi aspetti della questione: la prima si sarebbe occupata di esaminare l’eventualità di poter aumentare i trasporti, facilitare la riparazione delle navi e la fornitura dei materiali per le riparazioni; la seconda doveva analizzare la capacità finanziaria del governo greco, sotto il peso delle spese di occupazione; la terza si sarebbe occupata di esaminare quali materiali potevano essere esportati senza far aumentare i prezzi delle merci greche.  Ma, dopo tre giorni di sedute non si era giunti ad un accordo soddisfacente e i dissensi rimanevano soprattutto da parte tedesca. Seguirono altri giorni di discussioni, tentati accordi su progetti e proposte greche, ma le trattative non conoscevano uno sviluppo positivo. La Grecia chiedeva non solo una riduzione dell’imposizione fiscale a suo carico, ma anche che gli occupanti non comprassero nulla ed importassero i prodotti di cui avevano bisogno. In cambio il governo greco si impegnava a fornire delle somme ben precise. Ma queste condizioni erano troppo lontane dal modo di vedere le cose degli occupanti. Si era ad un punto morto. La Germania sembrava disposta a risolvere i problemi che sarebbero scaturiti da un mancato accordo con l’uso delle armi, ma gli italiani paventavano una simile eventualità. Le già debilitate forze militari italiane non avrebbero sopportato un simile sacrificio, tanto che il delegato italiano, Giannini, prospettò l’idea di fornire la differenza che il governo greco doveva ai tedeschi, pur di non giungere ad uno scontro armato e di risolvere la situazione. I tedeschi a quel punto mandarono una nota che voleva essere risolutiva. Essa chiariva che le necessità tedesche erano marginali in confronto a quelle italiane. Le spese di occupazione venivano nuovamente giustificate, ricordando che i lavori pubblici erano a tutto vantaggio degli italiani. Questi, una volta finita la guerra, ne avrebbero potuto usufruire, rimanendo in Grecia, cioè nel loro “spazio vitale”. I greci avrebbero ugualmente beneficiato di tali opere, perché da soli non avrebbero mai potuto realizzare i lavori pubblici tanto criticati. Il documento, inoltre, spiegava che erano si ritenevano inutili ulteriori discussioni e che pertanto la Germania aveva preso la decisione di ingaggiare due esperti, uno italiano ed uno tedesco, con il compito di coadiuvare il governo greco nello sforzo di ridurre la crescita dell’inflazione. La presa di posizione tedesca non era una proposta come le altre, ma una decisione, a cui greci e italiani avrebbero dovuto uniformarsi. Gli italiani non ebbero il tempo di poter contestare l’iniziativa tedesca, perché l’alleato aveva già scelto il proprio “esperto”. All’Italia, dunque, non rimase che fare altrettanto, per non restare esclusa dall’iniziativa. I due esperti, Neubacher per i tedeschi e D’Agostino per gli italiani, erano incaricati di seguire le vicende finanziarie greche, congiuntamente e per un tempo determinato. Il periodo del loro lavoro sarebbe stato stabilito in un secondo momento, quando si sarebbero visti i primi risultati della loro azione. Gli italiani e i greci non nutrivano molta fiducia nell’iniziativa, ritenendola completamente inutile. In questo modo le spese di occupazione non erano state ridotte, mentre i lavori pubblici avrebbero continuato ad andare avanti. Le proposte italo-greche erano state completamente ignorate, perché i tedeschi avevano privilegiato i loro interessi ed il loro punto di vista. Le autorità italiane e quelle greche apparivano sempre più impotenti di fronte allo strapotere nazista.
 

2.6

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2.7 Le dure polemiche tra Gran Bretagna e Santa Sede sugli aiuti alla Grecia.

Mentre le autorità di occupazione erano tutte rivolte a risolvere la crisi finanziaria greca, la Croce Rossa internazionale e la Santa Sede continuavano ad occuparsi del vettovagliamento della Grecia. Esse controllavano l’efficienza e l’equità delle distribuzioni, mentre l’Inghilterra tentava, per quanto fosse possibile in un territorio occupato dall’Asse, di vigilare sugli aiuti affinché non cadessero nelle mani degli occupanti. Come abbiamo visto, per evitare una simile eventualità, gli organizzatori dei soccorsi e gli occupanti avevano provveduto alla costituzione di una commissione specifica di controllo. I componenti di quest’organismo erano un’ulteriore garanzia di imparzialità, in quanto appartenevano a diverse nazioni neutrali, come la Svizzera e la Svezia. La commissione era stata approvata sia dall’Inghilterra, che dalle forze dell’Asse, in modo da poter garantire un tranquillo svolgimento delle operazioni di vettovagliamento, senza che l’operato della Croce Rossa potesse divenire l’inutile bersaglio di polemiche politiche. Tuttavia la diffidenza inglese non si era placata, e ben presto furono mosse delle accuse circa l’approvvigionamento e la destinazione delle derrate alimentari.
Nei primi giorni di ottobre del 1942, infatti, la legazione inglese mandò una nota al Vaticano, nella quale faceva il punto sulla situazione greca. Nelle valutazioni degli inglesi la Grecia appariva ancora molto debilitata, a causa delle rappresaglie delle forze occupanti. La situazione del paese sembrava non aver registrato miglioramenti, neanche con gli aiuti della Croce Rossa. Nel documento si rendevano note delle informazioni, che Londra aveva ricevuto dalla British Broadcasting Corporation, sulle conseguenze delle requisizioni di grano, olive, uva, verdure, pesce, latte e burro attuate dalle forze dell’Asse a danno della provata popolazione greca. La legazione inglese, inoltre, disponeva di alcuni dati riguardanti le esecuzioni, fra arresti e deportazioni, messe in atto dagli occupanti durante la seconda settimana di settembre nella zona fra Atene e il porto del Pireo. Le esecuzioni erano una prova ulteriore dei maltrattamenti dell’Asse. Esse erano state provocate da alcune manifestazioni di operai greci, che protestavano contro le requisizioni alimentari e le violenze che erano costretti a subire. La legazione inglese svalutava anche l’operato della Croce Rossa, asserendo che l’inverno precedente l’inedia aveva provocato cinquecentomila vittime e che questo numero era rimasto pressoché invariato, nonostante gli aiuti che regolarmente la Croce Rossa aveva fatto sbarcare nel paese. La situazione non era mutata, anche perché gli italiani e i tedeschi avevano continuato la loro opera di depredazione. Il documento puntava il dito contro l’Italia, che venne indicata come la principale potenza occupante, responsabile di tutte le vite perdute. L’incompetenza militare italiana aveva permesso ai tedeschi di saccheggiare, depredare ed rovinare l’economia del paese, creando a proprio vantaggio il mercato nero e la capitalizzazione di ogni bene. Tutto ciò, secondo la legazione inglese, corrispondeva al piano del Nuovo Ordine, messo in atto dall’Asse.
La nota era una denuncia molto forte del comportamento delle truppe di occupazione in Grecia. I tedeschi e gli italiani avevano dato le loro garanzie, per convincere la Croce Rossa, la Santa Sede e persino l’Inghilterra ad operare in favore dei civili greci. Le previsioni inglesi, però, si erano avverate ed i soccorsi erano serviti a giovare alle autorità d’occupazione. Il governo inglese implicitamente condannava la fiducia che la Santa Sede aveva accordato agli occupanti, soprattutto agli italiani, quando questi avevano chiesto un intervento pontificio a favore della Grecia dando la loro parola come garanzia. L’Inghilterra aveva sempre diffidato, e aveva tentato di mettere in guardia la Sante Sede, ma invano; ora i convincimenti anglosassoni sembravano trovare un riscontro concreto nei dati della B.B.C. . Questa doveva essere l’ennesima prova a discredito dell’Asse, soprattutto degli italiani, che la Santa Sede aveva difeso.
Tardini, che ricevette la nota, decise di controllare la veridicità delle notizie riportate dagli inglesi. Immediatamente contattò il Card. Maglione, affinché verificasse con i delegati apostolici in Svizzera e ad Istanbul, Roncalli, lo stato e l’organizzazione dei soccorsi in Grecia. Dalla Svizzera, infatti, partivano le direttive per gli aiuti, mentre Roncalli conosceva la situazione presente in Grecia. La Santa Sede voleva accertare l’autenticità delle informazioni inglesi, dietro cui poteva nascondersi la propaganda anti-Asse. La pericolosità rappresentata  dalle dichiarazioni britanniche era alta: se le informazioni della B.B.C. fossero state vere, gli aiuti umanitari sarebbero stati fortemente screditati. Questo avrebbe potuto provocare un ritiro sia degli Svedesi, sia dei Canadesi, che avevano garantito i carichi di grano alla Grecia. La credibilità dell’azione diplomatica pontificia, inoltre, avrebbe ricevuto un duro colpo. La Santa Sede, che si dedicava soprattutto alle vittime della guerra, sarebbe stata accusata nuovamente di favorire l’Italia e i suoi  interessi. In Grecia la nota avrebbe potuto provocare numerosi disordini ed alimentare la propaganda della resistenza. I ribelli greci in parte erano legati all’URSS e all’ideologia comunista, ed in parte erano organizzati dai partigiani inglesi, che puntavano a distruggere i nemici nazi-fascisti ideologicamente e militarmente.
Maglione scrisse ad Istanbul, chiedendo a Roncalli di indagare e verificare  la notizia sulle requisizioni dell’Asse che, secondo gli inglesi, avevano colpito l’intero raccolto dell’anno. Egli esortò il delegato pontificio a chiarire anche le informazioni riguardanti le rivolte scoppiate per le rappresaglie degli occupanti, e le esecuzioni, che ne erano seguite. Nella richiesta di accertamento si faceva implicita menzione anche della cifra riportata dalla legazione britannica, di mezzo milione di morti per fame. Prima che la risposta di Roncalli potesse giungere in Vaticano, gli inglesi espressero nuovamente il loro malcontento nei confronti della politica italo-tedesca. Osborne scrisse che gli occupanti usufruivano di tutto il petrolio presente in Grecia, lasciando il paese senza carburante. Questa penuria energetica stava provocando dei forti disagi alla circolazione dei veicoli, dunque avrebbe potuto interferire sui trasporti dei soccorsi. Gli inglesi, in questo caso, non sembravano preoccuparsi molto della sorte dei soccorsi, quanto del fatto che gli occupanti potevano sfruttare tutto il petrolio a loro vantaggio. Le lamentele britanniche giungevano, dunque, copiose presso la Santa Sede: si trattava di reale preoccupazione per i greci, o erano un mezzo di propaganda politica?
La missiva di Maglione subì dei ritardi nella consegna, così la risposta di Roncalli giunse piuttosto tardi.  Il delegato apostolico, ricevuta la lettera di Maglione, decise di recarsi direttamente in Grecia, per verificare quanto richiesto nel modo più attendibile possibile. Il risultato dell’indagine fu messo su carta alla fine di novembre. Le notizie riportate da Roncalli furono tanto confortanti, che valse la pena di aspettare. Egli riferì, infatti, che le autorità di occupazione non avevano toccato il raccolto dell’anno, del quale aveva disposto solo il governo greco. L’iniziativa del Consiglio dei Ministri, però, in alcune località non aveva riscosso molto successo. Alcune “manifestazioni incomposte” si erano avute, ma non erano state represse con violenza. Il delegato pontificio accennò a qualche arresto, “ma di nessuna conseguenza”. Egli sottolineò che nemmeno l’anno precedente vi erano state requisizioni di grano da parte delle truppe di occupazione; ve ne erano state solo, in parte, di patate, olio e uva secca. Gli occupanti, dunque, avevano rispettato gli accordi stipulati con la commissione svedese e svizzera della Croce Rossa internazionale. Il lavoro di questa commissione, messo in dubbio dalle illazioni inglesi, venne definito da Roncalli “serio e vigilante, ed a sua volta controllabile”, quindi molto trasparente ed efficiente sotto tutti i punti di vista. Grazie all’operato di quest’istituzione di controllo, si era potuto realizzare in modo completo il rifornimento alimentare, di cui la popolazione aveva avuto bisogno. I soccorsi avevano provveduto a fornire non solo grano, che comunque era assicurato per altri quattro mesi, garantendo ai civili una porzione giornaliera di 200 grammi di pane, ma anche  latte in polvere e medicinali. Tutto ciò era stato possibile, in quanto la Croce Rossa aveva saputo organizzare le forze della Svizzera e del Canada, che fino ad allora erano stati i principali fornitori. Roncalli sottolineò che, nello stesso giorno in cui scriveva, erano giunti al Pireo altri tre piroscafi svedesi. Egli ribadì che tutto ciò avveniva grazie all’intervento della Santa Sede, attivato proprio un anno prima. Roncalli scrisse che l’atteggiamento inglese aveva causato enormi danni alla Grecia; essa, infatti, si stava risollevando solo a causa degli interventi citati. L’opera del Vaticano, inoltre, aveva contribuito ad alleviare i danni prodotti dagli inglesi, provocando un miglioramento dei rapporti tra Grecia e Gran Bretagna. Gli aiuti umanitari, dunque, avevano favorito molto anche l’Inghilterra, perché correggevano “quel fatale errore” e lasciavano “sperare che nel prossimo inverno la mortalità non sarà così grave, almeno per causa del mancato nutrimento divenuto ora meno scarso”.
Il delegato pontificio fece delle precisazioni anche riguardo le cifre, che erano copiose nel documento inglese. Egli raccolse alcuni dati forniti da un rapporto, che andava dall’ottobre 1941 al settembre 1942, del dott. Andrea Vardas, un cattolico suo amico. Questi fece le proprie statistiche in base ai dati forniti dall’ufficio municipale d’igiene, dalle astanterie e dai cimiteri, “perciò le cifre che egli esibisce, accompagnate da interessanti osservazioni, si possono ritenere le più vicine alla verità di quante altre per motivi impressionistici o di propaganda si fecero e si fanno circolare”. I dati raccolti da Roncalli dimostravano la palese esagerazione di quelli presenti nel documento inglese: durante il periodo analizzato il numero dei morti per fame fu calcolato di trentaquattromilaseicentoventidue. “Anche tenendo conto, in misura proporzionale, dei morti dei trenta centri urbani più notevoli di tutta la Grecia e dei villaggi, dove in generale la fame fu meno cruda che non nella capitale, siamo ad una cifra ben lontana dai cinquecentomila che a qualcuno piace far credere per i soli mesi d’inverno” .
Il documento presentato da Roncalli dimostrò la valenza polemica delle cifre fornite dalla legazione inglese. Le requisizioni di tutto il raccolto annuale di grano erano state inventate. Il governo greco, infatti, aveva  disposto del grano. L’Inghilterra poteva contestare che l’esecutivo era completamente assoggettato alle potenze di occupazione e alla loro volontà, ma gli accordi fatti erano stati rispettati. La fiducia che la Santa Sede aveva riposto nelle garanzie degli occupanti non era stata tradita. L’opinione pubblica poteva accertarsi di ciò, attraverso l’operato della commissione preposta al controllo degli aiuti. La possibilità per chiunque di poter controllare rendeva la giusta dignità a coloro che avevano lavorato per la sopravvivenza altrui, senza favore o discriminazione alcuna. La totale imparzialità sia dell’operato della Croce Rossa internazionale, sia delle iniziative della Santa Sede, emergeva con chiarezza dalla missiva di Roncalli, che era una strenua difesa di ciò che era stato fatto per la Grecia in un anno. Nel novembre del 1942 la fame non era più il nemico numero uno dei greci. Essi potevano vedersi garantiti medicinali e cibo in quantità sufficienti alla normale sopravvivenza, e per un periodo abbastanza consistente. Solo un anno prima si combatteva contro le diffidenze anglo-americane per la revoca del blocco. Nella contro-denuncia di Roncalli non erano state le rappresaglie dell’Asse le principali responsabili della fame nel paese, ma il blocco ed il riottoso atteggiamento degli inglesi, che avevano impedito a tonnellate di viveri disponibili di salvare la vita a migliaia di greci. L’intervento della Santa Sede era stato determinante, perché aveva impedito all’Inghilterra di continuare a macchiarsi di questo enorme peccato. Il Vaticano aveva garantito la dignità del governo britannico, anche di fronte all’opinione pubblica mondiale. Gli italiani e i tedeschi non avevano beneficiato dell’intervento del Santo Padre, usufruendo degli aiuti. Quelli che ora criticavano tanto l’iniziativa pontificia, mettendo in giro diffamanti illazioni propagandistiche, avevano ricevuto i più grandi favori, sia dalla Santa Sede che dall’operato della Croce Rossa internazionale. I rapporti del governo britannico e del Vaticano erano sensibilmente migliorati, grazie alle azioni della diplomazia pontificia, mentre gli enormi errori inglesi e le loro conseguenze erano stati corretti. Con il proprio contributo alle statistiche sul numero dei morti in Grecia, durante sia l’inverno tra il 1941 e il 1942, che durante gli aiuti, Roncalli dimostrò che i dati inglesi erano completamente esagerati. L’intento di screditare l’Asse agli occhi dell’opinione pubblica internazionale e vaticana rischiava di ritorcersi contro i suoi stessi autori, le cui informazioni perdevano credibilità.
Un secondo resoconto della situazione in Grecia, redatto da Roncalli nei giorni in cui si trovava nel paese per accertare le accuse inglesi, trattava della destinazione degli aiuti provenienti dalla Croce Rossa e dalla Santa Sede. Anche gli aiuti del Vaticano ai greci, infatti, erano stati oggetto di polemiche. Gli inglesi si lamentarono anche del fatto che gli aiuti inviati dal Pontefice alimentassero e favorissero le truppe e le autorità di occupazione. Al centro della disputa c’erano soprattutto i “Focolai della provvidenza”, organizzati da Mons. Calavassy. Roncalli dovette accertare queste infamanti accuse, che andavano a colpire il punto nevralgico degli aiuti pontifici. I “Focolai” erano stati i primi istituti ad organizzare delle cucine economiche in ogni angolo del paese, riuscendo ad alleviare le sofferenze dei greci già prima degli aiuti internazionali. Il rapporto di Roncalli smentiva le accuse, assicurando che mai nulla di ciò che era giunto da parte della Croce Rossa o dalla Santa Sede era stato toccato dalle autorità di occupazione. Egli scrisse che le stesse autorità italiane inizialmente avevano proposto all’uditore pontificio Testa di entrare in una commissione per il controllo della distribuzione delle derrate, in modo da escludere qualsiasi possibile illazione. In un secondo momento, però, fu la Croce Rossa a provvedere, costituendo un organismo di controllo, la cui opera era stata estremamente efficace e trasparente, potendo essere controllata da chiunque avesse avuto interesse a farlo.
Roncalli chiarì che i viveri, destinati ai centri di assistenza sociale e medica, continuavano a giungere dalle potenze occupanti, “specialmente dall’Italia”. Gli inglesi, però, non avevano perso occasione per fare delle illazioni anche su questi vettovagliamenti, affermando che essi servivano ad alimentare il mercato nero. Quest’ultimo era teso a sfruttare le minime risorse dei civili greci a prezzi irrisori, facendo leva sui bisogni primari della popolazione. Il delegato pontificio non escluse che ciò potesse essere avvenuto, ma in minima parte ed eludendo la sorveglianza. In questo modo una certa quantità di viveri poteva essere andata anche alle truppe di occupazione. Roncalli, tuttavia, ci teneva a ribadire che i controlli erano molto capillari,e che, se qualcosa era sfuggita loro, si trattava comunque di minime quantità.
In conclusione del suo rapporto, Roncalli fece luce sulla questione delle scatole di latte inviate dal Santo Padre e “misteriosamente scomparse”, sulle quali, anche, avevano fatto pesanti allusioni gli inglesi. Calavassy, che operava all’interno dei “Focolai”, fu accusato di aver manipolato gli aiuti pontifici in favore degli occupanti italiani. Roncalli spiegò che ciò era impossibile, in quanto Calavassy non si occupava del ritiro della merce. La Delegazione Apostolica riceveva i soccorsi della Santa Sede attraverso la Croce Rossa internazionale, e controllava l’operato dei “Focolai della provvidenza”. Ciano stesso, inoltre, si era occupato di controllare che il dono seguisse le strade stabilite, visto che il carico viaggiava su navi italiane, insieme agli aiuti provenienti dall’Italia. Secondo le indicazioni del nunzio a Berna, raccolte da Roncalli, le merci giunsero sane e salve a destinazione. Le allusioni fatte potevano essere spiegate con il fatto che il latte era arrivato molto tardi, precisamente con l’ultima spedizione alla fine di ottobre. Calavassy spesso aveva ricevuto diversi soccorsi alimentari dalle autorità italiane, fra cui anche del latte condensato per i bambini greci. Egli prendeva quanto le direttive italiane avevano stabilito spettasse ai “Focolai” e alla loro opera, lasciando il resto alle autorità d’occupazione. Quest’attività aveva potuto trarre in inganno qualcuno e stimolato delle polemiche, se si fosse creduto che i soccorsi non erano da parte dell’Italia, ma del Papa, e che una parte di questi venisse destinata alle truppe e non ai civili greci.
Roncalli toglieva d’impaccio la Santa Sede e dava una spiegazione razionale e verificabile, tanto che a queste polemiche non ne seguirono altre intorno agli aiuti. L’infondatezza delle denunce inglesi fu ampiamente dimostrata. Le illazioni britanniche seguivano le influenze di una logica propagandistica, tesa a screditare nuovamente le autorità di occupazione, ma  che metteva in pericolo l’esistenza stessa dei soccorsi alimentari. Questo pericolo fu sapientemente sventato dalla Santa Sede, che con la sua attività seppe garantire sia la vita di chi riceveva gli aiuti, che l’onestà di chi li organizzava.

 
2.5   La crisi politica in Grecia.

L’autunno e l’inverno 1942 rappresentarono un periodo estremamente buio per la storia militare dell’Asse. Le prime cocenti sconfitte si abbatterono sui tedeschi, che fino ad allora avevano primeggiato su tutti i fronti. Gli italiani, non essendo mai stati realmente soli nella vittoria perché molto spesso avevano ricevuto l’indispensabile aiuto tedesco, non potevano fronteggiare la guerra da soli.
La situazione presente in Grecia non facilitava le cose. Nonostante gli sforzi per risolvere la crisi finanziaria, le autorità italiane avevano dovuto accettare la risoluzione tedesca, che prevedeva l’invio di due “esperti” col compito di aiutare il governo greco a ristrutturare l’economia del paese. La decisione tedesca non aveva accontentato né gli italiani, né i greci, perché entrambi erano concordi nel ritenere la riduzione delle spese di occupazione l’unica soluzione possibile. Gli italiani avevano sperato che i tedeschi avrebbero lasciato fare a loro, disinteressandosi della Grecia e dei suoi problemi. Quest’idea era nata dal fatto che i tedeschi dicevano di considerare gli italiani i maggiori interessati nel paese. Le cose, tuttavia, non assecondarono le speranze italiane. Le autorità tedesche, ignorando il pericolo che un simile passo avrebbe avuto per la sicurezza del paese, e, quindi, per le stesse truppe di occupazione, rifiutarono di ridurre le spese o di rallentare l’andamento della costruzione delle opere pubbliche. Essi proposero, invece, i due “esperti” come la soluzione ideale per tutti.
Pochi giorni dopo l’arrivo di Neubacher e D’Agostino, Tsolakoglu, primo ministro greco, ribadì l’intenzione di ritirarsi. Ghigi più volte in precedenza aveva prospettato una simile eventualità, nel caso che le spese di occupazione non fossero state ridotte. Un’ulteriore crisi sarebbe stata difficilmente risolvibile in quel contesto. Il Presidente del consiglio greco aveva già mosso una simile minaccia, in quanto questa era l’unica arma di cui disponeva per poter cercare di smuovere la situazione, con qualche vantaggio per i greci. Tsolakoglu aveva manifestato le sue intenzioni anche ai due esperti, sottolineando la sua sfiducia nel provvedimento che li aveva posti in carica. Egli, in seguito, espresse il suo rispetto per il lavoro che essi avrebbero svolto, ma ribadì che gli era impossibile continuare a lavorare in quelle condizioni. Altenburg e Ghigi tentarono di dissuaderlo, ma invano.
Alla base del malcontento del premier greco c’era il suo disaccordo con alcuni membri del governo, fra cui il Ministro delle finanze Gotzamanis. Questi rappresentava una figura importante all’interno della vita politica del paese, in quanto il suo appoggio alle autorità di occupazione si era sempre espresso palesemente. Tsolakoglu, soprattutto con l’aggravarsi della situazione economica, finanziaria e alimentare greca, aveva cominciato a mostrare segni di distacco ed insofferenza per il vigile controllo dell’Asse. I due plenipotenziari tentarono comunque in tutti i modi di convincerlo a revocare la sua decisione, perché temevano le conseguenze che avrebbe potuto avere una simile presa di posizione. Ghigi, tuttavia, sembrava convinto che la decisione del primo ministro fosse definitiva. Per l’eventualità di una caduta del governo, le autorità di occupazione discussero la designazione di un successore di Tsolakoglu. Il futuro premier avrebbe dovuto collaborare con Gotzamanis, che non veniva affatto messo in discussione; si fecero alcuni nomi, fra cui quello di Rhallis, che era stato Ministro degli esteri e dell’interno, ed apparteneva allo schieramento filo-Asse. Il plenipotenziario, il Comandante delle forze armate italiane e D’Agostino consideravano il candidato proposto estremamente adatto al ruolo di primo ministro. Le trattative per la soluzione della crisi ministeriale, tuttavia, si dilungavano, perché Altenburg faticava ad avere le istruzioni necessarie dal proprio governo. La Germania e Neubacher, infatti, non erano convinti che la permanenza di Gotzamanis al governo, con la conseguente esclusione di Tsolakoglu, fosse la soluzione ideale per la politica greca. Roma era d’accordo con le proprie autorità in Grecia sia sulla scelta dei membri del nuovo governo, sia sulla considerazione che la crisi di governo non poteva più essere evitata. La Germania non la pensava in questo modo; il ritardo del Reich, nell’esprimere le direttive al proprio plenipotenziario, era spiegato con la diversità di opinioni sulla vicenda. I tedeschi non tenevano in alcun conto le difficoltà di collaborazione che avevano i due politici greci, dunque ritenevano assolutamente inaccettabile un cambiamento ministeriale. Il comportamento tedesco era, però, contraddittorio: essi dissero che qualunque decisione gli italiani avessero preso sarebbero stati disposti ad assentire.  Una settimana dopo aver ricevuto queste notizie dal Reich, ad Altenburg giunse un nuovo telegramma, nel quale Berlino dichiarava di essere contraria allo scioglimento del governo. Il plenipotenziario italiano sapeva che i tedeschi non tenevano conto dell’assenso di Altenburg alle dimissioni di Tsolakoglu. Il Reich sottovalutava l’incompatibilità che era nata fra il primo ministro e Gotzamanis, affermando che questi si era sempre dimostrato favorevole all’Asse. Il Presidente del Consiglio d’altra parte si stava rivelando ogni giorno più titubante ed incerto, soprattutto verso la repressione delle bande armate della resistenza, provocandone il rafforzamento. I tedeschi avrebbero dovuto considerare tutti questi fattori, ma sembravano troppo intenti ad evitare la caduta del governo, per poterlo fare. Lo stesso Comandante Geloso aveva rilevato la pericolosità dell’atteggiamento del premier verso i ribelli. Gli italiani dovevano far presente la situazione a Berlino, tentando di far capire al Reich l’inevitabilità di un nuovo governo greco. Altenburg era d’accordo con Ghigi nella scelta di Rhallis o di Logothetopulos come nuovi candidati, perciò stava al plenipotenziario tedesco convincere il proprio governo. Berlino continuava a dire che l’ultima parola spettava all’Italia, ma a questa si opponeva sempre.
L’opposizione tedesca e la paura che una crisi di governo non potesse risolversi facilmente spinsero nuovamente i due plenipotenziari a tentare di convincere Tsolakoglu a revocare la propria decisione almeno fino alla creazione del nuovo governo. Essi avevano chiesto al primo ministro uscente di non peggiorare la situazione, dunque di rinunciare al proposito di scrivere una nota, nella quale indicare le condizioni della sua permanenza. Tsolakoglu tuttavia scrisse la nota, nella quale, in cambio della revoca delle proprie dimissioni, chiedeva: l’allontanamento di Gotzamanis dal governo; la libertà di scelta dei propri collaboratori; la libertà di gestire le risorse alimentari; la possibilità di poter reprimere gli atti arbitrari, commessi dagli occupanti, a danno della popolazione greca; libertà di scelta per il governo di prefetti e sindaci; la possibilità di schierarsi contro la propaganda bulgara e tedesca in Macedonia; infine, di poter contenere le persecuzioni della Bulgaria contro i greci.
Queste richieste, che mostravano la durezza dell’occupazione italo-tedesca-bulgara e l’impotenza del governo del paese su questioni di notevole importanza, riguardavano il popolo greco ed i suoi diritti fondamentali. La denuncia di Tsolakoglu poneva in luce le difficoltà del governo greco, che non poteva far nulla senza subire l’ingerenza degli occupanti. Il governo apparve un vero e proprio fantoccio nelle mani delle autorità di occupazione. Il primo ministro uscente dichiarò la propria angoscia, nel vedere il suo popolo soffrire a causa della fame, delle persecuzioni bulgare, della propaganda anti-greca, senza poter fare nulla pur essendo a capo del governo. L’impossibilità di governare, sebbene fosse stato preposto a farlo, e i contrasti con Gotzamanis, che godeva del pieno appoggio degli occupanti, spinsero Tsolakoglu a dare le dimissioni. Egli scrisse questo documento, sebbene avesse la consapevolezza che le sue condizioni non sarebbero mai state accettate dagli italiani e dai tedeschi. Queste condizioni, infatti, erano in aperto contrasto con il protocollo firmato al momento dell’armistizio e della nascita del governo, e in disaccordo con gli interessi degli occupanti in Grecia. I due plenipotenziari, che avevano tentato di dissuadere l’ex Generale dallo scrivere la nota, biasimarono il suo comportamento. Essi scrissero che non era possibile mantenerlo al suo posto, pregando i propri governi di far sì che il suo allontanamento dal governo greco avvenisse al più presto.
In seguito alla nota di Tsolakoglu, Ciano mandò immediatamente chiare istruzioni affinché venisse sostituito da Logothetopulos. Il Ministro italiano chiedeva ai due plenipotenziari di scegliere i membri del nuovo governo “più adatti all’Asse”. Egli spiegò che avrebbe inviato istruzioni precise, non appena fossero giunte delle direttive anche dalla Germania. Le previsioni dei plenipotenziari Ghigi ed Altenburg si stavano traducendo in realtà: la nota di Tsolakoglu aveva rappresentato il suo allontanamento dal governo greco. Pochi giorni dopo il diplomatico tedesco ricevette le istruzioni attese da Berlino. Queste, riprendendo la decisione italiana, invitavano Tsolakoglu a lasciare il governo. La scelta di Logothetopulos, come presidente e vicepresidente del Consiglio, piacque ai tedeschi, che la approvarono.  Il Reich chiese al proprio plenipotenziario di ricordare il motivo di questa decisione a Tsolakoglu, che con la redazione della nota incriminata aveva trasgredito agli accordi stabiliti nel protocollo da lui stesso firmato. L’ex primo ministro e le autorità di occupazione stabilirono che la firma del decreto, per il conferimento dei poteri a Logothetopulos, sarebbe avvenuta il 18 novembre. Il premier uscente disse che non avrebbe mutato il proprio atteggiamento nei confronti dell’Asse, impegnandosi a collaborare con il nuovo governo.
Nei giorni seguenti a questi fatti gli italiani proposero ai tedeschi anche l’eventuale candidatura a primo Ministro di Rhallis, il cui nome era stato fatto all’inizio della crisi ministeriale. Egli non era mai stato preso in considerazione dai tedeschi, perché non godeva di buoni rapporti con i partiti locali. Rhallis non fu designato, con forte rammarico delle autorità italiane, che infine lo ritenevano migliore e più adatto dell’inesperto Logothetopulos. Questi formò il nuovo governo nel dicembre 1942, ma anche questo nuovo esecutivo non era destinato a durare.
 

2.5   Le sgradite sorprese di Roncalli.

Negli ultimi giorni di novembre il delegato apostolico ad Istanbul e l’uditore ad Atene continuavano a prodigavarsi, per difendere l’operato della Santa Sede e della Croce Rossa internazionale dalle accuse anglosassoni. Un fatto di notevole importanza , tuttavia, era sul punto di cambiare la situazione per tutti, tanto che persino la questione della fame in Grecia assunse contorni diversi. I greci avevano cominciato a considerare la loro situazione con occhi diversi, da quando era giunta la notizia della vittoria degli Alleati in Africa settentrionale, mentre le forze dell’Asse combattevano con forti perdite anche a Stalingrado. La speranza di poter essere presto liberati dal nemico rinasceva.
D’altra parte, il timore per ciò che poteva accadere agli abitanti italiani in Grecia era vivo fra i cattolici. Mons. Filippucci, arcivescovo cattolico di Atene, aveva predisposto dei possibili rifugi, soprattutto per religiosi, nell’eventualità che i greci, presi dall’euforia, si dimenticassero di quanto il Vaticano ed i suoi uomini avessero fatto per il paese e riprendessero le vecchie ostilità. Molti prelati, nobili del clero e nobili laici avevano fatto presente a Roncalli questi timori, nonostante la notizia di una liberazione vicina rendesse contenti anche loro. Egli, tuttavia, non era preoccupato come i colleghi. Egli temeva più che altro che le speranze greche fossero disilluse, come era già accaduto in passato. Il delegato pontificio registrava una grande euforia nei greci, molti dei quali, anche avvicinandosi alla Delegazione Apostolica, continuavano ad essere certi che la liberazione era vicina. In preda a questo stato di agitazione, in Tessaglia si erano verificate delle sommosse organizzate dalla resistenza.
La Santa Sede, con il suo operato, non si stava perdendo dietro questa psicosi collettiva. Roncalli scrisse che la Delegazione pontificia stava svolgendo il proprio lavoro di carità quotidiana con la tranquillità di sempre, soprattutto senza discriminazioni religiose, all’insegna dell’uguaglianza, che aveva caratterizzato l’attività pontificia fino a quel momento. Roncalli concluse la sua missiva scrivendo: “e’ il mistero di Dio che noi attenderemo, con sicurezza che nulla andrà perduto di quanto la Santa Sede, solo guidata dal precetto evangelico della carità, ha fatto sin qui e continuerà a fare sino alla fine ed oltre la fine”. Nonostante la situazione presentasse notevoli apprensioni per il futuro di tutti, il delegato era convinto che il lavoro svolto tanto sapientemente dalla Santa Sede in Grecia sarebbe stato ripagato. I cattolici non avrebbero dovuto temere la reazione dei greci, perché questi avrebbero ricordato la carità pontificia.
Le informazioni sulla guerra, che tanto avevano mutato gli atteggiamenti dei greci, portarono, però, delle sgradite sorprese. Roncalli poté notare che, sotto la suggestione di una prossima abbondanza portata dai liberatori anglo-americani, si erano aperti numerosi magazzini. Questi ultimi erano pieni dei più diversi generi alimentari, che, egli presumeva, vi erano stati nascosti. I negozi cominciarono a riempirsi, con l’indignazione del delegato apostolico e di molti altri, che fino ad allora avevano collaborato all’approvvigionamento del paese con enormi sforzi e molto lavoro. I prezzi di queste merci sul mercato erano molto più bassi rispetto a pochi giorni prima. L’abbondanza dei viveri sarebbe stata difficile da immaginare, in simili condizioni, solo pochi giorni prima. Roncalli capì che il cibo era rimasto nascosto anche durante il periodo di maggiore penuria. Una minoranza di greci aveva finto di soffrire la fame, speculando sulla vita della maggioranza.
L’olio aveva subito un ribasso di ventimila dracme l’oka, come anche la carne, mentre le patate e i fagioli erano calate di cinque e diecimila dracme rispettivamente. Non solo gli alimenti avevano visto i loro prezzi tanto mutati, ma anche i vestiti, le stoffe, le calzature, e molte altre cose.  Roncalli era stato convinto fino in fondo che i greci avevano sofferto la fame per diverse cause, fra cui l’impossibilità di far venire da fuori i viveri necessari. Il sequestro dei prodotti da parte degli occupanti era stato un altro responsabile dell’indigenza del paese. Egli, inoltre, aveva assistito al vertiginoso aumento dei prezzi, figlio di una grave crisi economica. Per tutto si era dato una spiegazione logica, ma l’improvvisa comparsa di questi beni poté spiegarla unicamente con il sospetto che “i Greci si arricchivano sul sangue dei loro fratelli”. Roncalli  apparve in questa situazione piuttosto amareggiato per ciò che avveniva nel paese, tuttavia non dimenticò di sottolineare che la maggior parte dei greci rimaneva fuori da questa speculazione, continuando a soffrire a causa della guerra. Certamente ciò mostrava un aspetto diverso della questione; la Santa Sede, seppur inconsapevolmente, si era lasciata ingannare da alcuni appelli d’aiuto e aveva forse favorito anche gli speculatori. Roncalli, che aveva vissuto da vicino la realtà della Grecia in preda la problema della fame, non avrebbe mai immaginato che dietro a negozi vuoti  e desolati si nascondessero magazzini assai riforniti, e ciò spiegava la sua dura reazione. Naturalmente, la scoperta di questo fatto non dava adito ad ulteriori allusioni sul cattivo funzionamento degli aiuti pontifici. Anche gli inglesi avevano spesso fatto leva sulla sofferenza dei greci, per accusare gli occupanti e diffidare degli aiuti umanitari. L’infamante scoperta confermava una volta di più l’inconsistenza delle accuse anglosassoni. Se c’era stato qualche aprofittatore in tutta questa situazione, questo era stato anche fra gli stessi greci e non solo fra gli occupanti.
Cosa poteva fare ora la Santa Sede? Come suggerì Roncalli, nonostante tutto non andava dimenticata la sofferenza dei numerosi greci, che penavano ancora per le condizioni di vita che la guerra imponeva. L’opera di assistenza e carità, per la quale il Santo Padre, il nunzio e molti altri si erano battuti, doveva proseguire: “poiché accanto a molti pescecani una moltitudine di poveri continua a vivere di stenti” .
 

Cap. 3   La fine dell’occupazione.
 

3.1 Una nuova crisi politica in Grecia.

Con la nascita di un nuovo governo per la Grecia, le autorità di occupazione speravano di poter assistere ad un miglioramento della situazione politica, economica e finanziaria del paese. La guerra aveva preso un andamento negativo per l’Asse, e si auspicava che, almeno nei territori già occupati, non ci fossero troppi problemi.
Il governo greco aveva versato alle forze dell’Asse trenta miliardi di dracme per le spese di occupazione, ma aveva dichiarato di non poter concedere più di dodici miliardi per il futuro, nonostante gli accordi stipulati. I due esperti stimarono che l’ammontare delle spese di occupazione di gennaio richieste dai tedeschi sarebbe stato di ben venti miliardi, mentre il Comando delle Forze Armate italiane avrebbe avuto bisogno di almeno otto miliardi. I conti non tornavano. Per il mese di gennaio si sarebbe presentato un vuoto finanziario di sedici miliardi; chi l’avrebbe colmato e come?  La questione finanziaria si proponeva nuovamente con le solite preoccupazioni, come avevano previsto sia gli italiani, che i greci al momento della scelta tedesca di designare i due esperti per risolvere la crisi finanziaria. Questo provvedimento, infatti, era stato preso senza diminuire in alcun modo le spese di occupazione, vere cause della crisi finanziaria. Ghigi scriveva: “ La situazione è di nuovo critica” , il governo rischiava una nuova crisi, perché non era in grado di poter prendere una decisione, né di trovare una soluzione soddisfacente. L’atmosfera era molto pesante perché, fra tutti questi problemi, emergeva la grave questione della resistenza degli “andartes”, i nazionalisti greci che puntavano ad annullare il rapporto di vassallaggio con l’Asse. Più gli andartes si rafforzavano più si indebolivano le istituzioni greche, italiane e tedesche. All’inizio dell’anno ci furono numerose fucilazioni sia a Salonicco, sia al Pireo. Geloso e Loehr, i due Capi delle forze armate tedesche e italiane in Grecia, confermavano lo stato di preparazione delle truppe, tanto per ribadire la situazione di allerta in cui si stava vivendo. La vita quotidiana di quel periodo in Grecia era estremamente dura per tutti. La popolazione civile viveva nella costante paura della repressione dell’Asse che, a causa degli attacchi degli andartes, si faceva ogni giorno più dura ed efferata.
Le autorità di occupazione, in preda alle preoccupazioni per le sorti della guerra, dovevano provvedere con nuove forze militari al mantenimento dell’ordine pubblico. Le risorse, tuttavia, divenivano sempre più scarse; la necessità che i soldati venissero impiegati su altri fronti era impellente, ma non era possibile allontanare altre forze dalla Grecia. Il pericolo di lasciare il paese in balia di una resistenza organizzata con le forze di liberazione albanesi, jugoslave, inglesi e forse russe, nemiche dell’Asse, era troppo grande.
Nel febbraio 1943 la VI armata tedesca si arrese a Stalingrado. La sconfitta era pesantissima per l’Asse, perché avrebbe permesso all’Urss di intraprendere la marcia verso ovest. Durante lo stesso periodo Ghigi si lamentò del contegno del governo greco, che non era all’altezza della situazione. Egli spiegò questo fatto dicendo che il governo era il risultato di un compromesso italo-tedesco, e come tale frutto di un’irrazionale scelta politica che mancava “di compattezza ed omogeneità”. Il plenipotenziario italiano rilevò come questi difetti si ripercuotessero nella gestione dell’ordine pubblico e della sicurezza collettiva del paese. I tedeschi avevano rifiutato la candidatura di Rhallis, che era stato un importante uomo politico con molta esperienza in merito alla gestione del governo. Gli occupanti avevano dato invece il proprio avallo a Logothetopulos, che non aveva molta esperienza politica, né capacità amministrative. Ghigi, inoltre, accusò il Ministro dell’interno di non possedere l’energia necessaria, per occuparsi delle questioni più importanti. L’incompetenza dei membri del governo si aggiungeva alle loro incomprensioni e ai dissensi, che nascevano a causa della diversa appartenenza politica. I membri del governo, infatti, appartenevano a due diverse correnti politiche in continuo antagonismo, quella repubblicana e quella monarchica.
Anche la riorganizzazione delle forze armate italiane proseguiva molto a rilento, a causa della crescente pressione delle bande armate. Queste si rinforzavano man mano che giungevano le notizie riguardo le sconfitte dell’Asse sul fronte orientale. La propaganda comunista si diffondeva sempre di più, perché le vittorie militari rendevano l’avanzata delle idee sovietiche, anti-fasciste e anti-naziste molto più facile nella penisola balcanica. Accanto alle idee bolsceviche c’erano quelle dei nazionalisti greci, duramente provati nell’anima e nel corpo dall’occupazione; la loro propaganda si affiancava a quella anglosassone. Molti soldati inglesi, infatti, durante la ritirata nella primavera del 1941, erano fuggiti sulle montagne greche insieme a ciò che rimaneva dell’esercito nazionale, organizzando le bande armate di resistenza. Gli inglesi avevano creduto fermamente che la Gran Bretagna sarebbe uscita vittoriosa dalla guerra, sconfiggendo il nazi-fascismo nel mondo, per liberare i popoli che ne erano stati oppressi. Essi avevano convinto i greci, che necessitavano di sperare nella fine della loro prigionia.
La Tessaglia era una delle regioni in cui la resistenza greca si era saputa organizzare meglio. Numerose volte, dall’autunno 1942, Ghigi comunicò che in quella zona c’erano stati degli scontri, che avevano impegnato le forze armate di occupazione. All’inizio del 1943 questi scontri si erano ripetuti molto ferocemente, soprattutto contro le forze italiane. Il Generale Geloso chiedeva l’appoggio del governo greco; egli riteneva che solo una repressione molto dura potesse arginare le rivolte, ma l’esecutivo del paese non era in grado di poter attuare simili misure repressive. Le truppe di occupazione italiane non avevano le risorse per poter continuare a difendersi. Nella seconda metà di febbraio si erano verificati degli attacchi alle questure e degli attentati ai gendarmi. La lotta armata si avvicinava sempre più alle città, rischiando di far scoppiare una guerra civile, che gli occupanti non potevano affrontare.
L’unico uomo in grado di poter fare qualcosa, secondo le autorità italiane, risultava Gotzamanis. Egli stesso desiderava divenire Presidente del consiglio, tanto che Ghigi propose di nominare Logothetopulos Capo di Stato e Gotzamanis primo Ministro. Questa proposta sembrava rappresentare la soluzione migliore per tutti, compreso il Generale Geloso. Con una simile sistemazione si sarebbero potuti risolvere gli scontri con le bande di andartes, perché il nuovo Presidente avrebbe attuato una linea più dura nei loro confronti; di ciò gli italiani erano certi, perché Gotzamanis era un uomo estremamente vicino a loro. Logothetopulos, inoltre, non sarebbe stato disonorato dalla scelta di un cambio al governo, perché gli si sarebbe offerto di diventare Presidente della Repubblica. Nessuno sarebbe stato offeso e non si sarebbero create delle divergenze fra politici, che erano pericolose in quel clima molto teso. Le idee di Ghigi vennero prese subito in considerazione da Bastianini, divenuto Sottosegretario agli esteri dopo il rimpasto governativo del 6 febbraio 1943, che vide l’estromissione dal governo di Ciano e di coloro i quali desideravano uno sganciamento dalla Germania. Bastianini esortò Mussolini ad attivarsi presso i tedeschi, perché anche loro prendessero in considerazione l’eventualità prospettata da Ghigi. Un simile progetto era giustificato dal fatto che la scelta di Logothetopulos era stata presa in fretta, era stata una “soluzione di ripiego”, dovuta allo scarso interesse dei tedeschi alla vicenda. La questione, però, stava avendo implicazioni sempre più gravi per la sicurezza del paese, dunque la Germania doveva essere informata per tempo, e sollecitata a prendere seriamente in esame la questione. Questi propositi dovevano essere mantenuti con la massima urgenza perché: “Anche la riorganizzazione delle forze di polizia greche sotto il controllo degli Ufficiali Superiori dei nostri Comandi procede a rilento_ scriveva Bastianini _ manca perciò un’azione di repressione e di protezione che spalleggi quella militare, tanto che la situazione concernente le bande armate si è aggravata” . Nonostante gli sforzi dei rappresentanti italiani, la questione del governo greco rimase insoluta ancora per qualche mese. Le  bande armate clandestine furono favorite dall’incertezza governativa del momento, mentre gli occupanti ne furono danneggiati.
I tedeschi erano oberati da molti  problemi politici e militari, vista la critica situazione delle truppe dell’Asse sul fronte orientale, mentre quella in Africa rischiava di precipitare da un momento all’altro. La Germania pose molte questioni in secondo piano, fra cui quelle politiche in Grecia. Il problema dell’incapacità del governo greco, tuttavia, era reale ed emergeva con forza, tanto quanto quello della resistenza. L’insoddisfazione delle autorità italo-tedesche per l’operato di Logothetopulos portò ad un nuovo cambio di governo in aprile. La scelta del nuovo capo dell’esecutivo cadde, secondo i desideri tedeschi, su Rhallis. Ghigi informò Mussolini dettagliatamente sulla nuova crisi di governo. Egli scrisse che il cambiamento ministeriale non era stato molto rapido, poiché esso aveva presentato le difficoltà sorte nelle precedenti crisi di governo. Ribadì che la scelta di Logothetopulos era stata il frutto di un faticoso compromesso, dovuto alle  divergenti opinioni tra le autorità tedesche e quelle italiane. Queste divergenze avevano rallentato molto la scelta del nuovo governo, aggravando la situazione con le bande armate e la crisi finanziaria. La decisione di nominare Logothetopulos ebbe luogo per giungere ad un punto d’incontro decisivo, ma il nuovo primo Ministro si dimostrò inesperto ed incapace di gestire la situazione. Ghigi sottolineò che nel nuovo governo Gotzamanis, personaggio molto vicino agli occupanti, non era riuscito ad avere molta influenza, nonostante le sue capacità. Logothetopulos con il proprio deplorevole comportamento era stato capace di creare dei contrasti persino con il metropolita di Atene e di alienarsi le simpatie di Altenburg, suo protettore fin dal principio. L’evidente incapacità del primo Ministro aveva avuto delle gravissime conseguenze per le autorità e per le truppe di occupazione. Sulla scia di una politica indulgente, infatti, le bande armate si erano rafforzate,  tanto da scontrarsi con le forze italo-tedesche. Tutti questi elementi si erano inevitabilmente sommati tra loro fino a far  scoppiare la crisi.
Gli italiani avevano più volte suggerito di nominare come primo Ministro Gotzamanis, ma i due incaricati d’affari non furono d’accordo su questa decisione. I tedeschi proposero la candidatura di Rhallis al governo, che avevano bocciato all’ultima crisi di governo. L’Italia considerava questo vecchio politico un “professionista”, così non fu difficile decidere la sua nomina al governo. La questione fondamentale, che il nuovo Consiglio dei Ministri greco doveva affrontare e cercare di risolvere con la dovuta fermezza, era quella degli andartes. Ghigi visse quei momenti con la speranza che la sconfitta delle bande armate diventasse l’azione prioritaria nella politica del governo.
 

3.2

.......
 

3.3 La gestione degli aiuti in Grecia tra sospetti e rivalità.

La distribuzione dei soccorsi si era svolta abbastanza tranquillamente durante tutto il periodo che va dalla primavera del 1942 a quella del 1943, cioè dall’inizio dell’arrivo in Grecia del grano canadese, svedese, degli aiuti dalla Svizzera e dal Vaticano organizzati dalla Croce Rossa e dalla Santa Sede. Le polemiche inglesi sull’inefficienza degli aiuti umanitari erano state immediatamente messe a tacere. Le autorità di occupazione, infatti, non interferirono mai con l’organizzazione dei soccorsi, né ci fu alcuna minaccia ad opera degli italiani o dei tedeschi che mise in pericolo i soccorsi. Queste ottime condizioni di lavoro non venivano dal nulla, ma dall’opera infaticabile dei diplomatici, dei politici e dei rappresentanti delle organizzazioni che combattevano per la salvezza dei greci.
Ma i cambiamenti delle sorti della guerra, stavano però mutando le condizioni di lavoro dell’amministrazione pubblica, degli apparati militari e delle istituzioni umanitarie. Gli occupanti della Grecia divennero sempre più sospettosi su ogni questione. In particolare, come era stato prima dell’inizio dei soccorsi, destava sospetti la presenza svedese nella commissione di controllo degli aiuti, dietro la quale le potenze dell’Asse ritenevano potesse celarsi lo spionaggio anglo-americano. Le diffidenze furono rafforzate da alcuni contrasti all’inizio di marzo del 1943 tra il delegato del governo svedese, Allard, e l’inviato del comitato internazionale della Croce Rossa di Ginevra, Burckardt. Questi fu mandato proprio per discutere con il collega l’organizzazione degli aiuti e la distribuzione del grano canadese in Grecia, ma sull’argomento i due ebbero alcune divergenze di opinione. I soccorsi, infatti, erano stati sottoposti al controllo di una commissione specifica, rappresentata da Junod, che aveva ricevuto l’approvazione sia delle potenze dell’Asse, sia degli anglo-americani. Gli svedesi, tuttavia, fin dai primi giorni di lavoro in Grecia, avevano cominciato a monopolizzare il servizio di distribuzione del grano nel paese. Gli occupanti, che erano molto diffidenti nei loro confronti, si erano allarmati, tanto che avevano considerato vane le assicurazioni svedesi sull’imparzialità del loro operato. Gli italiani avevano denunciato il fatto, ma la Svezia aveva tentato di rassicurarli ricordando che il trasporto del grano canadese in Grecia era attuato dalla Croce Rossa internazionale, regolato dalle convenzioni internazionali sul soccorso dei civili di guerra e controllato da una commissione di controllo.
Poco meno di un mese dopo l’inizio dei primi soccorsi, Allard aveva minacciato la sospensione degli aiuti. Egli rivendicava il diritto di decisione su ogni questione, diritto di cui godeva il Comitato dell’Alta direzione della commissione di controllo degli aiuti. Quest’istituto era presieduto dal Presidente del comitato di Ginevra, Brunel, composto  anche dai delegati della Croce Rossa italiana e tedesca e dal Presidente della Croce Rossa greca. La Svezia rientrava all’interno di un altro organismo, la Commissione di gestione dei soccorsi, il cui presidente era appunto uno svedese, Mohn. La richiesta era stata formulata da Allard, con l’intento di far avere maggiori poteri decisionali alla Svezia. Egli, infatti, proponeva che il diritto di poter intervenire sulle decisioni politiche, rafforzato dallo strumento del veto, doveva passare dal Presidente dell’Alta direzione al Presidente della Commissione di gestione, cioè dal ginevrino Brunel allo svedese Mohn.
La notizia di una simile richiesta allarmò le autorità di occupazione, che, dietro alla possibilità di un rafforzamento della componente svedese, videro nascondersi il pericolo dello spionaggio avversario. La preoccupazione era alta; Pietromarchi scrisse che gli italiani non potevano accettare gli aiuti alla Grecia a quelle condizioni, in quanto ciò avrebbe certamente favorito gli anglo-americani, che indisturbati avrebbero potuto inviare i propri uomini. Gli svedesi, che agli occhi degli italiani non meritavano alcuna fiducia, avrebbero potuto approfittare dei loro poteri, per coprire le eventuali spie, o avrebbero potuto essi stessi essere le spie degli anglo-americani.
Le sorti negative della guerra aggravavano queste preoccupazioni. La Grecia era un importante ponte tra il continente europeo e l’Africa, dove le potenze dell’Asse, soprattutto l’Italia, si stavano giocando la salvezza. Attraverso il Mediterraneo, e quindi la Grecia, passavano informazioni, direttive, viveri, rifornimenti militari e soldati diretti in Africa a rinforzare le truppe dell’Asse. Al contrario, dal continente africano venivano i soldati feriti, le notizie sull’andamento della guerra, le richieste specifiche su quanto e cosa mancasse o servisse per resistere. Il traffico concerneva un materiale troppo delicato, per poter essere sottoposto al rischio di essere intercettato. Un’intercettazione alleata avrebbe probabilmente comportato la fine immediata della guerra in Africa a danno dell’Asse, in quanto il vantaggio degli Alleati era già molto grande. Il rischio di un’eventuale disfatta era troppo grande da sopportare.
Gli occupanti non ammettevano un rafforzamento politico in Grecia di chi, come la Svezia, poteva essere collegato al nemico; essi, però,  titubavano all’idea di una sospensione degli aiuti. Paradossalmente, infatti, gli occupanti dipendevano anche dagli aiuti svedesi nell’approvvigionamento del paese. Questo era stato chiaro anche in passato, nonostante l’Asse avesse riscosso enormi successi militari su tutti i fronti. Quando la vittoria della guerra diventò più difficile da raggiungere per le forze italo-tedesche, mentre le difficoltà alimentari si facevano sentire forti anche in Germania dove il cibo era mancato meno che in tutti gli altri paesi, il bisogno degli aiuti svedesi divenne ancora più forte.
Il problema dell’approvvigionamento dei territori occupati, inoltre, rischiava di rendere ancora più esteso il fenomeno della resistenza. Se le popolazioni occupate, come quella greca, avevano di che mangiare e non vedevano messa in pericolo la loro vita si sarebbero mantenute tranquille; il vettovagliamento avrebbe fatto sì che i ribelli non costituissero un ulteriore pensiero per le autorità d’occupazione, che dovevano mantenere l’ordine pubblico. La fame minacciava la tranquillità dei civili, che avrebbero potuto rafforzare le bande armate degli andartes e la loro propaganda, aderendovi per protestare contro gli occupanti e la mancanza di cibo. Era facile comprendere perché gli occupanti avessero bisogno dell’opera di assistenza alimentare per la Grecia. Per questi motivi, pur rifiutando l’eventualità prospettata da Allard, non si doveva urtare diplomaticamente l’orgoglio svedese, ma tentare di allacciare un dialogo con i rappresentanti svedesi. Gli occupanti avrebbero dovuto convincerli a rimanere nell’ambito delle convenzioni internazionali, stabilite l’estate prima.
Le trattative in questa direzione si aprirono in breve, ma nel frattempo sorsero altri problemi relativi agli approvvigionamenti. I carichi che portavano il grano destinato alla popolazione greca viaggiavano a ritmi elevati, ma non abbastanza secondo i soccorritori, che avevano tentato più volte di intraprendere vie diverse per accelerare e migliorare il vettovagliamento. I loro progetti, però, incontrarono sempre il fermo rifiuto italo-tedesco di consentire ulteriori aperture o passaggi ai soccorsi. La moltiplicazione delle vie d’accesso avrebbe reso più difficile il controllo degli occupanti. Allard fece l’ennesima proposta alle autorità d’occupazione, proprio mentre erano state avviate le trattative sui poteri decisionali all’interno degli organi di controllo dei soccorsi. Alla metà del mese di marzo il rappresentante svedese chiese che il grano canadese avesse la possibilità di essere inviato anche attraverso altri passaggi, come Patrasso, Calamata, Valo e in un porto dell’Epiro. Gli occupanti, tuttavia, imposero il loro divieto allo scalo delle merci in quei luoghi. Lo sbarco era invece consentito al Pireo, a Salonicco e ad Heraklian, nell’isola di Creta. Questi ultimi scali erano stati usati dalla Croce Rossa fin dall’inizio dell’opera di vettovagliamento. Gli addetti ai soccorsi, però, non si arresero, e chiesero delle agevolazioni almeno nei trasporti via terra. Gli italiani furono pronti ad assentire a questa richiesta e diedero le assicurazioni necessarie, perché i trasporti terrestri fossero resi più facili, garantendo un approvvigionamento più efficiente.
A questo punto rimaneva ancora insoluta la questione sul trasferimento delle responsabilità decisionali all’interno dell’amministrazione dei soccorsi. Le notizie, riguardo la soluzione dei contrasti, giunsero il 18 marzo a Pietromarchi, che era a capo dell’ufficio per gli armistizi e i territori occupati. Egli comunicò al Sottosegretario agli esteri che, in conformità alle direttive date dagli italiani, non c’era stato alcun cambiamento degli accordi stipulati in precedenza. Benché a Ginevra si conoscesse già il contenuto dell’accordo fra il rappresentante del Comitato della Croce Rossa internazionale e Allard, nel quale si stabiliva che i rappresentanti della Croce Rossa internazionale venissero esclusi dai controlli in favore di un rafforzamento dei poteri della rappresentanza svedese, il patto fu sciolto . Pietromarchi informò, inoltre,  che gli accordi del maggio 1942 erano stati rafforzati, con soddisfazione sia di Burckard che di Allard. Bastianini, approvò questa linea due giorni dopo.
La positiva conclusione di questa vicenda contribuì ad allentare la tensione legata ad un problema gravoso, tanto quanto quello della crisi finanziaria e politica del paese. Le trattative fra gli organizzatori dei soccorsi e le autorità di occupazione si erano concluse in modo da garantire alla Grecia gli approvvigionamenti necessari per tutto il corso della guerra.
Nella polemica delle autorità di occupazione con i rappresentanti svedesi la Santa Sede non entrò in alcun modo. Era evidente che, in quel periodo, il Vaticano si stava interessando ad altri problemi, come quelli riguardanti le comunità israelitiche in Grecia.
 

3.4

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3.5 Un primo parziale bilancio della Santa Sede sugli aiuti alla Grecia e l’intervento a favore degli ebrei.

Nel marzo 1943 la Segreteria di Stato, in una nota, fece “il punto degli aiuti della Santa Sede in Grecia per le vittime di guerra”. La nota iniziava col riferire delle prime attività pontificie dell’agosto 1941, e finiva con l’organizzazione degli istituti di assistenza. Nel documento si faceva menzione di tutti i soccorsi concreti e dell’opera diplomatica svolta dalla Santa Sede in merito. La Segreteria di Stato si era riproposta di fare una sorta di resoconto di ciò che il Vaticano era stato capace di produrre in termini di beni materiali e attività diplomatica, in favore delle vittime della guerra in Grecia. La nota sulla Grecia rientrava nel progetto più ampio di un documento che avrebbe riguardato tutta l’opera di assistenza pontificia durante la guerra in Europa. Il momento storico in cui il documento nacque vedeva grandi cambiamenti: le sorti della guerra erano cambiate completamente; la supremazia tedesca non era più tale ed aveva lasciato il passo a quella degli Alleati; la Russia combatteva ormai al fianco degli anglo-americani; la resistenza comunista si rafforzava in tutta l’Europa; la questione delle persecuzioni ebraiche si imponeva sempre più forte. L’opera di carità pontificia si stava concentrando sempre di più intorno al problema ebraico. In Grecia l’interesse della Santa Sede per il problema della fame stava per essere superato da quello per l’olocausto. Forse per tutti o alcuni di questi motivi la Segreteria di Stato si ripropose di scrivere il documento facendo il punto di ciò che era stato fatto fino ad allora, visto che il presente, con tutti i suoi cambiamenti, rendeva il futuro pieno di incertezze.
Nel documento erano riportate le prime iniziative pontificie in favore della Grecia; queste erano state dirette principalmente ai bambini del paese con i primi soccorsi in latte, proveniente da Berna. Dopo il latte, la Santa Sede riuscì a reperire quindici tonnellate di cibi diversi e medicinali, tutti provenienti ancora dalla Svizzera. Questi soccorsi partirono per la Grecia nei primi giorni di agosto del 1941, quando la Santa Sede ebbe le prime notizie sulle condizioni alimentari dei greci.
I primi aiuti svizzeri furono seguiti dai contributi ungheresi. Da Budapest la Santa Sede inviò del grano, medicine e vitamine; lo stesso fu fatto dall’Italia, dove il Vaticano sollecitò la partenza di diversi generi di prima necessità. La nota riferiva che in favore della Grecia erano stati aperti negoziati in Turchia, Bulgaria e Romania, ma che questi non avevano dato i risultati sperati. Tra queste attività diplomatiche si faceva un accenno anche ai contatti con la Gran Bretagna tesi alla revoca del blocco; la Segreteria di Stato riconosceva che in quella vicenda era stato decisivo l’intervento americano.
Le attività diplomatiche si erano affiancate all’assistenza alimentare. Nell’autunno del 1941 erano stati istituiti i “Focolai della Divina Provvidenza”, che utilizzavano il grano ungherese; essi finirono mezzo milione di pasti costati otto milioni di dracme. Tra gli istituti più utili fu menzionato anche l’Ufficio informazioni che, nato anch’esso nell’autunno di due anni prima, aveva ricevuto cinquantamila messaggi in un anno di lavoro.
Tutte queste attività avevano avuto un enorme successo. La diplomazia aveva giocato un ruolo fondamentale, ma i soccorsi che essa garantiva sarebbero stati inutili senza le organizzazioni preposte alla loro distribuzione.
La nota riportava notizie anche sull’attività diplomatica del momento; essa si riferiva ad alcuni negoziati aperti con la Romania, grazie ai quali si sperava di poter reperire dei soccorsi. La Santa Sede, infatti, si era attivata presso il governo rumeno, con il fine di ottenere alcuni carichi di prodotti agricoli. La risposta dei rumeni doveva ancora giungere, ma si sperava che fosse positiva e che si potesse far fronte all’approvvigionamento greco di quei primi mesi del 1943.
Il primo parziale bilancio dell’attività della Santa Sede in favore della popolazione greca era del tutto lusinghiero. Ma esso testimoniava anche che quest’attività non si fermava, anche se la situazione in Grecia era migliorata molto. Gli avvenimenti che sarebbero intervenuti e che già caratterizzavano quel momento, però, avrebbero distratto la Santa Sede dal problema della fame nel paese. Il Vaticano non abbandonò la Grecia, ma si dedicò maggiormente ai problemi specifici di un “gruppo” di greci: gli ebrei. L’olocausto fu la tragedia nella tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Non sta  a noi occuparci nel dettaglio del dramma degli ebrei greci, ma dobbiamo tracciare un rapido quadro per rilevare come questo problema influì sull’atteggiamento della Santa Sede nella questione della fame in Grecia.
Il problema ebraico si era presentato in Grecia più o meno all’inizio di quell’anno. Le autorità italiane ne riferirono a Mussolini per la prima volta in febbraio. In quel periodo esse si stavano occupando della lotta contro le bande armate e dell’inefficienza del governo greco. I tedeschi prospettarono loro anche l’impegno di dover pensare al reclutamento e alla deportazione degli ebrei, ma questo compito sembrava troppo gravoso agli italiani, presi dagli altri problemi. Essi avevano ritenuto, inoltre, che un comportamento così ostile verso gli ebrei avrebbe provocato un malcontento generale, e questa era un’eventualità troppo pericolosa. Se si fossero minacciati dei cittadini greci ebrei, il governo probabilmente avrebbe fatto ostruzionismo, mentre gli occupanti avevano bisogno del suo appoggio nell’attività di opposizione agli andartes. Le stesse bande armate avrebbero potuto prendere il pretesto di queste deportazioni per nuovi attacchi e scontri. Inoltre, le risorse italiane necessarie all’organizzazione di un’ operazione di rastrellamento e deportazione, come quella progettata dai tedeschi a danno degli ebrei, non erano disponibili. Perciò gli italiani comunicarono di non essere in grado di provvedere ad una simile iniziativa.
Le resistenze italiane, che erano dovute a problemi politico-amministrativi, non certo a questioni di ordine morale, tuttavia non bloccarono il processo di rastrellamento e deportazione della popolazione ebrea. Gli ebrei greci, memori di quanto aveva fatto la Santa Sede per il loro paese nel momento più difficile della guerra, inviarono delle richieste di aiuto al Santo Padre. All’inizio della primavera Testa si fece portavoce di queste richieste. A Salonicco la situazione era diventata molto difficile per gli ebrei, molti si offrirono volontari per andare a lavorare in Germania, pur di non essere deportati nell’Europa dell’est; una simile richiesta fu accordata solamente agli ebrei di origine italiana. Come era successo per il problema dell’approvvigionamento alimentare, la Santa Sede si rivolse nuovamente agli italiani, sperando che nei loro territori i fatti accaduti a Salonicco non si ripetessero. In un primo momento le richieste pontificie vennero accolte, ma in quel periodo la nuova crisi di governo greca distolse gli italiani da questa vicenda.
Con l’aggravarsi della situazione militare dell’Asse il problema degli ebrei in Grecia si impose sempre più all’attenzione del Vaticano.
Gli alleati sbarcarono in Sicilia ed il 25 luglio il fascismo cadde; nei primi giorni di settembre il nostro paese firmò l’armistizio con gli alleati: gli italiani stavano per ritirarsi dalla guerra e tentare di cambiare fronte.
In Grecia le autorità di occupazione stavano preparando e predisponendo il paese per il cambiamento; tutti ormai sapevano che solo un miracolo avrebbe potuto far cambiare le sorti dell’Italia. La Santa Sede in Grecia continuava ad occuparsi dei problemi che affliggevano la popolazione israelitica. Le preoccupazioni per quello che sarebbe accaduto agli ebrei, una volta che gli italiani avessero lasciato il paese nelle mani dei tedeschi e dei bulgari, crescevano e superavano ormai quelle che la Santa Sede rivolgeva al problema della fame. Il Vaticano aveva contato su un certo atteggiamento di clemenza verso gli israeliti nei territori occupati dagli italiani, ma queste zone sarebbero state presto divise tra bulgari e tedeschi, rendendo la situazione per i non ariani molto più difficile, se non impossibile, da affrontare.
Questo atteggiamento di totale sfiducia nei confronti delle proprie capacità di persuasione verso i tedeschi appare palesemente da una nota del Segretario di Stato; Maglione la scrisse per chiarire la posizione pontificia verso gli ebrei in Grecia. Egli disse apertamente di non poter fare nulla per gli israeliti residenti nei territori occupati dai tedeschi, in quanto questi avevano già disposto ed eseguito tutte le misure contro in non ariani. La Santa Sede, in questo caso, poteva limitarsi ad ascoltare ciò che era avvenuto, senza poter intervenire. La disperazione per l’impotenza del Vaticano emergeva nelle parole del Segretario: “E poi, se non si è riusciti ad aiutare gli ebrei tedeschi e di altri paesi attualmente occupati dalle truppe tedesche, che si potrà sperare per la Grecia?”. Nonostante tutte le attività di sicuro effetto positivo attuate in Grecia, con l’influenza che la Santa Sede aveva saputo avere in un paese prevalentemente ortodosso, il Card. Maglione non poteva fare nulla per la sorte degli ebrei greci. L’incomunicabilità tra le autorità tedesche e la diplomazia pontificia era resa evidente da questo documento, in cui emergeva tutta l’impotenza del Santo Padre di fronte a certe questioni, collegate strettamente alla Germania. La nota, tuttavia, si concludeva con l’espressione di un impegno, con la quale il Segretario prometteva che il Vaticano avrebbe “continuato ad interessarsi” degli ebrei in Grecia e nel mondo, “pur prevedendo tante e tante difficoltà”.
Gli appelli degli israeliti in Grecia, appartenenti anche ad altre nazioni, continuavano a giungere in Vaticano attraverso l’uditore pontificio Testa. A metà luglio i rappresentanti della colonia ebraica spagnola in Grecia si fecero avanti con una supplica, nella quale chiedevano di non subire la stessa sorte dei loro correligionari di nazionalità greca, che sicuramente sarebbero stati deportati tutti. La Santa Sede si attivò sia presso il nunzio apostolico a Madrid, sia presso il Direttore Generale del Ministero degli Esteri spagnolo, Doussinague, perché ci fosse un intervento in favore di queste vittime e si permettesse loro di poter rientrare in patria. Il Direttore Generale spiegò che questi ebrei durante la guerra civile si erano schierati in favore dei comunisti, e, dopo la vittoria di Franco, erano espatriati all’estero. Nonostante le avversioni del passato, tuttavia, Franco avrebbe permesso un immediato rimpatrio, a causa della persecuzione cui questi erano sottoposti. La realizzazione di questo piano richiedeva diversi mezzi di trasporto e risorse, che mancavano; inoltre, questa risoluzione avrebbe incontrato l’opposizione dei tedeschi, e prodotto una divergenza tra il governo spagnolo e il “Joint Distribution American Committee”. Quest’organo giudaico era stato preposto all’assistenza degli israeliti, impegnandosi in tutti i casi analoghi, a pagare le spese per il trasporto degli ebrei di ritorno alla loro patria. I membri del comitato, però, avevano notato che il caso di questi ebrei era diverso, in quanto essi, prima di essere israeliti, erano cittadini spagnoli, dunque spettava al governo di Franco pagare le spese del loro rimpatrio. Quest’ultimo aveva risposto di fare già molto, permettendo agli ebrei di rientrare, perché in Spagna erano ancora vigenti le leggi dei Re Cattolici. Il governo spagnolo aveva manifestato la propria intenzione di superare queste divergenze, pur di permettere agli ebrei  spagnoli di far ritorno; esso aveva anche predisposto la loro ubicazione in zone diversificate, per prevenire in futuro l’opposizione organizzata degli israeliti contro il regime, come in passato. In Grecia, intanto, i tedeschi andavano avanti nella loro opera di deportazione e le notizie recate dagli ebrei spagnoli non erano molto confortanti. Esse, infatti, riferivano di un rastrellamento tedesco, riguardante i non ariani spagnoli posti in un campo di concentramento del paese, in attesa della deportazione. Il Governo spagnolo allora si affrettò a comunicare di non inviare gli ebrei né in Russia, né in Polonia, “perché si sa che questo equivale ad un scomparsa definitiva”. Quest’iniziativa, presa nonostante non si fosse ancora raggiunto un accordo con il “Joint Distribution American Committee”, sembrava porre la questione sulla via di una soluzione. La Santa Sede era enormemente soddisfatta, perché non si era data per vinta ed aveva continuato nella sua opera di assistenza.
L’attenzione della Santa Sede si era spostata da una questione che investiva tutti i greci, ad una più specifica. La fame era stata quasi sconfitta ed il paese, dal punto di vista alimentare, aveva subito rilevanti miglioramenti. Testa, tuttavia, invitò la Santa Sede a non abbandonare il problema, in quanto in alcune zone del paese il problema della fame non era stato ancora superato. Il problema degli ebrei, però, si imponeva come prioritario, e gli interventi della Santa Sede in Grecia di quel periodo tralasciarono, quasi completamente, il problema della fame.
Le vicende greche andavano complicandosi: l’amministrazione italiana stava per lasciare il paese, il governo greco minacciava nuovamente di dimettersi e la resistenza stava prendendo il sopravvento. La Santa Sede sarebbe tornata ad occuparsi delle vicende alimentari del paese solo dopo la sua liberazione.
 

3.4   Le valutazioni politiche di Testa sulla situazione generale della Grecia.

Benché completamente preso dalle vicende delle comunità israelitiche in Grecia, Testa non poté ignorare i cambiamenti, che quella primavera carica di eventi estremamente importanti portò anche in Grecia. In quel periodo, infatti, come abbiamo già ricordato, la guerra vide la vittoria schiacciante degli Alleati in Africa settentrionale, mentre le truppe dell’Asse si ritiravano in Tunisia e, in maggio, si arrendevano agli anglo-americani.
Testa ritenne, in vista di questi avvenimenti, di analizzare la situazione generale presente in Grecia, dopo molti mesi in cui l’attenzione della Santa Sede era stata puntata su problemi più specifici. Egli descrisse come i greci avevano passato tutto l’inverno ad attendere l’arrivo degli Alleati. Tale attesa si era rafforzata man mano che le notizie delle vittorie anglo-americane e sul fronte russo erano giunte. Dopo gli eventi in Tunisia “l’esaltazione ha raggiunto il massimo”, scriveva Testa, tanto che si cominciava a pensare al futuro, al ruolo politico della Grecia, alla sua sorte nella ricostruzione dopo tante distruzioni e sofferenze. L’uditore espresse le proprie preoccupazioni per questo misterioso ma splendente futuro, a cui sembrava essere prossimo il paese. Le sue ansie si concentravano sulla possibilità che il paese venisse liberato non solo dagli anglo-americani, ma anche dai russi, che stavano avanzando sempre più velocemente verso l’Europa centro-orientale. Questa avanzata militare era affiancata a quella ideologica, tanto che, scriveva Testa, il comunismo, rimasto latente in molti gruppi, stava coinvolgendo le bande armate degli andartes. Il rappresentante pontificio parlò delle correnti comuniste presenti nel paese, come di un cancro, che si insinuava tacitamente nelle carni del popolo, nascondendosi dietro i suoi valori tradizionali, come l’indipendenza nazionale. Questo male avrebbe mostrato solo alla fine, dopo aver seminato morte e violenza, il suo vero volto. Testa scrisse che i comunisti si stavano assicurando l’appoggio di molti greci che combattevano per la libertà dagli oppressori nazi-fascisti, con il fine di raggiungere la rinascita della loro nazione indipendente ed abbattere la violenza repressiva dell’Asse. Le correnti della resistenza avevano contribuito a creare una forte confusione all’interno del paese: da una parte c’erano gli andartes, i ribelli che combattevano sulle montagne; dall’altra i comunisti, sparsi un po’ dovunque, con la loro lotta e propaganda. Queste due forze man mano che si organizzavano erano giunte ad un accordo, tanto da unirsi e cominciare a combattere insieme, “per lo stesso scopo” . La resistenza si era rafforzata ed allargata a macchia d’olio in tutto il paese. Le zone, in cui più forte era la presenza dei ribelli, erano soprattutto quelle delle regioni montuose del nord: la regione dell’Olimpo e quelle confinanti con la Serbia e l’Albania, dove combattevano anche altri ribelli di diversa etnia, ma con uguali intenti nazionalistici e libertari, alimentati dalla propaganda comunista. La resistenza si era diffusa molto anche in Tessaglia, dove lo stesso Ghigi aveva riferito di numerosi focolai di rivolte e di scontri con le truppe italiane, e nelle montagne del Parnaso. Nelle zone dove i combattimenti erano più aspri, la sorte delle truppe, dei ribelli e dei civili era stata tristissima. L’uditore pontificio scrisse che molti soldati italiani persero la vita in questi contrasti; altrettanti furono fatti prigionieri; c’erano state “battaglie”, fra gli andartes e le truppe di occupazione nei luoghi dove erano effettuati rastrellamenti di ribelli, comunisti, ma, soprattutto, di ebrei. Naturalmente i combattimenti avevano portato i rapporti tra gli occupanti ed i greci ad inasprirsi sempre di più. “I morti sono sempre più numerosi, scriveva Testa, frequenti le rappresaglie contro villaggi e città accusati di favorire gli uni o gli altri, specialmente dura la sorte degli imprigionati sotto l’accusa di opposizione all’Asse, di spionaggio, di comunismo”.
Nelle terribili difficoltà che stavano attraversando le forze italo-tedesche, non solo all’interno della Grecia, ma su tutti i fronti dove la guerra si svolgeva, le autorità di occupazione ebbero l’idea di approfittare del fatto che tutti i conservatori nel paese criticassero negativamente l’operato dei ribelli, attivando una grande campagna di propaganda anticomunista. In quei giorni era cominciata una forte campagna di persecuzione a danno dei bolscevichi anche in Germania, per sconfiggere il malcontento e la sfiducia diffusasi a causa delle sconfitte del III Reich. Nel paese si era diffusa la propaganda comunista alimentata dalle vittorie militari dell’Urss. I tedeschi stavano facendo di tutto per contrastarla e per creare un capro espiatorio con il fine di distrarre gli animi dalle sconfitte dell’Asse e delle vittorie degli Alleati. La campagna anticomunista istigava tutte le forze europee a riunirsi e creare un fronte unico contro il bolscevismo. In Grecia gli occupanti attuarono la loro propaganda presso le organizzazioni e le persone più autorevoli; essi si attivarono presso le università, le personalità politiche, il Governo, gli alti prelati ortodossi, e lo stesso Damaskinos. Questi alti personaggi avrebbero dovuto influenzare in senso anticomunista il popolo, magari con delle dichiarazioni pubbliche. Nonostante gli sforzi delle autorità di occupazione e le numerose adesioni di coloro i quali  temevano il comunismo, la collaborazione a questo progetto non fu accordata. Il movimento comunista, infatti, si era legato troppo a quello nazionalista, che rispecchiava il desiderio di tutti i greci, non solo dei ceti popolari, di una liberazione dai nazi-fascisti e di una rinnovata Grecia indipendente.
Le vicende interne non mancarono di ripercuotersi sulla stabilità politica della Grecia. Testa riferiva della crisi governativa e della sostituzione di Logothetopulos, che non era stato in grado di accordare quell’appoggio, che in una situazione del genere gli occupanti si aspettavano. Testa considerava il nuovo governo Rhallis più rappresentativo del precedente; inoltre, egli nutriva una grande stima per il nuovo premier, che si dimostrava certamente più esperto dei suoi predecessori. L’uditore pontificio sperava che sia l’elemento della maggiore rappresentatività, sia l’esperienza del Primo Ministro, avessero prodotto un governo più attento alle esigenze del paese, e meno prodigo di servigi e favori per gli occupanti. Egli giudicò, però, impossibile che i civili potessero tenere in considerazione questo governo, poiché esso rimaneva comunque servitore degli italo-tedeschi. L’uditore credeva, tuttavia, che il nuovo governo sarebbe stato rispettato per l’utile attività amministrativa, l’unica che gli fosse concessa, che date le sue potenzialità avrebbe potuto mettere in atto. Testa sembrava guardare con favore a questo nuovo esecutivo, perché questo non si poneva come vassallo diretto degli occupanti, ma in una condizione di “tacita sopportazione dello stato attuale di occupazione”. Questa convinzione derivava dal fatto che il Presidente del Consiglio, nelle conferenze stampa fatte dopo la creazione del nuovo governo, non si era dichiarato in aperta collaborazione con le potenze dell’Asse in alcun punto del proprio programma. Il premier aveva asserito, però, di aver formato il governo con il consenso degli occupanti, ricordando che le condizioni attuali del paese erano state causate da “un regime tirannico” , i cui componenti non erano intenzionati a fare vera opera di governo.  Le forze dell’Asse dunque, conducendo la battaglia contro il bolscevismo, legittimamente pretendevano dai greci un atteggiamento non ostile o ostruzionistico. Rhallis concluse le proprie dichiarazioni con un pensiero per le categorie di lavoratori, operai, invalidi, ed un ammonimento per chi avrebbe minacciato l’ordine pubblico. L’attenzione del nuovo premier verso l’azione antibolscevica degli occupanti aveva una spiegazione. Secondo Testa, nel paese c’erano stati dei moti di protesta per la notizia di una prossima mobilitazione dei civili, che sarebbero stati portati a lavorare in Germania. Era proprio in seguito a questi fatti che il governo di Logothetopulos si era dimesso. Rhallis dunque aveva tentato di calmare la popolazione, tranquillizzandola sugli intenti unicamente antibolscevichi delle operazioni di polizia degli occupanti. In questo modo egli era riuscito ad evitare una vera e propria guerra civile con un enorme spargimento di sangue.
Le disposizioni delle autorità tedesche riguardo agli ebrei, tuttavia, non si fermavano. L’uditore prese ad affrontare questo gravoso problema, confrontando l’atteggiamento generale delle autorità tedesche, rispetto alle italiane. Le prime avevano condotto i rastrellamenti di Salonicco, a causa dei quali lo stesso Testa si era attivato due mesi prima. Le deportazioni erano proseguite, tanto che, al momento in cui scriveva l’uditore riteneva che a Salonicco non ci fosse più un solo ebreo. “Mi è stato detto che in queste ultime settimane ben quarantasettemila ebrei sono stati convogliati con treni espressamente preparati e nei quali venivano caricati e pigiati come pacchi di mercanzie. Ad ogni partenza di treno erano scene di orrore e di raccapriccio che si ripetevano”.  Le autorità italiane sembravano avere un comportamento meno duro nei confronti dei non ariani. Testa disse che gli unici ebrei rimasti nel paese erano quelli di origine italiana o comunque protetti dal Consolato Italiano. L’uditore, così come in precedenza Roncalli, notava un atteggiamento più malleabile ed umano delle autorità italiane, rispetto a quelle tedesche. Ancora una volta un rappresentante della Santa Sede sembrava confidare sul mito degli “italiani brava gente”. Molti israeliti chiesero a Testa di intercedere presso gli italiani, affinché le deportazioni fossero dirette verso l’Italia, dove erano disposti anche ad  assumere il titolo di prigionieri di guerra, pur di non cadere nelle trappole tese dai nazisti.
L’inclinazione benevola dell’amministrazione italiana si rivelava anche nei confronti dei greci ariani. “Gli italiani, civili e militari, diedero in genere prova di molta comprensione e si mostrarono piuttosto ben disposti alla clemenza e alla bontà; non sono mancate, è vero, alcune esecuzioni capitali e numerosi imprigionamenti, non sempre giustificati, nel complesso però, ed è opinione comune, l’Autorità italiana ha finito per rendersi almeno non odiosa”. La situazione dei ribelli rischiava, però, di cambiare le carte in tavola. L’uditore pontificio, infatti, poté visionare alcuni proclami, emanati dalle autorità italiane e dal governo Rhallis in quei giorni della prima metà di maggio. In questi bandi si chiedeva ai ribelli e a chi li sosteneva di arrendersi e di collaborare, smettendola con i loro combattimenti troppo gravosi per la stessa Grecia. Le autorità non contavano molto sull’efficacia di tali inviti, ma si trattava di una mossa temporeggiatrice in vista di un’azione militare offensiva contro gli andartes, prevista per il 20 maggio.
Il personale del Comando Superiore delle Forze Armate italiane era partito per Roma in quei giorni; alcuni dipendenti erano stati promossi a cariche superiori, come il Generale Geloso, che fu nominato Comandante Superiore delle Forze Armate dei Balcani, mentre al suo posto veniva posto il Generale Vecchierelli. Molti altri, invece, erano stati destituiti dai loro incarichi, perché erano stati scoperti a loro carico elementi di corruzione. Alcuni esponenti delle forze armate si erano invischiati in interessi ed affari non chiari e di dubbia onestà, oltre ad aver intrapreso attività di guadagno personale collegate al mercato nero; altri erano colpevoli di aver tollerato simili comportamenti, senza denunciarli. Insieme a questi cambiamenti, ci furono dei controlli ed arresti presso alcuni esponenti del mercato nero. Testa riferì anche di un collegamento troppo stretto fra molti italiani e donne greche. Queste ultime erano spesso collegate ai ribelli e allo spionaggio nemico, tanto che questi rapporti avevano creato non pochi problemi alle autorità occupanti. In quei giorni molte donne di Atene venivano arrestate e mandate a Roma.
Testa non volle entrare nel merito dell’autenticità di queste voci, seppure sembravano suffragate dai fatti. Egli tendeva a sottolineare come tutti questi cambiamenti ai vertici sia delle forze armate, sia nell’amministrazione, avevano delle conseguenze negative per la popolazione greca. I civili italiani, presenti nel paese, rimasero sconvolti da tanti stravolgimenti ed arresti. I cambiamenti che avvenivano sul fronte della guerra avevano ripercussioni anche all’interno della Grecia. In quei giorni di primavera, la psicosi generata dalla paura dello spionaggio aveva provocato le retate, gli arresti e la diffidenza generali. La situazione era determinata dall’andamento della guerra, che sfavorendo le forze dell’Asse le istigava ad eliminare tutto ciò che potesse rappresentare una minaccia o un pericolo. Sicuramente parte degli arresti era realmente motivata, ma quel tipo di psicosi collettiva aveva portato senz’altro anche ad arresti ingiustificati, frutto di pettegolezzi e voci di corridoio, alle quali si prestava volentieri orecchio con la speranza di debellare il male.
I rapporti con i civili greci andavano degenerando. La popolazione aspettava solo l’arrivo dei liberatori anglo-americani, che avrebbero sconfitto gli oppressori. Testa descrisse in quei giorni il clima di tensione e nervosismo, che era palpabile in ogni angolo del paese. Da una parte gli occupanti terrorizzati dal pericolo delle spie, che temevano fossero nascoste persino nelle organizzazioni per i soccorsi alimentari internazionali; dall’altra parte i greci, timorosi di poter fare anche solo una mossa che potesse essere indice di una certa familiarità con i ribelli o con il nemico e di essere arrestati. I morti, frutto di questo nervosismo, erano una realtà con cui imparare a convivere.
Le comunicazioni erano rese ancora più difficili da controlli spasmodici, alla scoperta del clandestino o dell’informazione segreta; ciò contribuiva a rallentare i traffici tra una regione e l’altra e tra le diverse province, comportando dei grossi ritardi e, dunque, dei danni ai soccorsi per il vettovagliamento del paese. Secondo Testa, la situazione alimentare nel suo complesso era migliorata, ma nelle isole e nelle province più povere le condizioni di vita erano ancora difficili. Bisognava continuare nell’opera di approvvigionamenti intrapresa, ma le difficoltà del presente ponevano seri problemi anche a quest’attività umanitaria.
Tutto quello che stava succedendo nel mondo e in Grecia, creava degli stravolgimenti politici, militari, amministrativi e nella vita quotidiana, tali da non poter essere più controllati o arginati. In soli cinque mesi dall’inizio dell’anno in Grecia erano successe tantissime cose diverse: il governo, appena insediato era caduto e, al suo posto, ne era stato creato un altro completamente diverso; era cominciata la deportazione degli ebrei, con l’incubo dei treni diretti ad est; la resistenza si era fatta sempre più pericolosa e condizionata dall’influenza comunista; i greci vi aderivano ribellandosi, dopo due anni di sopportazione, alla tirannia degli occupanti; la campagna antibolscevica aveva portato gli arresti, i rastrellamenti, le esecuzioni, comuni in tutta Europa; la guerra stava cambiando le carte in tavola e i sentimenti di demoralizzazione dei civili si tramutavano in speranze per il futuro. La Santa Sede rimaneva un punto fermo per i sofferenti, ma cosa le rimaneva da fare _ si chiedeva Testa_ per alleviare le pene delle vittime della guerra? Testa: “ Restiamo _ scriveva_ ora ad attendere gli avvenimenti con le stesse disposizioni finora mantenute di fare cioè quanto dipenderà da noi per alleviare, in nome del Santo Padre e della carità cristiana, il più possibile di sofferenze”.
 

3.5

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3.6    L’Italia lascia la Grecia.

Le autorità di occupazione italiane cominciarono a prepararsi ad abbandonare la Grecia nel luglio 1943. L’amministrazione tedesca, di contro, rafforzò i propri presidi e accentrò l’amministrazione. I contingenti bulgari furono preparati ad entrare nel paese per l’8 luglio a Salonicco, in parziale sostituzione dei tedeschi. L’arrivo dei bulgari non costituì una buona notizia per i greci. Nei territori già occupati dalla Bulgaria, i greci, infatti, avevano subito una dura persecuzione, tanto che la maggior parte di essi fu espulsa nei territori che rimanevano sotto l’amministrazione greca. Molti greci morirono durante le persecuzioni e i rastrellamenti, che furono estremamente violenti; altri furono uccisi perché si opposero ad una simile oppressione. I bulgari avevano saputo attivare anche una propaganda denigratoria contro i greci ed il loro spirito nazionalistico, rendendo la loro presenza sempre più odiosa. Alla base di questi violenti comportamenti c’erano le rivendicazioni territoriali e nazionalistiche, che da sempre avevano opposto i due paesi. Era facile comprendere lo stato d’animo dei greci, al pensiero che la Bulgaria stesse per estendere la sua occupazione.
Il Primo Ministro Rhallis minacciò più volte di dimettersi con le autorità italiane, che stavano predisponendo la loro evacuazione, e tedesche, che si stavano preparando ai cambiamenti annunciati. Il premier si faceva portavoce delle preoccupazioni e dell’indignazione del suo popolo, in vista dell’entrata delle truppe bulgare. Egli ribadì a Ghigi le proprie intenzioni, quando seppe che Altenburg aveva approvato il nuovo schieramento delle truppe bulgare in Grecia. Il plenipotenziario italiano tentò di dissuadere il premier dal prendere questa decisione, e questi decise di soprassedere. L’intervento del plenipotenziario riuscì positivamente; infatti, due giorni dopo Alfieri, ambasciatore italiano a Berlino, scriveva: “Rhallis rimane al potere, siamo positivi sullo sviluppo della crisi”.
La crisi ministeriale sembrava sventata, tuttavia altri problemi si presentavano sulla scena politica greca. La resistenza dei partigiani si faceva ogni giorno più forte, estendendosi in tutte le regioni del paese. Le autorità italiane cominciarono a comunicare con quelle bulgare, per riuscire a superare il problema. La Bulgaria, infatti, stava cominciando a rappresentare per tutti i partigiani comunisti un ponte, attraverso cui le informazioni, i rifornimenti e gli uomini, potevano passare dalla Russia all’Europa occidentale. Questo traffico  era stato allestito soprattutto tra la Russia e i Balcani, ma ora ne usufruivano anche i partigiani comunisti greci. La Bulgaria aveva tutto l’interesse a sconfiggere questa nuovo canale di comunicazioni sia perché questo aggravava la propria situazione interna, rafforzando e coadiuvando l’azione dei partigiani  bulgari, sia perché il problema si presentava con violenza anche in Grecia, dove loro sarebbero andati ad occupare dei presidi. Babuscio Rizzo, Capo di Gabinetto italiano, scrisse in proposito a Mameli, ambasciatore italiano in Bulgaria, riferendogli  informazioni riguardo la resistenza greca e i suoi partigiani, con il compito di fare indagini. Egli riferì che i ribelli greci, ormai definiti tutti indiscriminatamente comunisti, combattevano soprattutto nella regione della Tessaglia e nel Parnaso orientale. L’organizzatore di queste bande corrispondeva al nome di Zacharaddea, il quale sembrava comunicare con Mosca  attraverso la Bulgaria.
Nel frattempo i preparativi per la sostituzione delle truppe italiane con quelle bulgare proseguivano. Altenburg e Ghigi avevano incontrato ancora il primo Ministro greco, il quale aveva detto loro che avrebbe atteso ancora prima di dare le dimissioni, nonostante l’entrata in Macedonia delle truppe bulgare avesse destato una profonda commozione ed un grande disagio nel paese. Sistemata la questione governativa, Altenburg inviò Parisius, Capo degli affari e  dell’amministrazione civili, presso il Comando delle Forze Armate tedesche di Salonicco, per accordarsi con Rhallis sulle nuove modalità di organizzazione della zona. Rhallis fece in proposito delle richieste a Parisius e i tedeschi, in risposta, mandarono un comunicato, nel quale lo mettevano al corrente dei loro progetti. Questi ultimi prevedevano il rafforzamento delle truppe d’occupazione del paese, per affrontare e sconfiggere la resistenza; in proposito le truppe bulgare sarebbero state sistemate ad est del fiume Axeos, per controllare Salonicco e dintorni. Il Comando militare tedesco sarebbe stato rinforzato, insieme all’apparato poliziesco, nelle regioni dove la Bulgaria sarebbe stata assente; i tedeschi chiedevano ai greci di rimanere tranquilli e di collaborare. Il momento era fra i più difficili e drammatici della storia greca durante la Seconda Guerra Mondiale, tanto che Rhallis ebbe dei contrasti con Tzironicos, un altro membro del governo, ma l’opinione pubblica greca non era più interessata alle vicende legate al proprio governo. I greci sentivano il governo del paese molto lontano dai loro problemi e dalla loro realtà. L’esecutivo greco era stato messo in vita per le esigenze delle autorità di occupazione, nemiche della Grecia. I suoi rappresentanti non erano stati scelti dal popolo, ma dai suoi stessi avversari; le azioni governative non tenevano in alcun conto i bisogni dei civili, e, se lo avessero fatto, non sarebbero stati comunque in grado di provvedervi. Questo governo doveva combattere i partigiani, cioè gli stessi greci che combattevano per l’indipendenza della loro patria e per i diritti di cui avrebbero beneficiato gli stessi membri del Consiglio dei Ministri. Mentre il premier e i ministri accondiscendevano alle richieste di sfruttamento ed oppressione degli occupanti, i partigiani morivano in nome della loro libertà. Il governo Rhallis si era dimostrato sin dal principio migliore degli altri per l’efficienza, la maggiore attenzione che aveva mostrato nei confronti dei civili, le proprie capacità di saper mantenere tranquilla la popolazione, ma per i greci si trattava pur sempre di un fantoccio nelle mani degli occupanti. La popolazione greca era interessata agli sviluppi militari degli Alleati, alla loro avanzata nel Mediterraneo, ai loro successi contro l’Asse, ma erano anche preoccupati per l’arrivo dei bulgari nel paese e per le conseguenze che ciò avrebbe comportato. Molti greci combattevano per la resistenza, altri vi collaboravano marginalmente, alcuni la deprecavano, ma tutti erano impegnati in tutt’altre vicende, più importanti rispetto ai problemi del governo. Quest’ultimo attraversava un periodo di grande fragilità; i cambiamenti, che dovevano sconvolgere il paese, avevano provocato una nuova crisi.
I preparativi per un cambio amministrativo e militare, intanto, continuavano; la situazione delle truppe italiane in Grecia, però, diveniva precaria. Neubacher riteneva la caduta di Mussolini e la formazione del governo Badoglio responsabili dello stato di disfacimento morale e organizzativo dei militari. Lo stato d’animo delle truppe italiane per Neubacher era preoccupante: “Si nota una generale stanchezza, insoddisfazione, manifestazioni di un affratellamento con il popolo greco, ed un’opposizione generale alla guerra”. I tedeschi erano molto preoccupati per ciò che avveniva; l’atteggiamento dei soldati italiani lasciava pensare ad una volontà di diserzione,  ma anche all’eventualità di unirsi ai partigiani. Quest’ultima ipotesi costituiva una minaccia per i tedeschi, in quanto i soldati italiani possedevano ancora le armi, e c’era un vago pericolo che queste potessero finire in mano ai partigiani greci. L’atteggiamento dei soldati italiani era comprensibile: essi avevano pian piano perso fiducia in tutti quei valori, ai quali erano stati educati; Mussolini ed il fascismo erano caduti, distruggendo l’illusione di una grande Italia, dominatrice dell’Europa; l’Italia stava combattendo una doppia guerra, da cui sarebbe comunque uscita sconfitta. Mentre la truppa italiana doveva affrontare una nuova realtà, era possibile che Neubacher avesse esagerato un po’ nella sua versione dei fatti. I tedeschi si sentivano minacciati da ciò che avrebbe potuto succedere, perché le decisioni italiane erano contrarie ad ogni loro interesse. Le trattative tra italiani e tedeschi per una nuova sistemazione amministrativa in Grecia, tuttavia, continuavano. La Germania avrebbe optato per un trasferimento di poteri all’autorità militare tedesca, che avrebbe collaborato strettamente con Neubacher. I tedeschi avrebbero rafforzato unicamente l’apparato militare, senza badare molto ai problemi amministrativi, in quanto il loro unico fine, da allora alla fine della guerra, sarebbe stato quello di sconfiggere i bolscevichi ed eliminare gli ebrei. I tedeschi volevano assicurare alla Germania un controllo diretto della penisola ellenica, per fare ciò da tempo era cominciata l’affluenza delle truppe greche presso le zone di occupazione italiane. Le truppe italo-tedesche, dal punto di vista operativo,  erano agli ordini del Comando tedesco, capeggiato dal Generale Lohr; anche il Generale Vecchierelli, Comandante delle Forze Armate italiane, era ai suoi ordini. Era chiaro che in Grecia non sarebbe rimasta traccia degli italiani, nonostante alcune questioni amministrative e giudiziarie rimanessero insolute, come l’amministrazione separata delle isole Ionie e delle Cicladi.
Alla fine di agosto alcuni rappresentanti italiani si riunirono a Roma per un incontro interministeriale sulla situazione greca. L’Italia era alla vigilia della firma dell’armistizio. Il Presidente della riunione era Pietromarchi, mentre fra gli altri partecipanti  c’era anche Ghigi. Lo scopo di tale incontro era la discussione sui mutamenti intervenuti in Grecia. Il plenipotenziario Ghigi intervenne, dicendo che i tedeschi avrebbero potuto assumere i pieni poteri nel paese, ponendosi al posto dello stesso governo greco. Egli riferì che essi avevano l’intenzione di sopprimere l’Ufficio politico, per lasciare attivo solo quello economico. Gli italiani avevano più volte chiesto ai tedeschi se erano disposti a lasciare qualche zona sotto l’amministrazione italiana, ma essi avevano sempre eluso la domanda; quindi agli italiani rimase il dubbio di chi si sarebbe assunto i poteri decisivi in Grecia. Il silenzio della Germania e la preparazione tedesca ai cambiamenti, che stavano per sopraggiungere, lasciavano presagire una risposta negativa al quesito italiano.
I problemi più urgenti che la riunione affrontò in vista dell’evacuazione italiana erano i seguenti: la sistemazione degli ebrei italiani nel paese da non abbandonare ai tedeschi, che li avrebbero immediatamente spediti nei campi di concentramento dell’Europa nord-orientale determinandone la scomparsa; i trasferimenti degli italiani presenti nel territorio greco , le modalità del trasporto e le risorse occorrenti; liberare i detenuti, relegati nei campi di concentramento costruiti in Grecia, e i prigionieri di guerra che non avevano più motivo di essere tali. Una volta esaminate queste questioni, si passò a problemi militari, soprattutto si tornò ad affrontare la questione dei rapporti italo-tedeschi. La Germania negli ultimi tre mesi, cioè per tutta l’estate del 1943, aveva lavorato per rafforzare la propria amministrazione militare, imponendo la sua assidua presenza in molte zone, anche italiane. I tedeschi avevano creato una sorta di occupazione mista in alcune regioni greche: come nel Peloponneso, in Attica ed ad Atene. Tuttavia nel rapporto sulla riunione stilato per il governo, Pietromarchi sostenne di doversi dissociare dalla politica tedesca, perché era necessario lasciare un buon ricordo dell’amministrazione italiana ai greci, anche se l’Italia avesse dovuto abbandonare completamente il paese senza governarne alcun territorio. Con questi propositi l’Italia lasciava la Grecia, dopo ventotto mesi di occupazione, molta sofferenza e tante difficoltà. I Comandi tedeschi della Grecia del nord, cioè quello della regione di Salonicco, e del sud, cioè di Atene, furono unificati formando un unico Comando che avrebbe collaborato con il Comando dell’isola di Creta. La Germania rimaneva così la potenza indiscussa in Grecia. La Grecia si era liberata della spiacevole presenza italiana, ma la strada verso la liberazione era ancora lunga.
 

 3.6   La fine dell’occupazione tedesca.

L’occupazione tedesca, è noto, fu tutt’altro che clemente, nei confronti di una popolazione già estremamente provata. Nel periodo dell’occupazione tedesca, che durò fino all’autunno del 1944 nella maggior parte dei territori greci, la Germania si servì dell’aiuto bulgaro per sedare la resistenza. Nell’estate del 1943 i tedeschi annunciarono che, per ogni loro soldato morto, ci sarebbero stati cinquanta greci fucilati; quest’ordine fu eseguito in diverse occasioni ad Atene. Nei villaggi la repressione era più dura, rispetto alle città; molte case, dopo l’uccisione dei loro proprietari, furono bruciate, tanto che un’indagine americana effettuata dopo l’occupazione stabilì che, durante l’occupazione, un quarto delle case fu danneggiata. La resistenza comunista rappresentava una questione da tenere sotto controllo anche per la Santa Sede. All’inizio del 1944, Godfrey, nunzio apostolico a Londra, manifestò delle forti preoccupazioni per l’avanzata del movimento comunista in Grecia, sia ad opera della resistenza stessa, sia a causa delle vittorie militari dell’Urss e della sua espansione nell’Europa dell’est. Questo tipo di preoccupazione, come dimostrano le valutazioni di Testa, si era già manifestato in precedenza, ma in quel momento certamente si faceva più vivo. Il problema si presentò sempre più forte nel paese, man mano che le vittorie degli Alleati avvicinavano il momento della liberazione. Nel mese di settembre alla Santa Sede giunsero notizie sul timore degli stessi greci, per la vicinanza dell’Armata Rossa e per le sue conseguenze per il paese.
La lotta dei tedeschi contro i partigiani greci fu condotta sulla base della convinzione che i ribelli fossero legati all’Urss; dunque essa rientrava nella strategia di lotta al bolscevismo divenuto ormai il nemico numero uno. Quest’idea però si dimostrò errata, infatti la leadership comunista greca si collegò direttamente agli interessi russi unicamente dopo l’estate del 1944, quasi al termine dell’occupazione. La lotta era condotta dai nazionalisti greci, che si erano uniti ai comunisti, per combattere un unico nemico: gli occupanti italo-tedeschi. Tuttavia, non fu certamente questo disorganizzato gruppo di ribelli, il cui operato risentiva delle influenze esterne e dell’andamento generale della guerra, a cacciare i tedeschi dal paese. Il bolscevismo da una parte e la propaganda anglosassone dall’altra non resero i ribelli così forti da poter condurre da soli una campagna vittoriosa contro le forze germaniche. L’evacuazione tedesca fu provocata dall’avanzata delle armate russe nei Balcani attraverso la Romania e dalla progressiva conquista alleata dell’Italia. Inoltre, il fatto che la Grecia non ricoprì più un ruolo centrale nella strategia di guerra fu un vantaggio inaspettato per la lotta contro al fame. Godfrey, delegato apostolico a Londra, definì la situazione della Grecia eccezionale rispetto ad altri contesti europei, in cui si presentava altrettanto forte il problema della fame. L’eccezionalità greca derivava dal fatto che la posizione geografica del paese non creava giovamento o vantaggi particolari all’Asse nel contesto delle operazioni militari. Questo fatto aveva contribuito all’atteggiamento indulgente degli inglesi, che avevano da ultimo permesso ai soccorsi di giungere più abbondantemente nel paese. L’eccezionalità della situazione politica e militare  aveva quindi provocato un comportamento positivo da parte della Gran Bretagna e degli Stati Uniti nei confronti della questione del passaggio dei viveri in Grecia. I greci inconsapevolmente dovevano la loro vita agli interessi militari, che ormai si erano spostati su fronti diversi rispetto al Mediterraneo.
In poco più di un anno di occupazione tedesca nel paese si avvicendarono tre diversi governi, che, con i loro organi, servirono gli interessi degli occupanti, collaborando al loro operato. La lotta alla resistenza fu talmente dura, che i civili stessi ne subirono l’efferatezza. Furono presi alcuni provvedimenti, come le punizioni esemplari, le fucilazioni in piazza, l’incendio della casa di chi si sospettava collaborasse con gli andartes, tutto per scoraggiare ulteriori rappresaglie contro gli occupanti. Queste severe misure repressive, però, non servirono a molto. In Grecia dunque si continuava a morire e a soffrire. L’autunno del 1944 fu caratterizzato dalla paura dell’avanzata comunista e dai preparativi per l’evacuazione dei tedeschi. Testa descrisse l’atmosfera di trepidazione, che si respirava fra i greci, in quei giorni, perché si sapeva che gli Alleati sarebbero sbarcati nel paese da un momento all’altro. Insieme ai festeggiamenti, alle manifestazioni nelle piazze e per le vie delle città, condotte dai partigiani “alla maniera greca, cioè senza ordine e controllo”, si affermava una fiera condanna dell’occupazione italo-tedesca. I greci manifestavano tutte le loro rivendicazioni e risentimenti, per un’occupazione troppo onerosa, irrispettosa dei bisogni reali del popolo greco, sanguinosa e rovinosa per la Grecia e per i suoi abitanti. In questo clima i tedeschi preparavano l’uscita dalla Grecia. Gli uomini e le armi venivano caricati su treni diretti verso il nord d’Europa, mentre il resto prendeva il mare o altre strade. I greci stavano ben attenti a non creare disordini, che avrebbero potuto provocare la reazione dei tedeschi, tuttavia ciò non fu sufficiente ad evitare le distruzioni, che, immancabilmente, colpirono alcuni porti, aeroporti, ed impianti di altro genere.
La fine dell’occupazione tedesca fu segnata da alcune tappe fondamentali: il 6 giugno 1944 l’operazione Overlord cominciava la liberazione della Francia; tra agosto e settembre la Bulgaria, insieme ad altri alleati della Germania, firmava l’armistizio; in ottobre gli inglesi sbarcavano in Grecia. La popolazione greca poteva considerarsi liberata nell’autunno 1944, tuttavia, fino alla resa della Germania, il 7 e l’8 maggio 1945, alcune isole dell’Egeo rimasero sotto il controllo delle truppe tedesche. Al momento della liberazione la situazione era estremamente disordinata, la polizia e la forze partigiane monopolizzavano il controllo del paese, che versava in condizioni alimentari molto difficili. Inoltre mancava l’acqua e la luce, perché gli impianti elettrici e gli acquedotti erano stati distrutti, in parte dai tedeschi nella ritirata, in parte dalla resistenza e dagli anglosassoni durante i combattimenti. Testa scrisse che “la situazione è difficile per tutti”: i generi di prima necessità mancavano, la fame era ricomparsa già da alcuni mesi, ma il caos e l’anarchia generali non facevano che peggiorare la situazione. La liberazione non apriva il periodo di pace, benessere e tranquillità sociale che tutti immaginavano, ma dava inizio ai combattimenti e alle dispute tra le diverse frange della resistenza e la polizia. Anche il governo, capeggiato da Papandreu, sembrava avere un destino incerto, per la volubile volontà delle organizzazioni partigiane. La Santa Sede non era riuscita a mettersi in contatto con il primo Ministro, né con altri personaggi del governo, tanto era il disordine di quel momento. Attraverso l’uditore pontificio, il Vaticano apprese delle difficili condizioni del paese e il delegato apostolico a Washington, Cicognani, in previsione dell’annuale appello per la colletta generale, chiese ulteriori “informazioni e notizie sulle misere condizioni e i bisogni delle nazioni vittime di guerra”. Tra queste nazioni c’erano la Francia, il Belgio, la Grecia, ma soprattutto l’Italia. La Grecia era considerata una delle nazioni che più aveva subito la guerra, ed il suo popolo era ritenuto vittima di guerra. Il Vaticano non dimenticò le sofferenze dei greci, alle quali aveva cercato di dare conforto con tutti i mezzi possibili. Nelle testimonianze raccolte, tuttavia, la Grecia stessa, quando si trovò a rammentare la fame durante l’occupazione, omise di indicare l’aiuto della Santa Sede fra quelli determinanti alla sua salvezza. All’inizio del nuovo anno la Grecia non era più la vittima innocente delle oppressive forze nazi-fasciste, ma la sua fame, i suoi problemi e le sue difficoltà venivano comunque prese in considerazione dal Vaticano, che si proponeva nuovamente di aiutare il paese. L’opera di carità cristiana andava, dunque, oltre la guerra, per guardare anche alle sue conseguenze e al futuro incerto che si presentava.

 
  Conclusioni.

I documenti relativi all’operato della Santa Sede in Grecia in favore delle vittime di guerra si fermano con la fine del conflitto. Non sappiamo, dunque, se e come il Vaticano continuò la sua opera di assistenza, né abbiamo delle statistiche o ricerche ufficiali che possano quantificare i benefici apportati dall’opera del Santo Padre e dei suoi collaboratori alla popolazione greca. Dalla nostra ricerca, tuttavia, crediamo emerga una descrizione sufficiente dei risultati ottenuti dall’attività assistenziale della Santa Sede per risolvere il problema della fame in Grecia durante la Seconda Guerra Mondiale. La Santa Sede cercò di operare al di sopra delle parti, tentando di superare le difficili controversie del momento per aiutare la popolazione greca.
Le condizioni alimentari della popolazione si presentarono gravi sin dai primi giorni dell’occupazione italo-tedesca-bulgara; la guerra aveva debilitato il popolo greco; inoltre, gli occupanti avevano sottoposto i porti, fonte di pesca e commerci, a severi controlli; il turismo era sparito; la Tracia non produceva più grano per la Grecia. Le requisizioni degli occupanti si aggiunsero a tutto ciò; per far fronte ai propri bisogni, le autorità italo-tedesche avevano rilevato tutti i giacimenti minerari, gli impianti industriali, e i granai del paese. Il cibo diventò presto una merce rara. Ma questo comportamento degli occupanti, in palese contravvenzione con il diritto internazionale di guerra, che imponeva loro di provvedere al vettovagliamento del paese sottoposto ad occupazione non fu l’unica causa d’indigenza che ben presto afflisse la popolazione greca. Altra causa determinante fu il blocco immediatamente posto dagli inglesi, che impediva ogni passaggio verso i porti greci e in particolare verso il Pireo, il più importante porto del paese. Il blocco aggravava ogni giorno di più le condizioni dei greci, che cominciarono ad appellarsi agli occupanti e, in un secondo momento,  alla Santa Sede, per un intervento risolutivo. Gli appelli d’aiuto dei greci, per la maggior parte ortodossi, destarono grande meraviglia in Vaticano, aprendo anche la strada alla speranza di un miglioramento dei futuri rapporti fra le due Chiese. Roncalli, delegato pontificio ad Istanbul, ricevette per primo le richieste d’aiuto dei greci. Ascoltati i numerosi appelli diretti al Santo Padre, le sue prime riflessioni furono improntate allo spirito di carità cristiana, al quale si uniformava tutto l’operato della Santa Sede. Roncalli si mostrò, dunque, estremamente prodigo di buone speranze e progetti concreti per i greci che gli si rivolgevano, anche se non mancò in lui qualche diffidenza nei confronti di un’opinione pubblica da sempre ostile alla Chiesa di Roma. Egli sottopose gli appelli ed il suo progetto di aiuto alla Santa Sede. La sua proposta, che ricalcava le richieste dei greci, prevedeva di attivare la diplomazia pontificia presso Londra, al fine di ottenere la revoca del blocco. Quest’ultimo, infatti, impediva a trecentociquantamila tonnellate di grano, già pagato con enormi sacrifici dal governo greco, di giungere a destinazione. Roncalli suggerì di intraprendere anche un’attività di assistenza interna al paese, con organizzazioni pontificie che avrebbero sfruttato le forze cattoliche disponibili. In proposito egli trovò la collaborazione piena di Calavassy, esarca apostolico per i cattolici di rito bizantino in Grecia, che organizzò le risorse disponibili al fine di predisporre le istituzioni necessarie al vettovagliamento del paese.
La Santa Sede fece propria la proposta di Roncalli, sostenuta anche dal Metropolita di Atene, Damaskinos, anche se la sua attuazione presentava non poche difficoltà. Si decise di attivare immediatamente tutti i canali necessari, affinché la situazione potesse trovare una soluzione positiva. A questa decisione la Santa Sede era spinta dallo spirito di carità, dall’opportunità che una simile iniziativa avrebbe dato al miglioramento futuro dei rapporti con la Chiesa ortodossa greca e dall’aumento di prestigio che avrebbe potuto derivare da un’iniziativa presa in favore di quelli, come gli ortodossi greci, considerati i tradizionali nemici del papato. L’aiuto ad un paese ortodosso, infatti, avrebbe anche migliorato le relazioni fra la Santa Sede e tutti quei paesi non esclusivamente cattolici, come l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Questi avevano un ruolo chiave nella guerra, ma nutrivano forti dubbi sulla natura  dell’attività pontificia, compresa l’assistenza alle vittime di guerra. Il miglioramento di questi rapporti avrebbe potuto produrre dei vantaggi anche in favore dell’attività della Santa Sede verso tutte le popolazioni che subivano la guerra, oltre che per i cattolici nei paesi anglosassoni.
La diplomazia pontificia si attivò presso il governo inglese per la revoca del blocco nell’autunno 1941, ma, per tutto il mese di novembre, l’Inghilterra continuò a negare il passaggio di navi attraverso il Pireo. L’atteggiamento britannico era la logica conseguenza di una diffidenza annosa nei confronti del Vaticano, che si riteneva legato agli interessi italiani. Il governo britannico credeva che la Chiesa di Roma avesse ceduto alle richieste di intercessione provenienti dagli italiani, più che dai greci stessi. La Gran Bretagna, inoltre, invocando il diritto internazionale di guerra,  riteneva preciso dovere degli occupanti occuparsi della fame dei greci, che, secondo gli inglesi, era il risultato di un’occupazione depredatrice di tutte le risorse del paese. L’Inghilterra dunque era convinta di agevolare le autorità di occupazione, permettendo al grano fermo a Suez di giungere in Grecia. La battaglia diplomatica con Londra fu vinta grazie all’appoggio determinante degli Stati Uniti. Nei primi giorni del 1942 giunse notizia della revoca del blocco. Ci volle del tempo per accertare l’informazione, e quando essa lo fu, si seppe che si sarebbero fatte passare solo ottomila tonnellate di grano. L’Inghilterra rimaneva, quindi, ancora molto diffidente.
In questo clima di aperta ostilità non fu affatto facile organizzare gli aiuti attraverso la Croce Rossa internazionale. Una commissione di controllo internazionale fu nominata per superare le divergenze, e l’organizzazione degli aiuti cominciò a funzionare alacremente nella primavera del 1942.
La Santa Sede tuttavia non si fermò all’attività diplomatica; l’inverno tra il 1941 ed il 1942 fu uno dei più duri per la popolazione greca: la mortalità crebbe, fino a raddoppiarsi, e i forni rimasero vuoti per giorni. I preti e le suore cattolici insieme agli ortodossi greci si impegnarono nelle diverse organizzazioni preposte dalla Santa Sede, con l’aiuto di Roncalli e la preziosa collaborazione di Calavassy. Queste istituzioni pontificie garantirono cibo, medicinali, vestiti, e tutto ciò di cui la popolazione potesse avere bisogno, senza distinzione di razza o religione. I rifornimenti che alimentavano queste organizzazioni e istituzioni, fra cui le più imponenti furono i “Focolai della Divina Provvidenza”, provenivano dalla Svizzera, dall’Ungheria, dalla Bulgaria e dalla Romania, ed erano frutto di numerose azioni diplomatiche condotte dalla Santa Sede.
Il periodo tra la seconda metà del 1942 e la prima del 1943, vide la Grecia in preda all’instabilità di governo e all’incapacità degli occupanti di scegliere un Consiglio dei Ministri in grado di far fronte non solo alle esigenze degli occupanti, ma anche ai bisogni del paese. Una grave crisi finanziaria si aggiunse ai problemi politici, con un’inflazione galoppante che rese i generi di prima necessità inaccessibili a tutti. L’Italia, sollecitata dalla Santa Sede e dalla Croce Rossa, che organizzavano i soccorsi per il paese, tentò di adottare una politica fiscale più morbida nei confronti del governo greco, ma i tedeschi, che non subivano le stesse influenze, decisero di non cedere, mantenendo la politica fiscale di sempre.
La guerra cambiò il proprio andamento favorevole all’Asse alla fine del 1942, quando la Santa Sede cominciò ad interessarsi sempre di più ai problemi legati alle comunità israelitiche d’Europa. Questo cambiamento ebbe delle conseguenze anche in Grecia, dove una forte resistenza, ricalcando gli stereotipi comunisti, si manifestò, preoccupando anche le autorità pontificie. I soccorsi della Croce Rossa continuarono fino alla primavera del 1943, insieme ad un meno assiduo interesse della Santa Sede al problema della fame.
Non abbiamo, quindi, molti elementi per definire la natura del contributo pontificio alla fame nel paese in questo periodo, che va dalla metà del 1943 alla fine della guerra. Roncalli fu lontano dalla Grecia dai primi mesi del 1943; in seguito le notizie riguardanti la situazione greca pervennero alla Santa Sede dall’uditore pontificio, Testa. Questi continuò l’opera d’informazione e di collaborazione al soccorso delle vittime di guerra nel paese. Il suo operato, però, si rivolse maggiormente agli ebrei, perché cominciavano le deportazioni in massa degli israeliti verso l’Europa nord-orientale. Il pericolo dell’avanzata comunista e soprattutto la questione dell’olocausto distrassero la Santa Sede dal problema della fame. Solo dopo la liberazione della Grecia, quando la fame ricominciò a mietere vittime, il Vaticano decise di attivarsi nuovamente in favore delle vittime greche; si trattava, però, dell’ultima iniziativa in Grecia, di cui abbiamo notizia dalla documentazione esaminata.
La fine della guerra, la divisione dell’Europa in due grandi blocchi, il pericolo comunista, le polemiche sul silenzio di Pio XII furono le grandi questioni che interessarono lo stato pontificio nel dopoguerra. L’attività caritatevole del Santo Padre ebbe numerosi riconoscimenti, ma altrettante critiche negative. I rapporti con la Grecia non subirono immediate svolte positive; gli stessi greci, quando si trovarono a parlare di ciò che la fame aveva rappresentato per il paese durante l’occupazione, non dettero alcun merito all’aiuto pontificio. Quest’aiuto è stato pure quasi dimenticato dalla storiografia sulla Grecia durante la Seconda Guerra Mondiale. E non se ne occupano nemmeno le opere italiane e straniere che riguardano le vicende più strettamente militari. Anche nelle monografie, che più specificatamente si occupano della politica vaticana di quegli anni, la questione è solamente accennata. Solo Angelo Martini e, in parte, Alberto Melloni si sono occupati significativamente del problema.
Mentre lo studio che affronta la questione in modo più completo è quello di Owen Chadwick. Vista la scarsità della bibliografia a nostra disposizione, la nostra ricerca non può fare calcoli precisi su quanti benefici, in termini concreti, l’opera della Santa Sede portò in Grecia. Fonti ufficiali, riportate nell’opera di Chadwick, hanno sottolineato che i morti per fame nel paese durante l’inverno 1941-1942 furono centomila; chissà quanti avrebbero potuto essere, se non ci fosse stato l’intervento pontificio? A questa domanda non possiamo rispondere. Tuttavia, dalla nostra ricerca, possiamo evincere che lo sforzo fatto dalla Santa Sede fu molto grande e molto nobile, visto che operò in favore di un popolo ortodosso. Nonostante le simpatie, non celate, del Vaticano nei confronti delle autorità italiane, l’opera pontificia fu estremamente imparziale. Chadwick sostiene che la politica di aiuti alla Grecia, messa in atto dal Vaticano, coincise con gli interessi italiani nel paese; questo è senz’altro vero, ma si trattò di una pura coincidenza. Mentre la Santa Sede non fu influenzata dai bisogni degli occupanti italiani, questi ultimi lo furono dall’operato stesso del Vaticano, che con le proprie raccomandazioni, le sue promesse d’aiuto e l’attività diplomatica stimolarono gli italiani a venire incontro alle necessità della popolazione greca. Al contrario, non riuscì alla Santa Sede di avere una stessa influenza sui tedeschi che, d’altra parte, si trovavano in condizioni politiche e militari ben diverse, rispetto all’alleato. La Germania riteneva l’Italia maggiormente responsabile del territorio greco, in quanto occupava le zone più vaste ed aveva intrapreso l’iniziativa di attaccare il paese per prima.
Non fu facile operare in un clima di aspre controversie, come quello determinatosi  in Grecia durante la Seconda Guerra Mondiale. La Santa Sede riuscì con successo nel suo intento che, nonostante le polemiche,  era semplicemente quello di sfamare migliaia di greci che vivevano nell’indigenza. L’obbiettivo fu raggiunto, nonostante le difficoltà derivanti soprattutto dalle diffidenze fra i diversi schieramenti. L’attività assistenziale fu efficiente e molto trasparente, tanto da potersi confrontare anche con le più pesanti accuse, che il governo inglese lanciò verso l’organizzazione degli aiuti dopo la revoca del blocco.  Queste accuse non riuscirono ad intaccare ciò che la Santa Sede aveva e avrebbe fatto per il paese.
Quanto alle relazioni tra la Chiesa di Roma e quella ortodossa, la freddezza, se non ostilità esistente nei loro rapporti spiega il perché dopo la liberazione del paese l’aiuto della Santa Sede, in relazione al problema della fame, non venne mai menzionato. Dai documenti della Santa Sede risulta che Damaskinos era il portavoce  del “ novantacinque per cento della popolazione” mentre si appellava alla carità del Santo Padre ed esprimeva la propria gratitudine per l’interesse che il Vaticano, ma tutto ciò non dette mai luogo a una pubblica manifestazione di riconoscenza da parte della gerarchia della Chiesa ortodossa.
Nonostante il mancato riconoscimento dei meriti della Santa Sede, anche da parte di chi fu protagonista di quella vicenda, crediamo che l’attività dispiegata dal Vaticano in favore del popolo greco sia stata rilevante anche per i rapporti tra la Chiesa ortodossa greca e la Chiesa cattolica. In proposito è giusto ricordare l’avvicinamento tra le due Chiese operato nel Concilio Vaticano II, non a caso diretto da Papa Giovanni XXIII. L’apertura del Concilio a tutti i cristiani fu emblematica di quella politica di carità, che tanta parte trovò nell’opera di Roncalli verso i greci.
 

Bibliografia.
 

Documenti.

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